13.4.14

Cesare Musatti. Un uomo libero, un socialista (Rossana Rossanda)

Quante volte Cesare Musatti ci aiutò, a Milano, quando si trattava di ritessere un dibattito nella sinistra fra gli anni cinquanta e gli anni sessanta? Perfino nel 1956, quando molti ci voltarono le spalle e avevamo noi stessi il cuore stretto e la testa bruciante di domande, venne con calma a presiedere un dibattito in una sala piena di agitazione. Era, come tutti, sconvolto ma ricordo che oltre all'intervento politico ammonì, con l'abituale modo dimesso di parlare di quella che era la sua scienza e professione, a guardarci dai complessi — quello del tradito, quello del transfuga — che non potevano non inquinare quelle emozioni. Faceva un uso del suo sapere assolutamente semplice, equilibrante: pareva sempre che avesse più anni e più esperienza di tutti, e ne avesse tratto una indomabile curiosità e una disponibilità illimitata.
Che socialista era? Rivado agli anni cinquanta, alle lotte nella federazione socialista milanese, prima morandiana, poi autonomista con Guido Mazzali e, appena defilate, le presenze degli outsiders, Lelio Basso improvvisamente sulla cresta dell'onda al Congresso del 1957, e Riccardo Lombardi, tutti divisi — tutti miei amici, in anni di cui ora si dice che erano settarissimi, tutti pezzi della mia vita e del mio lavoro — ma Musatti non lo so collocare. Non ho memoria di sue laceranti prese di posizione, mentre si delineavano, perdevano o vincevano degli altri; laceranti e tuttavia unite da un filo che si ruppe soltanto nel 1963, quando Lombardi chiese al comitato centrale «Ma siamo ancora socialisti?» e il partito si spezzò.
Musatti non era uomo di rotture, ma neppure si lasciava portare dalle maggioranze. Non fece mai trascolorare quel suo socialismo che, con qualche civetteria, voleva all'antica. Se lo poteva permettere perché non era mai stato uomo d'apparato né intellettuale di riserva, né fiore all'occhiello. Amico com'era di alcuni di noi comunisti, credo che neppure al più insulso dei polemisti sia mai venuto in mente di definirlo «compagno di strada» che implica una subalternità e tanto meno «utile idiota», che è stato un assai diffuso insulto. La sua libertà era fuori discussione, era un uomo di sinistra com'era stato il primo divulgatore di Freud in Italia: una forma della cultura, del carattere.

Con un accento singolare: la sinistra era asseverativa e sapeva tutto, lui aveva una irreprimibile curiosità; gli uomini di sinistra davano spesso sul triste, i suoi occhi ridevano sempre. Non ha mai smesso di trovare lo spettacolo del mondo degno di attenzione, sdegno, pietà ma anche fonte d'una sorta di filosofico divertimento. E' stato fra i pochi capaci di trovar divertente perfino l'invecchiamento, la sfida agli anni, al corpo che ti tradisce mentre la testa ti resta giovane. Senza la benché minima enfasi, perché nulla gli era più lontano, sempre con l'aria di non essere il primo né in trincea ma quasi un po' accanto alle cause giuste, agli eventi grandi, Cesare Musatti è stato una delle persone più libere del lungo dopoguerra. Che la terra gli sia leggera, come avrebbe detto a chi di noi se ne fosse andato prima.

"il manifesto", 24 marzo1989

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