13.2.14

Adolf Manolesta. Ruberie, evasioni fiscali e tangenti di Hitler (Robert Giardina)

Un vecchio articolo, documentatissimo, esposizione di una accurata ricerca storica, i cui risultati sono tuttora poco noti. Ne consiglio la lettura. (S.L.L.)
Pazzo, sanguinario, ma almeno onesto. Da quarantanni a questa parte, il giudizio su Adolf Hitler, nonostante l'uscita di decine di saggi e biografie, non è cambiato. Il Fuhrer era troppo preso dai sogni del Reich millenario e dallo sterminio di milioni di esseri umani per occuparsi del vile denaro. E a che cosa gli sarebbe poi servito se stava per avere il mondo in pugno?
Invece, mentre conquistava l'Europa, teneva testa a Stalin e prendeva Parigi, Herr Adolf Hitler non perdeva di vista il suo conto in banca, contava perfino gli spiccioli e frodava il fisco. Al momento della fine, nel bunker di Berlino, il Fuhrer era uno degli uomini più ricchi del mondo, e il suo capitale privato ammontava a una cifra difficilmente calcolabile in valore d'oggi, ma non inferiore ai 1500 miliardi di lire.
Hitlersgeld, il denaro di Hitler, è una delle opere più ambite sul mercato della Fiera del libro di Francoforte. In Germania uscirà in novembre da Moewig, e quasi contemporaneamente uscirà in Olanda. Lo ha scritto Wulf Schwarzwaller, 58 anni, giornalista e storico, grande esperto del periodo nazista. Di origine polacca, Schwarzwaller è stato il direttore dell'edizione tedesca del Reader's Digest, e tra i suoi libri un particolare successo ha riscosso la biografia del braccio destro di Hitler Rudolf Hess, pubblicata da Molden. Ma com'è possibile che la passione per il denaro del Fuhrer sia stata trascurata così a lungo dagli storici? «Me lo sono chiesto anch'io», spiega all'Europeo Schwar¬zwaller, «e non mi so dare una risposta. Probabilmente ci si è preoccupati tanto di mettere in risalto l'aspetto storico, politico, sociale o magari psicologico di Hitler che i soldi sono stati ritenuti poco importan¬ti. Ed è nata così la leggenda di un Fuhrer spartano, sanguinario ma onesto. Spero che il mio libro serva a sfatare questa favola una volta per tutte. Fin dalla prima giovinezza Hitler è stato ossessionato dal denaro, dalla paura di poter scivolare dalla borghesia al proletariato. Ne aveva un reale terrore, anche negli anni della sua cosiddetta bohème».
La prima bugia sulle sue condizioni economiche, accreditata dallo stesso Fuhrer in Mein Kampf, riguarda la famiglia: Hitler da bambino avrebbe vissuto quasi in miseria, e solo grazie alla sua volontà e alla sua intelligenza sarebbe riuscito ad elevarsi. Falsità. Al contrario, come si dimostra nel saggio, il padre del futuro dittatore, l'ufficiale doganale Alois Hitler, era tutt'altro che indigente. L'anno in cui nacque Adolf (il 20 aprile del 1889), guadagnava 216 corone al mese, più di un preside di scuola media. Per fare un confronto, un operaio specializzato non superava le 90 corone, nell'Austria di un secolo fa.
Per l'affitto di casa, Alois Hitler pagava tra le 16 e le 20 corone al mese, e ne versava al fisco non più di 40 all'anno. Inoltre nel 1888 era morto Johan Nepomuk Hùttler, padre naturale di Alois lasciando al figlio tutto il suo capitale. Una cifra non precisata ma, scrive Schwarzwaller, sappiamo che Alois potè comprarsi una casa per 10 mila corone.
La morte del padre, nel 1903, non muterà il tenore di vita del giovane Adolf. La madre riceve una pensione di cento corone al mese, più che sufficienti per vivere con dignità, e altre 40 corone per i due figli minorenni, Adolf e Paula. La madre vende la casa e si trasferisce a Linz: pagate ipoteche e debiti le rimangono 5 mila corone che assicurano alla famiglia una buona rendita supplementare. A Linz, Adolf, che ha adesso 17 anni, trascorre la serena esistenza di un vitellone di provincia: la madre ha un debole per lui e paga senza protestare i conti del miglior sarto della città. Adolf passa le giornate tra passeggiate per il corso cittadino e merende a base di torte alla frutta, di cui è golosissimo, al Café Baumgartner dove discute di musica con il suo miglior amico: August Kubizek, detto «Gustl».
