17.12.13

Sanniti. Le Forche Caudine e il martirio di Aquilonia (di Marisa Ranieri Panetta)

Sanniti. Elmo votivo di bronzo dal santuario di Pietrabbondanza
L’articolo, recensione di una mostra, è utile divulgazione giornalistica di acquisizioni storico-archeologiche dell’ultimo mezzo secolo. (S.L.L.)
Guerrieri sanniti in un dipinto tombale (Nola)
Popolo di guerrieri valorosi, i Sanniti. Soltanto gente del genere, inasprita da un'esistenza vissuta fra strette gole di montagne e foreste inaccessibili, poteva infliggere ai romani l'onta delle Forche Caudine. Dietro quest'immagine, naturalmente, c'è ben altro. E ora è arrivato il momento della verità, che ha il sapore di una rivincita: proprio a Roma, nel Museo nazionale delle Terme, 1.500 reperti (la maggior parte inediti) stanno per raccontarci una storia quasi sconosciuta ("L'Italia dei Sanniti", dal 13 gennaio al 19 marzo; catalogo Electa). La cura scientifica è della Soprintendenza archeologica di Roma, in collaborazione con le altre istituzioni che hanno prestato i reperti. Ma dietro tanta ricerca c'è la regia di Adriano La Regina, che ha scavato siti sannitici, ha tradotto epigrafi e continua a studiare i tasselli di quel puzzle di genti che in età arcaica popolavano il nostro centro-sud.
Dobbiamo infatti immaginare un coacervo di etnie, di tribù sparse in villaggi, che si spostavano di continuo e si riunivano presso santuari all'aperto in occasione di fiere, mercati, feste religiose. A causa di carestie o esuberanze demografiche, spesso si determinavano migrazioni pacifiche e questi eventi erano legati a un culto agricolo-pastorale: il "ver sacrum". Dopo aver sacrificato alle divinità gli animali più giovani e i nuovi frutti della terra, si seguivano i movimenti di un animale-totem che faceva da guida. Per i piceni, ad esempio, era il picchio. Per i sanniti si trattava di un bue, e Boiano fu la loro prima capitale. Col tempo, le differenze etniche e geografiche si andarono definendo e il Sannio vero e proprio fu costituito da cinque tribù e aveva nei Pentri e nel Molise il suo zoccolo duro.
Il quadro che ci restituisce l'esposizione è di ampio respiro. Con l'ausilio di ricostruzioni, plastici, pannelli informativi, si percorrono i secoli che hanno assistito alla formazione e all'evoluzione del gruppo sannitico: una comunità composita che è stata aperta a tutte le culture con cui è venuta a contatto, assimilando, commerciando, elaborando in modo originale. Il punto di partenza è la Sabina, il ceppo originario di molte popolazioni del centro Italia di lingua osca, che, difatti, si definivano "safinis" (la denominazione "Samnites" è nata più tardi a Roma, seguendo il nome dato dai greci), come testimoniano le iscrizioni trovate in località ed epoche diverse. La stessa origine di Roma è legata a Tito Tazio, al ratto delle sabine, e non a caso - quasi all'ingresso della mostra - troneggia la statua del re Numa Pompilio, nativo di Cures. Dalle necropoli trovate nei pressi di questa località ai corredi funerari coevi (VII -VI sec. a.C), scoperti in Campania o nella valle dell'Ofanto, risalta l'omogeneità dei materiali: anfore di ceramica a impasto, specchi e armi in bronzo, ornamenti legati alla sfera femminile (bracciali a cerchio, fibule di ogni genere).
Sanniti. La "Toeletta della Dama" in un dipinto tombale (Cuma)
Le tribù sannite, nella mostra come nella storia, intorno al V - IV sec. a.C. presero il sopravvento: costituivano l'entità statale ("touto") più grande, erano le più numerose e videro riconosciuta la loro supremazia. Se Roma voleva impadronirsi del sud, doveva fare i conti con le armi dell'Abruzzo, del Molise, della Campania. Il nemico dell'Urbe aveva già strutture politiche e leggi: un "meddìs touto" aveva sostituito il re d'età arcaica ed era, diciamo così, il presidente dello Stato. Deteneva i massimi poteri politici, militari e religiosi, era eletto annualmente ed era assistito da un senato. Le singole tribù erano rette da altri magistrati con responsabilità ridotte.
All'interno della "touto" esistevano vari tipi di insediamenti, che cominciarono a munirsi di fortificazioni verso il IV secolo a.C. Le cinte di pietre irregolari inglobavano luoghi strategici, nuclei abitati e i "vici", le più diffuse strutture rurali che univano funzioni produttive a poteri amministrativi, scelti per la loro accessibilità e la capacità di espletare funzioni diverse.
