1.3.14

Paolo Villaggio e l'epopea di Fantozzi (Bruno Gambarotta)

Se volete fare un regalo a Paolo Villaggio, procuratevi dal Marocco un ghandora, lo farete felice; nel suo guardaroba ne ha già 40 di tutti i colori, ma non gli bastano mai. Per quei pochi che non lo sapessero, il ghandora è quella specie di camicia da notte che Paolo indossava ieri con invidiabile sprezzatura al Salone del libro, invitato per festeggiare la pubblicazione di Fantozzi, rag. Ugo. Tragica e definitiva trilogia, un libro che sancisce l'ingresso del suo autore nel pantheon dei grandi scrittori italiani del Novecento.
Come sostiene Stefano Bartezzaghi nella sua prefazione, il personaggio creato da Paolo Villaggio ha raggiunto lo stadio più vicino all'immortalità, dal momento che il nome ha perso la maiuscola ed è entrato nel lessico comune. Definiamo una situazione paradossale e catastrofica come «fantozziana», così come diciamo «kafkiana» per un incubo burocratico. Il mondo intorno a noi è diventato fantozziano. Già nel 2011, per il Salone del centocinquantesimo, Gian Arturo Ferrari aveva allestito la mostra dei 150 libri che hanno fatto la storia dell'Italia unita e fra questi c'era il primo libro di Fantozzi.
A Villaggio, che lo scorso 30 dicembre ha compiuto 80 anni, piace indossare i panni del vecchio decrepito, ma si tradisce manifestando curiosità per tutto quello che lo circonda. Nel pranzo che precede l'incontro, spazzola allegramente due abbondanti tartare di manzo e proseguirebbe se suo figlio non provvedesse a frenarlo. Vuole sapere tutto dei nostri vicini e mi chiede a voce alta chi è «quella vecchia» seduta a capotavola.
Il ragionier Fantozzi è uscito, come quasi tutta la letteratura russa, dal Cappotto di Gogol, e poiché a suo tempo Villaggio ha vinto il premio che porta il nome dell'autore delle Anime morte, gli chiedo delle sue letture. Non ho mai letto Cime tempestose, risponde, in compenso si lancia in un'analisi acuta e profonda di Delitto e castigo. «La gente vede i film e pensa che io sia solo un comico, ignora che le storie di Fantozzi le ho scritte io». Bene, questa è l'occasione giusta per dimostrare il contrario. Poi sale sul palco della Sala dei 500 e prima ancora di sedersi fa ridere tutti quanti. È più forte di lui.


“La Stampa”, 20 maggio 2013

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