10.2.14

Santi. Fra' Giacomo della Marca e il disco rosso (Alfonso Di Nola)

Quando nel 1422 il giovane francescano Giacomo della Marca fa la sua prima predica nel convento delle Croci, fuori San Miniato, sui colli fiorentini, aprendo una carriera apostolica che lo porterà sulle vie di molta parte di Europa, le folle di ascoltatori erano ancora immerse nel caos di credenze magiche e stregoniche. Ai livelli dell'aristocrazia intellettuale, monastica e laica, si maturavano i grandi ideali dell'Umanesimo, la improvvisa fioritura comunale  sembrava aver sepolto le strutture feudali e aperto gli uomini alla concezione pragmatica della politica e dei traffici, e tuttavia persisteva, al di là dei modelli celebrati dalla storia illustre, un'altra Europa, che ci è rivelata dai documenti minori, proprio i testi delle prediche, le decisioni dei sinodi provinciali, i pochi tratti di origine popolare insinuatisi nelle trattazioni dotte. 
Il frate, nella sua lunga predicazione itinerante, incontrerà i personaggi di questo mondo sotterraneo e dimenticato: per esempio una donna che portava nascostamente addosso, per i suoi incantesimi, carboni e ossa di teschi mescolati con l'ostia eucaristica; o una vecchia di Arquata del Tronto che andava in giro reggendo un aspo sul quale aveva avvolto, come in un trofeo, gli intestini dei suoi nemici; o ancora un'altra donna dello stesso paese che strappava le visceri agli uccisi e le divorava. Dalle relazioni sulla vita del santo redatte dal suo fedele biografo, il frate Venanzio da Fabriano, vengono fuori le immagini del tempo: in un uso di Visso, nelle Marche, si facevano celebrare, a scopo stregonico, nove messe su un altare coperto di escrementi di gallina, di cane e di rospo, mentre, nella strana turba di astrologi, indovini, oniromantici, cartomanti, incantatori e fattucchiere, non mancavano le maliarde che pretendevano di «andare in corso (cioè in volo) de nocte et bevere il sangue dei mammoli et simili pazzie».
Giacomo nasce a Monteprandone, presso Ascoli, nel 1393, forse nel 1394, da una famiglia povera di contadini. Da fanciullo è costretto a fare il pastore di pecore, ma anche il mandriano di porci, un mestiere tanto emarginato che ai mandriani non veniva concesso l'ingresso in chiesa. Ma il fanciullino, costretto ad una vita brutale, in una famiglia abituata alla violenza contadina (il fratello maggiore, punito divinamente con la morte, prende a feroci sassate la madre), fugge da casa dopo essere stato terrorizzato più volte da un lupo rabbioso che assalta lui e il gregge. Si ricovera nella casa di un parente prete a Offida, a una ventina di chilometri da Monteprandone, e dal prete apprende i rudimenti della scrittura e della lettura, passando poi ad Ascoli dove nel 1404, a dieci anni, è già buon grammatico. Inizia così un iter scolastico, cadenzato secondo l'ordine medioevale del trivio e del quadrivio, che avrebbe dovuto portarlo alle scienze del diritto. 
Studia a Perugia facendo da precettore in casa di un gentiluomo, che lo porta poi con sé a Firenze, dove probabilmente ricopre un ufficio pubblico notarile. Ha ormai i suoi vent'anni e, trovandosi a Bibbiena, presso i Francescani e in prossimità della Verna, sul quale San Francesco aveva avuto le stimmate, decide di abbandonare il mondo. 
La certosa fiorentina non lo accetta, ma il giovane, già fervente nella pratica religiosa, tornando nelle Marche, si ferma a Santa Maria degli Angeli, nella valle di Assisi, ed è accettato nell'ordine dei Minori, per celebrare dopo il noviziato la prima messa a vent'otto anni, nel 1422.
La sua è una scelta di pratica rigorosa ed ascetica in quella via dell'osservanza che, nella diversità delle correnti francescane, volle rappresentare un ritorno alla severità della prima regola, più volte addolcita ed addomesticata. Immerso nella via ascetica, piegato alla durezza di digiuni aspri e alla rinunzia ad ogni comodità, afflitto negli ultimi decenni da molti mali fisici, da una tisi divorante, dalla podagra, da difetti circolari, Giacomo divenne, anzitutto, un predicatore focoso e tenace, che si caratterizzava, nelle memorie del suo biografo, per voce risonante, acuto ingegno e straordinaria memoria.
Si scontrerà con i molteplici mali del secolo in una posizione talvolta violenta e intrasigente contro coloro che alla sua mentalità apparivano i peccatori e gli eretici. Sono i tempi di una chiesa, intimamente corrotta e mondana, che si scatena in una persecuzioni insensata e contrastante con ogni principio evangelico contro quanti non accettano i modelli della sua teologia e del suo potere secolare. Giacomo aggredisce subito i cosiddetti Fraticelli, i gruppi di frati francescani mendicanti che si opponevano alla corruzione del clero, proclamando il puro evangelo e pretendendo di essere i soli autentici seguaci di Francesco di Assisi. Giacomo predica contro di loro nelle Marche, dove essi si erano eletti, nel sogno apocalittico di una riforma del mondo, un imperatore, un papa, una papessa. Contro questi poveretti, che gli appaiono «aggravati di peccati con le donnastre», «scellerati fornicatori di sodomiti», in apparenza di spiriti celestiali, lancia i suoi strali e scrive un trattatello teologico.
Poi, partecipe in pieno della mentalità della sua epoca, Giacomo diviene uno dei più feroci polemisti contro le comunità di Ebrei tollerate nei comuni cristiani. Riesce, per esempio, a ottenere, nonostante le opposizioni di personaggi dotati di maggiore carità, l'inserzione dell'obbligo di portare un disco rosso per gli Ebrei negli statuti del comune di Recanati nel 1427. A Brescia nel 1462 è al centro di una delle solite accuse di infanticidio ebraico e risuscita un fanciullo cristiano che era stato infornato vivo da un bambino ebreo. Partecipa, poi, a quella lunga lotta francescana per la istituzione dei Monti di Pietà che si sarebbero dovuti sostituire ai prestatori ebrei, e mai vi riuscirono concretamente. 
A distanza di secoli il frate francescano, Piccaluga, che ne ha scritto la biografia ufficiale per il quinto centenario della morte, osserva, come se vivesse fuori dal tempo, che del resto l'odio antiebraico di Giacomo è ben spiegabile, perché gli Ebrei organizzano tuttora una congiura universale anticristiana, come «è documentato nei Protocolli dei Savi Anziani di Sion» (sic, nel 1973!).


“il manifesto”, 3 dicembre 1989

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