27.12.13

Brenno Tilli. La punta di diamante del Signor NO (S.L.L.)

Di Brenno Tilli, litografo e anarchico, conoscevo i taze-bao che incollava davanti alla sua bottega di via Bartolo, antimilitaristi, anticlericali, antimassonici, senza rispetto per nessun potere e nessun potente, fatti di una frase incisiva, scritta in grafia originale, talora corredata di un disegno. Nel 1992, per le elezioni politiche, Primo Tenca, che al tempo era segretario della sezione cittadina di Rifondazione ed era stato vicinissimo a Tilli, produsse un manifesto che ne utilizzava lo stile e l’idea: la P2 non è fiction, il 5 aprile non Mancare, mandali a casa; seguiva l’invito al voto. Quel “P2 Manca” diversamente colorato era stato inventato  da Tilli come riferimento a Enrico Manca, notabile socialista, presidente RAI e capolista in Umbria, presente negli elenchi della loggia di Gelli, specializzata in affari loschi e progetti eversivi. Tra le undici e mezzanotte di venerdì tre aprile, ultima ora utile, i militanti di Rifondazione di Perugia ne affissero copia in tutti gli spazi destinati al partito, ma l’indomani non c’era traccia dei manifesti, interamente ricoperti dagli attacchini di Manca. Quando, nel martedì postelettorale, Rifondazione volle celebrare con un comizio il proprio successo nella provincia di Perugia (l’11 per cento dei voti, più del Psi di Craxi e Manca) il palco donde parlò la Castellina era circondato interamente da quei manifesti.

Fu una vittoria postuma di Tilli; un’altra, dopo il libro con le foto dei suoi taze-bao dal titolo SignorNO che la Regione dell’Umbria aveva edito nel 1990, nell’immediatezza della morte, andato a ruba. Ne aveva scritto la prefazione l’allora presidente Mandarini, la cui Giunta aveva superato più d’una resistenza per la pubblicazione. C’era stato un gruppo di artigiani e cittadini, che aveva fatto pressione sul Comune perché l’esperienza della bottega di Brenno, ultimo di una dinastia di artigiani litografi, non andasse dispersa e si esponessero in un minimuseo le pietre e le altre attrezzature. Il Comune conservò in un suo deposito i materiali, ma qualche tempo dopo, per fare spazio, un ignoto dipendente li fece collocare all’aria aperta. Fu forse la nostra denuncia a salvare dalle intemperie quei monumenti/documenti di storia del lavoro già malridotti. Ora attendono al coperto che se ne faccia un qualche uso. La bottega di via Bartolo, intanto, è chiusa dal 1990.
Di Brenno Tilli, del suo orgoglio di lavoratore, del suo anarchismo, dell’impegno in difesa degli oppressi, contro la guerra, il militarismo, le menzogne e le ruberie del potere, ho parlato con Tenca. “C’erano tre botteghe vicine, quella di Brenno, il timbrificio umbro e quella orafa di Brunori, ove io lavoravo. Quando pensava e preparava un manifesto dei suoi, coinvolgeva me e Mario Zucchetti, del timbrificio. C’era sempre una grande emozione in lui. Aveva subito sopraffazioni nel tempo fascista, veniva da una grande storia. Una volta venne a cercarci come disperato: s’era rotto l’attrezzo con cui incideva sulla pietra le scritte dei manifesti. Faticammo per rimettere a posto la punta di diamante, ma riuscimmo nell’opera. Gli occhi gli ridevano: era felice”.
A Tilli, il cui nome “barbarico” sembra già contenere una sfida alle retoriche, è stato accoppiato il mazziniano storico Guglielmo Miliocchi in una serata perugina dal titolo Abbasso il papa, abbasso il re. Da anni l’associazione di Porta Santa Susanna, con successo di pubblico, promuove dibattiti, che hanno come tema momenti e aspetti, noti o meno noti, della storia cittadina. E’ un pubblico variegato, quello della Sala Santa Chiara, luogo deputato degli incontri: il professionista insieme al docente universitario, la vigilessa insieme alla maestra o all’impiegata in attività o in quiescenza. L’età media è comunque piuttosto alta e spicca un nutrito gruppo di artigiani in pensione: quasi tutti avevano bottega in centro o nei rioni contigui quando, quaranta o cinquant’anni fa, lo spazio urbano era ancora contenitore di attività produttive.
Il 13 dicembre a rievocare le due figure del Novecento accomunate dall’ostilità verso preti e monarchi, erano due ricercatori: Gianluca D’Elia, che ha tratto materia dall’archivio di Miliocchi, e Benedetta Pierini, storica della fotografia, che ha studiato la storia artigiana dei Tilli, moderati e assistiti da Franco Bozzi, storico semiufficiale del socialismo umbro. Di Miliocchi si è ricordato un episodio di disobbedienza: dopo l’uccisione del re Umberto I si rifiutò di partecipare alla giornata di lutto proclamata dal Comune e si presentò regolarmente a scuola per il suo servizio di maestro. Fu licenziato, ma non lasciato nell’indigenza. Affratellato alla Massoneria, sebbene antimonarchico, continuava a godere di qualche solidarietà nella classe dirigente: il Comune gli affidava periodicamente degli incarichi, mentre per suo conto esercitava un’attività pubblicistica. Negli anni del fascismo fu un po’ più dura e per qualche tempo dovette perfino fare il giornalaio. D’Elia ha soprattutto illustrato documenti che inserivano Miliocchi in una rete di relazioni internazionali e nazionali, da Ezio e Giuseppe Garibaldi (nipote) a Pacciardi e La Malfa.  
Per Tilli sono mostrate molte foto di manifesti, inclusi uno antiManca e un altro contro la massoneria nel suo insieme. Sono stati apprezzati soprattutto quelli anticlericali.
A disturbare l’idillio è stata una domanda dal pubblico, che lo stesso autore ha definito scivolosa: stanno bene insieme la figura di un massone e quella di un anarchico che rifiutò sdegnoso l’affiliazione (diceva “non ho voluto aderire al partito comunista, figurati se posso entrare in una loggia”), ed era ostile alle pratiche dei Liberi Muratori? La domanda è scivolata via senza risposta. Ne tento io una approssimativa. La massoneria perugina, che un tempo organizzava i gruppi dirigenti locali, ha sempre affiancato le pratiche del potere al culto di Giordano Bruno ed ha usato la laicità per l’esercizio di un’egemonia. Non ha mai amato i liberi pensatori che non s’intruppavano, gli anticlericali indipendenti, e spesso (è il caso di Capitini e Binni) li ha combattuti. Oggi la massoneria, anche a Perugia, conta meno sia nelle carriere burocratico-professionali che negli affari, ma non ha esaurito le sue velleità egemoniche; sicché fuori dalla riservatezza delle logge ama esporsi come rappresentante dell’intero mondo laico e democratico. Per questo tende a inglobare, a collocare tra i propri “compagni di strada” figure come quella di Tilli. Insomma, la massoneria è una chiesa. 

"micropolis", dicembre 2013 

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