Roma, Valle del Colosseo, Palatino Nord orientale, Scavi Archeologici |
Così parla il Tevere nei versi di
Ovidio: "Vidi questi luoghi quando erano praterie deserte, senza traccia
di mura; lungo le rive, pascolavano liberi i buoi...". Ricostruire il
paesaggio, conoscere gli uomini delle origini, è stata sempre un'aspirazione
dei romani, fin dall'antichità; con pretese scientifiche da parte di Varrone e
Tito Livio, con pietas commossa da
parte di Virgilio e di Ovidio. Lo storico però onestamente ammette:
"quando si tratta di tempi remoti, è lecito introdurre il soprannaturale
nelle vicende umane: conferisce solennità ai primordi delle città".
Il soprannaturale - mito,
leggenda, religione, feste, tabù - oggi è materia di indagine e spesso fornisce
conferme alla storia, o, se non altro, indizi preziosi. Secondo Georges
Dumèzil, la migrazione in Europa di popoli indoeuropei è riconoscibile dall'analogia
dei culti e delle classi sociali; l'approdo in Italia dei reduci della guerra
di Troia riceve conferma da insediamenti d'età micenea (anteriori al 1000 a.
C.) sulle coste orientali della Sicilia e della penisola. Era certamente a
conoscenza di quelle antichissime esperienze l'autore dell'Odissea: nei Ciclopi, in Polifemo, il poeta tratteggiò l'aspetto
selvaggio degli abitanti dell'Italia primitiva, ignari d'agricoltura, di scambi
culturali e commerciali con altri popoli, quali apparvero ai lontani
predecessori dei coloni greci.
Le leggende parlano sempre di
eroi venuti dall'oriente a portare benefizi agli italici: Ercole abbatte il bandito
Caco (kakòs = il Cattivo) che abitava
in una grotta sull'Aventino; il mite Evandro (eu andròs = il Buono) portò l'
alfabeto; Saturno, fuggito da Creta dove il figlio Giove l'aveva spodestato del
regno, insegnò agli italici l'uso della falce e la cultura della vite: lo
accolse benevolmente Giano, che abitava sul Gianicolo e gli concesse asilo nel
Lazio.
Gli italici della preistoria
vivevano in piccole comunità a economia pastorale; la loro cultura è detta
"appenninica" - età del bronzo, XVI-XI secolo a.C. - perché appunto
lungo la spina dorsale della penisola ne sono state trovate le tracce:
ceramiche nere con ornati geometrici incisi e colorati in bianco, strumenti per
la tessitura e la lavorazione dei prodotti del latte. La loro frequentazione
nell'area che poi diventerà Roma è stata riscontrata recentemente durante lo
scavo nell'ansa del Tevere tra il Campidoglio e l'Anagrafe, che ha portato alla
luce il basamento di due templi gemelli d'età regia e mirabili sculture in
terracotta del frontone. I due templi furono distrutti da un incendio e più
tardi ricostruiti a un livello di cinque metri più alto del precedente; nel
terriccio di riporto scaricato per alzare le fondamenta sono emersi frammenti
di ceramica che risalgono certamente all'età del bronzo, vale a dire ad almeno
sei secoli prima degli stanziamenti sui colli, testimoniati dalle capanne ellittiche
di cui conosciamo l'aspetto perché sono riprodotte nelle urne cinerarie in
terracotta; sul Palatino sono stati trovati i fori nei quali erano conficcati i
pali di sostegno e in base alla datazione (VIII secolo a. C.) quelle tracce
venerabili sono state chiamate "capanne romulee". Da quale dei colli
digradanti sulla pianura paludosa che poi si chiamò Foro Boario potevano esser
calati a valle quei piccoli reperti che anticipano al II millennio a.C. la nascita
se non di Roma, almeno d'un abitato nella zona? Gli studiosi hanno supposto che
i remoti predecessori delle comunità dei colli abitassero sul Palatino o sull'
Aventino; non hanno preso in considerazione l'eventualità che ve ne fossero sul
colle capitolino, che era diviso in due vette, l'Arx vera e propria, dove sorge la Chiesa di Santa Maria dell'Aracoeli,
e il Capitolium, dove si trova
Palazzo Caffarelli. Al posto dell'attuale piazza michelangiolesca si apriva una
valle; ma le testimonianze sia leggendarie sia storiche non parlano di
abitazioni nella zona e le tracce archeologiche non risalgono più indietro del
VI secolo a.C.
