18.2.14

Aldo Natoli:"Dall'acqua del papa all'acqua del (bene) comune". E ora

La recensione di Aldo Natoli qui “postata” sinteticamente racconta, a partire da un bel libro sulla materia, il difficile cammino di emancipazione della popolazione di Roma dalla dipendenza dai privati per l’approvvigionamento dell’acqua, percorso che inizia l’11 settembre del 1870 con l’inaugurazione dell’ultima delle fontane papali e che si conclude più di un secolo dopo, negli anni Ottanta del XX° secolo, con la realizzazione pubblico di un’efficiente e moderno sistema di acquedotti per la capitale d’Italia.
Non so quale sia oggi a Roma lo stato dell’arte in merito alla gestione del “bene comune” dell’acqua. E’ certo che tentativi di vanificare i risultati di un referendum popolare stravinto ce ne sono dappertutto. Gli atti non son belli.  (S.L.L.)
 
1870 - L'inaugurazione della fontana dell'Acqua Marcia in un disegno d'epoca
Le fontane di Roma sono state ripetutamente celebrate in prosa, versi e musica, come tutti sanno. Meno nota, almeno al grande pubblico, è la storia materiale del lavoro umano che risalì fino alle sorgenti di quelle acque e costruì le opere - pazienti e monumentali - per portarle alla città: gli acquedotti, appunto. E se di questi rimangono le arcate dirute, aeree e musicali, a stimolare suggestioni e fantasie sul passato, anche di quella storia ci è stato conservato il filo in opere classiche, da Vitruvio a Frontino (nei due secoli a cavallo della nascita di Cristo), fino al Fea, al Nibby, al Lanciani, nel secolo scorso. In un'epoca come la nostra, quando la tecnica moderna ha occultato in vene sotterranee lo scorrere delle linfe vitali per la polis e ha abolito "gli archi degli avi nostri", tanto più interessante è la comparsa di un' opera come questa (Giorgio Coppa, Luigi Pediconi, Girolamo Bardi, Acque e acquedotti a Roma, 1870-1984, Edizioni Quasar), che ricostruisce la vicenda, ormai anch' essa più che secolare, della costruzione degli acquedotti della Roma moderna, dal suo assurgere a capitale dello Stato unitario fino ai nostri giorni: un'opera che per la elevata qualità del corredo documentario e iconografico, ben degnamente si inserisce nella tradizione, rivestendo la materia amministrativa e tecnica dei panni curiali della storia.
Si può, del resto, rilevare che le vicende economiche, sociali e politiche connesse all'attività della Società dell'Acqua Pia Antica Marcia, qui annotate con il rigore di documenti di archivio, ben avrebbero potuto figurare come scene della vita pubblica nella Commedia balzacchiana. Creatura prediletta del Papa, essa nacque alla vigilia della caduta del potere temporale pontificio e celebrò i suoi primi fasti con l'inaugurazione, sulla spianata di Termini, della fontana da cui sgorgava l'acqua (Marcia) ricondotta a Roma, pochi giorni prima del fatale 20 settembre. A quella cerimonia era presente il conte Ponza di S. Martino, che aveva recato a Pio IX la lettera di Vittorio Emanuele II che annunziava l'imminente assalto di Porta Pia. E quella presenza potrebbe simboleggiare il successivo intreccio delle sorti della Pia società con quelle di Roma capitale: monopolio dell'approvvigionamento idrico, esosità tariffaria, inadempienze e spreco, nell'alleanza fra rendite curtensi e profitti della nuova borghesia nazionale.
Il tema dell'affrancamento della vita della città e dei suoi abitanti da quel giogo è uno dei motivi dominanti del volume, così come, congiuntamente, lo sono la progettazione e la costruzione delle nuove infrastrutture che culmineranno, nei decenni fra il 1950 e il 1980, nell'ultimazione del sistema di acquedotti Peschiera-Capore, uno dei più grandi del mondo. Nel frattempo un centro urbano di 220.000 abitanti si era trasformato in una metropoli di 3 milioni. Converrà ricordare che il primo tentativo di dotare Roma di un sistema di approvvigionamento idrico che fosse autonomo rispetto alla speculazione privata, fu attuato dalla amministrazione Nathan con un primo studio (1908) e con la domanda di concessione delle sorgenti del Peschiera. Ma ci vorranno oltre 70 anni per realizzarlo: il decreto di concessione fu emanato solo nel 1927; fra il 1937 e il 1938 fu deciso (sulla carta) il trasferimento del servizio idraulico all'Azienda del governatorato di allora e la sua "priorità" sulla distribuzione privata.
Nel 1949 entrò in servizio, con una portata ridotta, il primo tronco del Peschiera. Ma solo dopo il 1964, dopo una memorabile discussione in Campidoglio, il Comune poté prendere possesso di tutte le acque fluenti in Roma con i relativi impianti e quindi impostare le opere grandiose concluse nel 1980, "un'opera destinata a restare nel tempo, come quelle della Roma antica", costruita "con la convinzione che l'acquedotto è un'opera che non deve morire mai" e con l'entusiasmo (oltre che con la fatica e l' ingegno) di chi crede ancora che il lavoro dell'uomo abbia una sua virtù creativa.

“la Repubblica”, 11 aprile 1985

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