1.3.14

Francescanesimo (di Jacopo Manna – micropolis febbraio 2014)

E’ ripresa su “micropolis” la rubrica Parole, affidata questa volta a Jacopo Manna. Nel numero di febbraio la “voce” trattata è francescanesimo. Mi pare che corrisponda ottimamente all’intento di “rettificare i nomi” per recuperare un giusto rapporto tra le parole e le cose, reagendo a vecchie e nuove mistificazioni. Rimando per un primo approfondimento su alcuni temi suggeriti da Manna a un post di stamane, su questo stesso blog (http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2014/03/legenda-maior-san-francesco-edulcorato.html). (S.L.L.)

Il palazzo della Regione Umbria ospita una mostra dal titolo Francesco nel cuore delle regioni, dedicata alle “impronte francescane d’Italia”. Fuori dall’edificio un cartello dà indicazioni: “E’ dal 1939 - grazie al papa Pio XII che lo proclamò tale - che S. Francesco è il patrono d’Italia. Francesco
ha anche insegnato ad un’intera nazione a scrivere e a poetare, e ci ha donato il presepe, un’eredità culturale e profondamente popolare tra le più amate. Francesco ci chiama ancora oggi a costruire, una pietra dopo l’altra, la nostra Italia”.
Senza entrare nel merito della mostra e trascurando il fatto che Francesco non insegnò alla nazione né a scrivere né a poetare (il valore letterario del Cantico delle creature è stato ignorato fino all’Ottocento), il cartello riassume in poche righe una serie di convinzioni, divenute da molto tempo senso comune, su cui sarebbe ora di fare chiarezza. Accade a volte che di certi personaggi si divulghi una versione che a forza di smussature, fraintendimenti e rimozioni finisce per rendere l’originale irriconoscibile o addirittura rovesciarne il segno.
Francesco d’Assisi, figura scandalosa nella sua inconfondibile mescolanza di estremismo e mitezza, scelse di farsi ultimo tra gli ultimi: e ciò non per punire se stesso o per disprezzo dell’esistenza, bensì come gesto di imitazione amorevole nei confronti di Gesù Cristo, che si era abbassato dall’onnipotenza divina fino alla morte infamante sulla croce solo per gratuito amore dell’umanità. Un’imitazione tale da arrivare al più totale svuotamento di sé, da cui conseguiva un senso di vicinanza immediata a tutti gli esseri umani, in base al principio che solo chi non ha nulla da perdere non ha più nulla da temere e nessuno di cui diffidare. Da qui il culto per la povertà, trasformata nei discorsi del santo in una dama che lui e i compagni, simili ai cavalieri della Tavola rotonda, onoravano e difendevano.
Ma fu proprio questa povertà onorevole ed estrema a venire rifiutata e respinta, già forse a partire dagli ultimi anni di vita del santo, ormai isolato dalla maggioranza dei suoi seguaci che sembravano non capirlo più: immensamente cresciuti di numero erano divenuti un’organizzazione potente, per la quale Francesco dovette addirittura scrivere un regolamento. Mentre glorificano il loro fondatore, i frati minori fanno sparire il tema della povertà: in quegli affreschi della Basilica Superiore che, come ha ben spiegato Cacciari nel suo Doppio ritratto, danno della vita e delle scelte di Francesco d’Assisi una versione addolcita, censurando i conflitti interni all’ordine ed annullando proprio la rinuncia assoluta ad ogni possesso, la novità più sconvolgente del messaggio originario.
La nomina a Patrono d’Italia (così come i cospicui finanziamenti governativi alle celebrazioni francescane del 1926) è una delle tappe con cui il Vaticano e Mussolini, “l’uomo della Provvidenza”, risolvono il conflitto tra Stato e Chiesa, che in questo modo legittima il fascismo. Anche sorvolando sulla dubbia legittimità teologica di attribuire alla patria (entità storica) un protettore celeste, non si può non notare che a questo ruolo è stato chiamato proprio il meno regolare, il meno conciliante, il meno ufficializzabile di tutti i santi. Che ciò avvenisse durante il fascismo, quando come segno di identità non si poteva offrire alla nazione altro che miti e mistificazioni, è quasi ovvio.

Ma perché dobbiamo ereditare passivamente un rituale che mortifica la grandezza e l’originalità di Francesco d’Assisi?

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