25.12.13

THRILLING ALL'ITALIANA. Dagli Anni Trenta a Argento (F.T.)

Recensione di un dizionario e utile promemoria di un genere filmico e di una tradizione, il testo che segue, da “La Stampa”, non è firmato ma solo siglato. (S.L.L.)
Barbara Bouchet e Ugo Pagliai in "La dama rossa uccide 7 volte"
«Sangue a profusione, qualche amplesso, un pizzico di sadismo ed abbondanza di seni nudi, il tutto condito da annotazioni assurde, confuse, sovente ingenue e servite da una interpretazione a dir poco dilettantesca»: osservazioni di codesto tenore erano dirette dalla critica, nei primi Anni 70, a tutti quei film che sfruttavano il cosiddetto «filone argentiano» (proprio ieri Dario Argento ha compiuto settant’anni), stabilendo in tale modo una sorta di «via indigena» al thrilling. Oggi che i generi non esistono più, è facile vedere come tali pellicole (fatti i debiti distinguo) fossero sovente di dignitosa fattura, tanto da venir apprezzate anche all'estero - vedi il caso di Quentin Tarantino - per la loro abilità nel costruire suspense, con un dispendio emoglobinico che oggi appare contenuto.
E', quindi, interessante ripercorrere la storia di questa tranche del cinema nostrano commerciale: ce lo consentono Antonio Bruschini e Stefano Piselli col loro Giallo & thrilling all'italiana (Glittering Images, pp.112), dizionario illustrato che mette in fila tutti i prodotti della categoria a partire dal 1931, vale a dire da quel L'uomo dall'artiglio di Nunzio Malasomma remoto progenitore di tutto. A parte la filologia, il «giallo» autarchico prende le mosse da due titoli di Mario Bava, La ragazza che sapeva troppo (1963) e Sei donne per l'assassino (1964): in particolare il secondo - citato da Almodóvar a fini masturbatori in Matador (1986) - è il manifesto modello di Argento per L'uccello dalle piume di cristallo (1970), suo fortunato esordio nel lungometraggio.
Di qui innanzi si diparte una teoria di omicidi all'arma bianca, assassini nerovestiti, deliri sadomasochisti alla Krafft-Ebing, belle fanciulle svestite, brividi a profusione che oggi appaiono inoltre un piacevole repertorio di modernariato, dalle improbabili giacche indossate da taluni interpreti (Ugo Pagliai ne La dama rossa uccide 7 volte) fino al décor quasi camp di certi interni. E la paura? Beh, a volte latita un poco, ma diversi registi - Fulci, Martino, Dallamano, Valerii, Cavara - han fatto cose pregevoli, che reggono l'usura del tempo e con brio ci ricordano com'era dolce la vita prima della rivoluzione.[F. T.]

"Tuttolibri - La Stampa", 11 settembre 2010

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