8.12.13

REGÌA, LOBBIA. Parole nella storia

Lobbia
REGÌA: Oltre a quello tuttora in auge di “direzione dell’allestimento di uno spettacolo teatrale, della lavorazione di un film o di una trasmissione televisiva” il termine ebbe a lungo il significato di “monopolio”, di “privativa”.

LOBBIA: “Cappello da uomo, floscio, a tese piuttosto larghe, con una infossatura nel mezzo”. Prende il nome del deputato italiano Cristiano Lobbia (1826 – 1876) che ne lanciò la moda, credo involontariamente.  
Cristiano Lobbia
Appendice storica
Lo scandalo della Regìa dei tabacchi 
e l’attentato a Cristiano Lobbia
Il governo della Destra storica, quella che guidò il neonato Regno d’Italia fino alla “rivoluzione parlamentare” del 1876, non fu quell’esempio assoluto e cristallino di buongoverno che qualcuno racconta, specialmente negli anni di Firenze capitale (1866-1870), e con i governi extraparlamentari più legati al Savoia. Tra i ministeri più chiacchierati tra il 1868 e il 1869 ci furono i tre di Menabrea che era senatore del Regno e non deputato elettivo. Il re galantuomo, Vittorio Emanuele II, non soltanto considerava riserva di caccia privata i dicasteri della Guerra e della Marina, ma anche quello delle Finanze. Nel gabinetto Menabrea ministro delle Finanze era addirittura Cambray-Digny, ch’era anche prefetto di palazzo della Real Casa e pertanto uomo del re. I bisogni della Corona erano grandi, anche perché il Padre della Patria aveva una caterva di figli illegittimi, effetto delle sue battute di caccia, al cui futuro provvedere: non meno di cento, forse addirittura duecento. Fatto sta che Cambray-Digny, nel giugno 1868, nella disperata ricerca di soldi, decise la privatizzazione della Regìa dei tabacchi. 
Invano si oppone Quintino Sella, esponente della destra pulita: l'appalto toccò a un «pool» di banche italiane e straniere. Ne era personaggio di spicco Balduino, direttore del Credito Mobiliare Italiano ma dietro di lui si nascondeva il finanziere livornese Pietro Bastogi, già accusato d'aver corrotto politici e giornalisti per l'acquisto delle Ferrovie Meridionali. Balduino era considerato abilissimo distributore di azioni e di mazzette: si parlava di una sessantina di parlamentari cointeressati all’acquisto e di una tangente di 6 milioni per la Maestà del Re.
Dai banchi della Sinistra uno dei più intransigenti moralizzatori era l'onorevole Cristiano Lobbia, un ingegnere di Asiago che aveva partecipato con Garibaldi alla liberazione delle Due Sicilie. Quando lo scandalo stava per assopirsi, il 5 giugno 1869, il deputato lo rilanciò con un gesto teatrale: mostrò alla Camera un grosso plico che, a suo dire, conteneva le prove della corruzione dell'onorevole Civinini,  anche lui ex garibaldino, famoso per essere passato dalla sinistra alla destra nello spazio di un tramonto. Il Parlamento di Firenze nominò quasi  una commissione d'inchiesta, che convocò Lobbia per la mattina del 16 giugno. Ma la notte precedente il deputato venne aggredito per strada da uno sconosciuto che gli assestò una bastonata sulla testa e lo ferì al braccio sinistro con un pugnale. La notizia dell'attentato (subito ricollegato all'affare dei tabacchi) suscitò viva emozione: manifestazioni di solidarietà al deputato si svolsero nei giorni seguenti in varie città italiane e si conclusero con gravi incidenti a Milano, ove la folla reclamava “mani pulite”.
Il Lobbia aveva verosimilmente spaventato i potenti coinvolti nell'affare della Regìa, ma i documenti in suo possesso, pur delineando infatti un quadro di corruttela, non sembravano contenere concreti di prova decisivi.
In breve tempo fu trasformato da moralizzatore a mitomane. Il ministro guardasigilli Pironti, da cui all'epoca dipendeva il potere giudiziario, affidò l'inchiesta della procura di Firenze sull'agguato in via dell'Amorino a un uomo di propria fiducia trasferito appositamente da Bologna, il conte De Foresta. Le testimonianze in favore del deputato, numerose e pertinenti, furono sistematicamente distorte o ignorate. Stessa sorte toccò al parere formulato dai periti nominati dal tribunale. Viceversa venne dato il massimo risalto a tutti quei particolari che sembravano ridurre il tentato omicidio a una messa in scena. Lobbia subì l’onta della condanna e la sua riabilitazione, in appello, avvenne qualche anno dopo, quando dello scandalo nessuno parlava più.
Paolo Valera che, cinquant’anni dopo, tracciò un fosco quadro di quegli anni, che lo stesso Garibaldi aveva definito “tempi borgiani”, sembra convinto che l’attentato fosse opera di sbirri o di sicari governativi, che da molti giorni seguivano l’ingegnere veneto. Egli fa poi riferimento ad una serie di morti sospette di possibili testimoni della corruzione o dell’aggiustamento del primo processo: “Sono stati tutti spenti di morte «subitanea»”. La più clamorosa fu quella di un tal Scotti, un diciottenne testimone oculare del tentato omicidio, morto misteriosamente al rientro nel suo paese, in provincia di Cremona, e sepolto senza accertamenti. La magistratura cremonese ordinò l’esumazione del cadavere per il sospetto di avvelenamento, ma il ministro della giustizia, il Pironti la bloccò. I giornali della sinistra parlavano di “pillola Scotti”. Altri morti sospetti avevano fama di possedere lettere e ricevute comprovanti la corruzione messa in atto dal banchiere Balduino.
Il deputato della Sinistra ebbe comunque una gran fama in quel 1869: c’erano giacche alla Lobbia  e circolò al prezzo di due lire e cinquanta centesimi una medaglietta con la sua effigie. Il più fortunato di tutti fu un cappellaio toscano, che lanciò come Lobbia una bombetta con l’ammaccatura, ricordo delle bastonate. La moda di quel cappello durò molto di più del ricordo dello scandalo ed è tuttora attestata dai vocabolari. (S.L.L.)

Fonti: 
Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, Garzanti
Dizionario Biografico degli Italiani, Enciclopedia Treccani
Paolo Valera, Il cinquantenario in "Intratext"
Fruttero e Gramellini, Lobbia e bastone, La Stampa, 28 febbraio 2010

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