Adolf non vuole diventare né militare né funzionario come il padre. Ha talento artistico, sostiene, e la madre non ne dubita. Quel ragazzo potrà diventare quel che vuole, pittore, musicista, poeta. Ma perché perdere tempo a Linz? Lo convince ad andare a Vienna per frequentare l'Accademia di belle arti. Nella capitale Adolf continua a far la bella vita di prima. Tutte le sere si reca all'opera per gustare «l'amato Wagner». All'Accademia, come si sa, lo bocciano («un complotto ebreo», dirà poi) e torna a Linz: la madre gli compra un ottimo pianoforte e gli paga salate lezioni di musica, ma è gravemente malata e non ha la forza per opporsi ai capricci del figlio.
Hitler ha sempre sostenuto che la malattia della madre e le spese per il funerale avevano prosciugato il piccolo capitale familiare, ma Schwarzwaller da bravo investigatore della storia dimostra che si tratta di un'ennesima bugia. L'operazione costò appena 40 corone e la retta nell'ospedale di Linz non superava le due corone giornaliere. Il conto del dottor Bloch (bravo ed ebreo) fu di un centinaio di corone. Le spese per il funerale si aggirarono intorno alle 370 corone. Il giovane Adolf rimase dunque con un capitale di circa 800 corone, che si fece versare in ragione di 58 corone mensili. Altre 50 gli venivano dall'eredità della madre, a cui c'erano da aggiungere 25 corone mensili della sua pensione di orfano.
Adolf ritornò a Vienna all'inizio del 1908 deciso a conquistare la fama ce me artista con 125-130 corone al mese, una bella cifra per un giovane senza responsabilità. Per fare un confronto, Leo Raubal, il marito della sorellastra Angelika, come funzionario statale aveva uno stipendio di 90 corone al mese, ma doveva mantenere moglie e due figli. Nello stesso periodo Benito Mussolini, direttore dell'Avvenire del lavoratore nell'allora austriaca Trento, e segretario del Partito socialista, arriva per le due cariche a 120 corone mensili.
Nella capitale Adolf si trova una camera nella dignitosa Humboldtstras se, comincia a darsi da fare per entrare negli ambienti artistici, e, come prima, trascorre le sue serate all'opera. Non ama né Strauss, benché assista alla prima dell'Elettra, né Schonberg, né Mahler. Accanto a Wagner, tollera solo Franz Lehàr: va i sentire la Vedova allegra una dozzine di volte. Ma anche il posto più economico nel parterre costa sempre un paio di corone, e l'eredità non può durare in eterno.
Nell'estate del 1909 Hitler è costretto a vivere solo con la pensione di orfano: si cerca un'abitazione meno cara, vende il costoso guardaroba, e perfino colori e pennelli. Intreccia una relazione con Marie, cameriera in un caffè, che di quando in quando gli passa qualche spicciolo. Ma non basta: il giovane Adolf ben presto è costretto a dormire all'aperto sulle panchine del Prater. Questo periodo di miseria lo segnerà per sempre: ha paura di diventare un vero barbone, di non riuscire più a risollevarsi.
Finché un amico, Reinhold Hanisch, gli propone di guadagnarsi da vivere con il suo talento di pittore: Adolf dipingerà cartoline con vedute di Vienna e lui le venderà. Come fare però a procurarsi colori e pennelli? Adolf scrive a una zia, Johanna Spital, e la implora di aiutarlo a proseguire gli studi. Pochi giorni dopo arriva un vaglia di cento corone. Hanisch è bravo e con le cartoline riesce a gua¬dagnare un centinaio di corone al me¬se da dividere in due. Ma Adolf è pigro e, appena ha qualche soldo, spende tutto in dolci (arriva a mangiare da solo anche cinque torte in una sera) e non ha troppa voglia di lavorare. Hanisch lo rimprovera, i litigi diventano sempre più frequenti e alla fine la coppia si divide. Adolf non dimenticherà: dopo l'annessione dell'Austria, il Fuhrer farà cercare e imprigionare dalla Gestapo l'ex amico. Hanisch morirà in cella: per polmonite, dice la versione ufficiale. Ma sembra che in realtà si sia impiccato.