Anche i luoghi di culto seguivano questa rete di insediamenti. Più anticamente si trattava di luoghi naturali, come le grotte connesse alla presenza di acque salutari o il laghetto che ribolliva di acque sulfuree nella valle d'Ansanto in Irpinia, protetto dalla dea Mefite (nell'esposizione, un prezioso idoletto in legno). In età ellenistica iniziarono le costruzioni di templi, lasciando a Ercole la pole position dell'intero pantheon. Era stato venerato dalle antiche popolazioni abruzzesi come nume delle sorgenti, protettore dei viandanti e dei pastori: rimase sempre con la sua clava in mano a garantire la difesa dei suoi muscolosi adoratori.
Al centro della mostra, la sezione forse più attesa: lo scontro con Roma. L'esca delle guerre fu la Campania, dove già gruppi sannitici dominavano Capua, Nola, Pompei e la stessa Napoli. Proprio da affreschi tombali rinvenuti a Nola vediamo a forti colori l'abbigliamento di alcuni guerrieri. Scudi rotondi, corazze corte con dischi di bronzo applicati, schinieri alle gambe, elmi provvisti di ornamenti voluminosi per impressionare i nemici. Lo storico Livio aggiunge particolari, che sottolineano la ricchezza sfoggiata in alcuni combattimenti: tuniche variopinte per i soldati con scudo dorato, di lino bianco per quelli provvisti di scudo argentato. Per i romani del IV secolo a.C. quei vistosi abbigliamenti erano un incubo.
Le prime battaglie furono favorevoli alle legioni. Il discorso cambiò quando i consoli decisero di separare le tribù del Sannio inoltrandosi in un territorio aspro e sconosciuto: il territorio dei caudini. Le imboscate, gli scontri rapidi, la boscaglia fitta ebbero la meglio su soldati che marciavano con armature inadatte a quel tipo di guerriglia: attirati in una gola, i romani si arresero. Gli fu imposto di passare, uno per uno, sotto un giogo formato da tre lance: le "Forculae Caudinae". Era il 321 a.C, e solo dopo molti anni i romani, con la conquista di Boiano e la fondazione di tre colonie, riuscirono a concludere con onore la cosiddetta seconda guerra sannitica. Non fu l'ultima. Come avvenne contro i Cartaginesi, ne occorsero tre e quella finale (298-290) fu terribile.
Si trattò di una vera e propria coalizione italica: assieme ai Sanniti e agli Umbri, ci si misero pure gli Etruschi e i Galli. Fu l'estremo tentativo di frenare l'espansionismo dell'Urbe con un esercito più numeroso e motivato. I romani vinsero - i nemici erano disorganizzati fra loro, non sempre si capivano, non c'era un comando unico - nello scontrc decisivo di Sentino del 295 a.C.. Ma i Sanniti non si rassegnarono finché non subirono la terribile disfatta di Aquilonia, la nuova capitale, dove si erano votati alla morte sedicimila guerrieri scelti. Fu, nel complesso, una vera e propria epopea per entrambe le forze in campo vi furono impegnati gli esponenti di due generazioni di romani illustri, che celebrarono trentatré trionfi.
Sanniti. Una delle "madri di Capua"
Il luogo sacro per eccellenza di questi guerrieri era il santuario di Pietrabbondante con un teatro e due templi (in provincia di Campobasso). Qui appendevano ai chiodi le armi strappate al nemico. Qui dedicavano le decime dei bottini, lasciando preghiere scritte (nella mostra: una ricostruzione dell'ingresso al tempio maggiore, elementi architettonici in marmo, un plastico, pezzi raffinati di armature). In una società del genere, le donne non dovevano avere un ruolo marginale. Gestivano famiglia e lavoro durante le lunghe assenze dei mariti-guerrieri, ed erano loro a cardare la lana, proveniente dall'Apulia e venduta agli etruschi, che costituiva una delle principali voci attive del commercio. Nelle sale espositive, le vediamo come "Madri di Capua", solenni sui troni ricavati nel tufo, con uno o più bimbi in fasce, a ringraziare del parto felice la dea della fertilità. Oppure intente a guardarsi allo specchio (affresco proveniente da Cuma) senza curarsi dei chili di troppo.
Durò a lungo la sistematica trasformazione del Sannio da parte dei conquistatori, a causa della sua partecipazione alla guerra sociale del I sec. a.C. (in verità scatenata per ottenere la cittadinanza romana). Ma pian piano la romanizzazione del territorio riuscì a imporsi, favorita dalle classi medio-alte. E anche la fedeltà all'antico nemico: durante le guerre contro Annibale e nelle guerre di conquista che seguirono, i sanniti furono al suo fianco, contribuendo notevolmente all'ossatura unitaria della penisola. A riconoscimento dell'antico valore, la Zecca emetterà, proprio per l'apertura della mostra, una moneta di uso corrente che riprenderà un "denarius" d'argento coniato durante la guerra sociale: da una parte, la testa dell'Italia con la scritta in osco "Vitelio". Dall'altra - che provocazione! - un toro che incorna la lupa di Roma.


L'Espresso 13 gennaio 2000

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