25.12.13

La memoria del gesuita Ricci, mediatore di culture (Maria Rita Masci)

Ricorre quest'anno il quarto centenario della morte di Matteo Ricci, il padre gesuita che per primo consentì una vero contatto di idee fra la Cina e l'Occidente. Il suo ruolo di straordinario mediatore viene oggi celebrato come non era mai accaduto in passato attraverso mostre, convegni e iniziative sia in Italia sia in Cina. Il recupero della figura di Matteo Ricci, in quanto simbolo della comprensione e dell'adattamento, fa pensare che in futuro il dialogo fra Cina e Vaticano potrebbe svolgersi su binari più proficui di quelli seguiti fino ad oggi. La riproposta del libro di Jonathan D. Spence, Il Palazzo della memoria di Matteo Ricci, si inserisce in questo contesto.
L'insegnamento della scienza fu una delle strategie apostoliche di Ricci, convinto che la superiorità del sapere occidentale da lui diffuso avrebbe attratto i mandarini verso la religione che   propagandava. Oltre agli  orologi  meccanici, ai mappamondi che rivelavano l'esistenza di cinque continenti e la forma sferica della terra, alla traduzione di Euclide, alla matematica e all'astrologia, introdusse un sistema di memorizzazione basato sulla costruzione di «palazzi della memoria».
Ricci era dotato di una memoria fuori dal comune, ma sapeva anche ricorrere alle tecniche di memorizzazione, fatte risalire al poeta greco Simonide e in seguito affinate da Plinio e Quintiliano, che si erano diffuse nel Medioevo diventando molto popolari nel Quattrocento e nel Cinquecento. Il sistema consisteva nell'elaborazione di spazi mentali in forma di luoghi fisici, stanze da moltiplicare a piacimento fino a costruire strutture più complesse, palazzi appunto, dove collocare immagini fortemente evocative associate alle nozioni che si volevano ricordare. Entrando con la mente nell'edificio, la vista dell'immagine avrebbe richiamato il contenuto ad essa associato.
Ricci adattò questo sistema alla memorizzazione dei caratteri cinesi compilando il Xiguo jifa, «La mnemotecnica dei paesi occidentali», che donò al governatore della provincia del Jiangxi perché potesse essere di aiuto ai suoi figli nel corso degli impegnativi esami imperiali per accedere alla carriera di funzionario. Grande impressione, infatti, aveva suscitato una prova a cui il gesuita si era sottoposto per dimostrare la superiorità del suo metodo: aveva chiesto a un giovane di scrivere una lista di caratteri a caso e di mostrargliela; dopo una sola lettura era stato in grado di ripeterli esattamente e poi aveva ripetuto la lista al contrarlo dall'ultimo al primo. La sua tecnica sembrava dunque vincente.
Nel suo testo, Ricci costruì una sola stanza, l'ingresso con la porta rivolta a sud per riguardo alla tradizione cinese, e vi collocò quattro immagini, una in ciascun angolo: due guerrieri che si affrontano, una donna che proviene dalle tribù occidentali, un contadino che miete il grano, una serva che tiene un bambino fra le braccia. A ciascuna di queste immagini corrisponde un carattere. La prima ad esempi sta per il carattere wu che si gnifica «guerra» e si compone di due parti grafiche e semantiche che indicano rispettivamente una «lancia» e l'azione di «fermare». La rappresentazione visiva dei due combattenti, uno che attacca con una lancia e l'altro che cerca di bloccarlo, rimanda immediatamente alla grafia del carattere. E questo vale per gli altri tre esempi che riguardano yao «volere», li «profitto» e hao «bene».
Utilizzando queste quattro immagini mnemoniche, a cui aggiunge quattro disegni religiosi che illustrano altrettanti episodi della vita di Cristo e della Bibbia che Ricci donò ad un amico cinese tipografo, Spence costruisce la struttura e l'asse portante del libro.
Esso diventa dunque il «palazzo» del noto sinologo inglese, erudito e accattivante narratore per ricostruire, non soltanto grande avventura di Matteo Ricci, ma il mondo dal quale proveniva, l'Europa della Controriforma. E, come Ricci desiderava, suggerire la superiorità del pensiero associativo sul semplice mandare a memoria di tradizione cinese. Così Spence, di associazione in associazione, fa rivivere con ricchezza di dettagli il quadro complessivo di quell' epoca.


“Tuttolibri – La Stampa”, 11 settembre 2010

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