Rimasto solo, Adolf scopre che non è così facile andare per caffè a vendere i suoi acquarelli, e decide di tornare a bussare alla porta della zia Johanna. La va a trovare e dimostra il suo talento di persuasore: la vecchietta preleva tutti i suoi risparmi, oltre duemila corone, e glieli consegna.
Il 24 maggio del 1913, l'anno in cui nascono Willy Brandt e Richard Nixon, il «pittore e studente» Adolf Hitler lascia Vienna e parte per Monaco. Affitta una stanza ammobiliata nello Schwabing, il quartiere degli artisti. Vicino a lui abitano Kandinsky e Paul Klee ma i suoi gusti pittorici sono ben altri. Hitler continua a guadagnarsi da vivere con i suoi quadretti a olio e gli affari non gli vanno poi tanto male. Al fisco dichiara un guadagno di 1200 marchi annuali. Un impiegato di banca supera di poco gli 800.
Il periodo della guerra e gli anni successivi sono fin troppo conosciuti, tuttavia nel suo saggio Schwarzwaller riesce a fornire qualche particolare nuovo sia sui contatti di Hitler con il gruppo esoterico di Thule, sia sulle sue faccende di cuore. Ritroviamo Adolf a trent'anni, ospite in casa di Frau Reichert nella Thierstrasse al 41, un buon quartiere borghese. È probabile che riceva soldi come informatore dal servizio segreto dell'esercito, ma non ci sono prove. Si fa pagare per i suoi discorsi. Julius Streicher gli versa mille marchi per una sua esibizione, e non sono pochi nonostante l'inflazione del dopoguerra.
Adesso è ricevuto nei salotti della buona società, e quando parla con le donne dimentica gli accenti gutturali per far sfoggio della sua dolce pronuncia viennese: le signore mature sono disposte a tutto per lui, e gli passano di nascosto banconote e gioielli. Nel dicembre del 1920, può comprarsi un giornale, il Volkischer Beobachter, sia pure coprendosi di debiti: ci penserà l'inflazione degli anni Venti a polverizzarli.
Hitler si sente ormai vicino al successo, ma ha troppa fretta e il putsch lo farà finire in galera. «Quando il 24 dicembre del '24 uscii dal carcere», scriveva in Mein Kampf, «donai tutti i miei averi, 234 marchi, ai compagni di prigionia». Si dimentica di dire che all'Hansa Bank lo aspettava la confortevole somma di 45 mila marchi frutto di sottoscrizioni di seguaci. Nonostante il passo falso però la strada verso la ricchezza è ormai spalancata. Pubblica il primo volume di Mein Kampf riscuotendo un discreto successo: entro la fine del 1925 vende 10 mila copie. Dall'editore Amman, dopo violenti alterchi, è riuscito a strappare una percentuale del 15 per cento, che gli frutta 18 mila marchi. Fino a quell'anno per l'ufficio delle imposte era uno sconosciuto ma ora gli ispettori delle finanze cominciano a fargli i conti in tasca. Come giustifica il tenore di vita, auto, segretario, servitori, che suscita tante critiche anche fra i compagni di partito?
Hitler sostiene di aver guadagnato in tutto l'anno 11.231 marchi e ne detrae 9785 per spese. Il netto tassabile sarebbe dunque di 2446 marchi. L'ufficio imposte rifiuta la dichiarazione e si apre una vertenza che si chiuderà solo dopo la presa di potere. Nel 1928 compra in campagna la residenza Haus Wachenfeld per 30 mila marchi ma a nome della sorella Angelika. A Monaco, affitta nella Prinzregentplatz al numero 16 una casa di rappresentanza di nove stanze, per 4176 marchi all'anno, circa tre milioni di lire attuali al mese. Ufficialmente nel '29 sostiene di aver guadagnato 15.448 marchi, un milione di lire al mese. In realtà comincia a ricevere i sostanziosi aiuti dell'industriale Franz Thyssen. Che questi avesse aiutato il partito nazista era noto, ma ora si scopre che egli versava somme generose anche sul conto personale di Hitler. Un'abitudine che sarà presto imitata da molti. Dopo il '33, gli industriali tedeschi verseranno ogni anno «una cifra di milioni di marchi» al Fuhrer come ringraziamento per «quanto fa per la nazione».