Quando scrutarono il volo degli
avvoltoi per stabilire quale dei due sarebbe stato re nella città di cui
avevano tracciato il perimetro, Romolo si pose in cima al Palatino, Remo all'Aventino;
quando tornò dalla guerra con i Cenini e riportò le spoglie del loro re ucciso,
Romolo salì sul Campidoglio per dedicarle a Giove Feretrio, ma non poté far
altro che deporle presso una quercia che i pastori ritenevano sacra. Allora
tracciò il disegno d'un santuario, il primo di Roma, e così facendo destinò il
colle a diventare il cuore sacro di Roma. La sua natura rocciosa, le pareti
ripide che nei secoli l'erosione naturale ha certamente attenuato, fecero del
Campidoglio la fortezza dell'Urbe, come dimostra l'episodio di Tarpea. Ma l'abitato,
protetto da palizzate e da fossi, era sul Palatino, a quanto affermò lo stesso
Romolo invocando Giove: "Il tuo auspicio, Giove, mi guidò, quando posi sul
Palatino le prime fondamenta dell'Urbe...". La costruzione sul Campidoglio
del maestoso tempio dedicato a Giove, Giunone e Minerva, fu iniziata da
Tarquinio Prisco, continuata da Servio Tullio, portata a termine da Tarquinio
il Superbo, che provvide anche a incanalare le acque del Foro e del Velabro
nella Cloaca Massima. L'area scoscesa obbligò i costruttori a livellare il
suolo e costruire una formidabile piattaforma artificiale: lavori costosi, che
richiesero mano d'opera venuta anche dall'Etruria. Non sembra dunque infondata
l' ipotesi, suggestiva ma non comprovabile, che i famosi reperti d'età del
bronzo trovati nel basamento dei due templi presso l'Anagrafe provenissero
proprio dal Campidoglio, dove in quello stesso torno di tempo avveniva l'assestamento
del colle per far posto al Tempio di Giove.
Oggi questa possibilità sembra
più verosimile. Durante uno scavo sotto il Palazzo Senatorio, sotto il Tabularium, il grande archivio di Stato
prospiciente il Foro (sotto la sala del Consiglio Comunale e lo studio del
Sindaco di Roma) sono state trovate molte cose; tra queste, un frammento d'
impasto nero senza decorazione, con un bordo sottile e uno spigolo vivo che,
procedendo a ritroso nel tempo, ci porta faccia a faccia con quei pastori del
XIV secolo a.C. che non si sapeva dove collocare. La direttrice dello scavo,
Anna Sommella Mura, non esclude che si trovino altre tracce nel materiale
accuratamente raccolto ma non ancora esaminato a sufficienza; comunque, con
quel "coccetto" - forse insignificante per i profani ma certo
rivoluzionario per gli studiosi - si ha la prova d'un abitato in cima al
Campidoglio nel II millennio a.C. Un residuo d'argilla cotta, che serviva a
intonacare il graticcio d'intelaiatura delle pareti delle capanne, dimostra la
continuità della frequentazione fino all'VIII secolo, il momento in cui le
comunità dei colli, frequentando un mercato sorto davanti all'isola Tiberina, dove
era facile il guado e l'approdo, si unirono in un culto comune, partecipando al
sacrificio del Septimontium (il che forse non significa: Sette monti, o colli,
ma "saepti", vale a dire protetti da rozze difese di pali e
terrapieni). I dati religiosi pongono sempre sul Palatino l'abitato arcaico: la
corsa dei Lupercali attorno a quel colle, la processione degli Argei che,
seguendo percorsi diversi, raggiungeva luoghi sacri in varii punti della città,
sono cerimonie antichissime, di cui i romani d'età storica avevano dimenticato
il significato; ed escludono il Campidoglio. Lo scavo in corso sotto il Tabularium spazza via d'un colpo le
stratificazioni depositate dai millenni; in un flash back vertiginoso ci
troviamo su una radura tra gli alberi: di lassù si scorge in basso una prateria
spesso invasa dalle acque, dove vagano i lupi. Chi, sul fianco destro del
Palazzo Senatorio, scorge un breve rettangolo chiuso da una palizzata, rispetti
quel recinto: dietro di esso, la Storia ha compiuto un lungo passo, ha
rischiarato zone oscure del passato: "là i nostri più remoti antenati
ringhiavano di ferocia, tremavano di paura".
“la Repubblica”, 23 giugno 1984
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