15.3.14

Rousseau era soltanto un sogno. L’analisi di Starobinski (Fulvio Papi)

Rousseau in Svizzera perseguitato. Disegno di Bouchot
Ci sono molti indizi che fanno pensare alla guarigione della cultura contemporanea dalla malattia Jean Jacques Rousseau. Probabilmente era inevitabile, e forse è anche un bene aver allontanato dall'uso quotidiano l'ombra di un piccolo borghese senza capitalismo, un rivoluzionario dell'immaginazione, un soggetto ostinato frequentatore di irrealtà, marcato dal vizio teologico che vede nel mondo l'assenza della verità e la fioritura opaca del negativo. Che sia accaduto senza rimpianti tuttavia è falso, poiché le sue possibilità di seduzione erano innumerevoli e le occasioni dei suoi testi a portata di fantasia e di parola, di persona o di gruppo. Jean Jacques tenne compagnia anche ai sogni occidentali della «rivoluzione culturale» cinese. A chi, in una forma o nell'altra, per via di Marx, Proust, o, più in piccolo, Levi-Strauss, aveva contratto il contagio, la notizia attuale del pieno ristabilimento credo sia destinata a dare quella leggera vertigine che s'incontra nell'aria di primavera dopo una lunga febbre
Eric Weil scrisse una frase piena di luce: «Ci voleva Kant per pensare i pensieri di Rousseau. Infatti se si decide, anche nel caso di Rousseau, di optare per lo stile della filosofia, allora le riflessioni roussoiane di Kant, giovane e vecchio, sono insuperabili. Esse dicono che attraverso la metafora dello stato di natura è possibile pensare la critica del mondo storico e sociale, le sue ingiustizie, violenze, bruttezze, stupidità, mentre attraverso il contratto sociale è possibile costruire, nel tempo storico e con l'artificio, una comunità che realizzi nella forma della vita civile i valori morali che la
natura ha inscritto nel proprio disegno. La filosofia di Rousseau, attraverso Kant, diventa una delle variabili illuministiche della filosofia della realizzazione, dell'ordine razionale del mondo e della educazione dell'umanità. Ma — domandiamoci — che cosa vuol dire trovare i «pensieri» di Rousseau?
Ovviamente il pensiero è nulla, ma se lo si nomina si intende indicare una regola discorsiva, un modo di porgere gli argomenti, un presupporre un rapporto particolare tra chi parla e chi ascolta che non è proprio di altri scambi simbolici. Parlare di pensiero vuol dire interpretare con una straordinaria energia. L’antologia di queste letture di Rousseau appartiene a una tradizione interpretativa molto forte e piena di conflittualità: c'è o non c'è unità nel pensiero di Rousseau? Comunque la questione venisse risolta, essa coimplicava quasi sempre solo le opere più note e la legittimità o meno di certi percorsi tra l’una e l'altra. In ogni caso quando si privilegia il «pensiero» di Rousseau è quasi inevitabile che l'opera di Rousseau venga letta come una «filosofia della realizzazione» con un effetto abbastanza sconvolgente rispetto ai patimenti intellettuali dell'autore: pensiamo quanto Rousseau, fonte del giacobinismo, avesse in sospetto il cambiamento politico e come lo considerasse simile a un'imprudenza. Questo è solo un esempio abbastanza banale, ma molte delle iniziative che seguono il processo di oggettivazione filosofica e storica dei testi roussoiani, allontanano le pagine dal loro autore. Esse vengono proiettate su altre storie più rilevanti, si guadagna così in prospettiva, ma a prezzo di una trasfigurazione del senso sulla quale si è esercitata la lettura possessiva di generazioni dì interpreti.