Nel 1930, Mein Kampf sale a 54.086 copie e i diritti d'autore raggiungono i 46 mila marchi. Hitler è un benestante borghese sulla quarantina, a cui nulla manca, neppure l'amore della giovanissima nipote Angelika Raubal, detta Geli, che si toglierà poi la vita, forse per gelosia della diciassettenne Eva Braun. Nel '32, Mein Kampf gli frutta 65 mila marchi; l'anno seguente, dopo la conquista del potere, oltre un milione. Hitler è ormai cancelliere e milionario. Il 7 febbraio del '33, sul Volkischer Beobachter esce la notizia che Adolf Hitler ha rinunciato alla «paga» di cancelliere, 47 mila marchi complessivi, a favore dei parenti delle SA e SS cadute per la causa.
Una rinuncia dettata in realtà dalle grane con il fisco. I funzionari tedeschi continuano a essere scrupolosi anche con il Fuhrer: i suoi guadagni nel 1933 raggiungono il milione e 232 mila marchi, ne dovrebbe pagare 297 mila in tasse. «Ho tante spese», si lamenta il cancelliere, ottiene una riduzione ma continua a non pagare. Nel '34 riceve un'ingiunzione: è debitore allo Stato di 405.494 marchi. Il presidente dell'ufficio delle finanze di Monaco, il dottor Ludwig Mirre, si reca a Berlino pieno d'imbarazzo e di scrupoli. Si trova una soluzione: dal 2 agosto del '34, Hitler non è solo cancelliere ma anche presidente del Reich, e, in quanto tale, al di sopra di meschinità come le tasse. Hitler non dovrà più pagare un pfenning al fisco, e allora decide di farsi versare di nuovo l'indennità di cancelliere. Vedove e orfani delle SA si arrangino.
Adesso una copia di Mein Kampf viene donata a ogni coppia di giovani sposi. La tiratura raggiunge il milione. Nel 1944, presso la casa editrice giacevano diritti per 5 milioni e 525 mila marchi, circa 22 miliardi di lire di oggi. Ma il Fuhrer rimane parsimonioso: il 30 marzo del '36 fa costruire nella Wasserburgstrasse una casa per Eva Braun, dignitosa ma niente di eccezionale. Alla sua donna regala gioie con pietre dure, del valore di qualche centinaio di marchi, non di più.
Hitler fin da quando si guadagnava da vivere con gli acquarelli, scrive Schwarzwaller, non è mai riuscito a far soldi da solo, ha sempre avuto bisogno di qualcuno che lo aiutasse. Anche da cancelliere segue lo stesso sistema: non gli importa che intorno a lui e grazie a lui qualcuno si arricchisca, purché gli versi una tangente. Riscuote il dieci per cento anche dal fotografo ufficiale Heinrich Hoffmann a cui ha assicurato l'esclusiva della sua immagine. Hoffmann gli fornisce una brillante idea: perché non chiedere i diritti sul suo profilo utilizzato per i francobolli del Terzo Reich? Hitler è d'accordo. Albert Speer riferisce di aver visto il ministro delle Poste consegnare «una volta» un assegno di 50 milioni di marchi al Fuhrer. Ma, naturalmente, non sarà avvenuto solo in quella occasione.
Schwarzwaller riconosce che Hitler non favorì i parenti, ma non lo fece per onestà: temeva che si scoprissero le sue origini, i nonni ebrei, la nascita illegittima del padre. I parenti non hanno goduto neanche l'eredità dello «zio Fuhrer». Gli oltre 10 mila quadri, per un valore di 700 miliardi di lire attuali, raccolti razziando l'Europa, ma anche comprati all'asta, perfino a Londra da dei prestanome durante la guerra, furono infatti confiscati e restituiti ai legittimi proprietari. Anche i diritti d'autore per Mein Kampf sono stati incamerati dal Land della Baviera: la pubblicazione del libro è vietata in Germania, ma chi lo stampasse all'estero dovrebbe versare le percentuali di legge alle autorità bavaresi. I nipoti di Hitler che vivono in Austria hanno intentato una causa per cercare di tornare in possesso dell'eredità, ma hanno ottenuto solo, nel 1961 dall'Istituto storico di Stoccarda, tremila marchi, meno di mezzo milione di lire al cambio dell'epoca. Un po' poco se la loro sete di denaro è uguale a quella dello zio.

L’Europeo,18 ottobre 1986

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