Lo splendido libro di Jean Starobinski di più d'una decina d'anni fa, ora tradotto in italiano (La trasparenza e l'ostacolo,Il Mulino) è ormai un classico della inversione di rotta. Credo si debba a questo libro l'impossibilità di guardare a Rousseau con l'ingenuità filosofica del concetto. Il che significa essere in grado di cogliere tutte le derive possibili di questo linguaggio. Naturalmente il libro di Starobinski è scritto in dialogo con gli interpreti contemporanei che valgono di più, Dérathé, Burgelin, Guéhenno, Gouhier, Raymond, ecc.), ma il suo stile non è quello di un mosaico storiografico, ma di un ascolto paziente, sottile e insistente. Troviamo Rousseau attraverso , come deve avvenire per un autore che è continuamente un problema per se stesso: pagine che rappresentano, pagine che vogliono dire, pagine che devono essere difese.
Una lettura che percorre questi strati di discorso e che li deve continuamente dominare con il gioco delle reciproche illuminazioni ha bisogno, via via, di comporre «figure» che mostrino le varie apparizioni dell'autore e dei suoi testi. prelievo e la comparazione dei segni è una pratica medica prima che psicoanalitica: da sempre ho ammirato Starobinski, ma solo adesso ha scoperto che lo scrittore di filosofia è anche medico. La lettura «dentro» Rousseau produce naturalmente risultati irreversibili ma, fatto interessante, conduce Starobinski nel circuito dei grandi lettori contemporanei di Rousseau, Goethe, Schiller, Holderlin. Toglie quindi dall'oblio storiografico modi di capire e di reagire...
Di questo ascolto qui non posso riferire che le due voci dominanti, quelle che il titolo del libro getta nel primo piano: la trasparenza e l'ostacolo. Trasparenza e ostacolo sono incompatibili. Ove esiste l'ostacolo il prezzo della sua eliminazione è la perdita della trasparenza. Ma se vi è trasparenza non esistono più ostacoli: anima, mondo e natura penetrano l'uno nell'altro in una danza casta e felice. La trasparenza è la comunicazione reciproca senza residui, il riconoscimento delle individualità come anime che trasmettono l'immediato sentire, è il linguaggio diretto del sentimento che comunica in forma evidente. La trasparenza era all'origine dell'umanità, e il racconto della origine silvestre degli uomini è necessario a Rousseau per stabilire un rapporto tra discorso e realtà, tra immaginario e possibile a l'origine trasparente è anche un sogno individuale poiché l'io può salvarsi interiormente dal naufragio del mondo, e diventare una scelta di esistenza ostinata sino all'ossessione.
L’ostacolo è sulla strada della vicenda umana. Ostacolo è la natura che circonda l'anima e che ne limita il perimetro espansivo con il peso del corpo; occorre vincere questo limite con il lavoro e la comunità sociale. Ma l'ostacolo così non si rimuove al contrario si raddoppia: i mezzi diventano il centro dell'esperienza, la comunicazione sociale vede comparire l’interesse individuale, l'orgoglio, la competizione, lo scambio apparente, la strategia. Si perde la solidarietà naturale e nasce un mondo che riproduce ostacoli, linguaggi che non sono evidenti e rinviano a una interpretazione senza fine che diffonde opacità ed inganno. Così che, nel disastro del mondo, la trasparenza può ritornare solo come trasparenza di sé, confessione: “Io sono la mia ricerca di me”, scrittura come dettatura dell'anima, segno che dalla solitudine dell'io ripete, nel senso, la musica delle origini.
Le pagine di Starobinski paiono in gara con se stesse quanto alla bellezza. In modo immodesto premierò, su tutte le parti che analizzano la festa nella Novella Eloisa. Dopo i carnevali cristiani che rinnovano le feste d'inverno dell'antichità, il gioco teatrale del misconoscimento delle maschere, la gloria della festa politica, partecipiamo alla festa edificante delle anime belle nella pace idilliaca dell'isola della virtù e della natura. Poi, inevitabilmente ricomincia tutto da capo.


“L’Unità”, 22 settembre 1982

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