13.4.14

Il paradosso del canarino (Carlo Grande)

Canarino arricciato di Parigi
“La poesia è un canarino in una miniera di carbone”, ha scritto J. Lawrence Ferlinghetti. Mi è tornato in mente a Zollverein, vicino a Essen, nel cuore della Ruhr: lì, in Germania, c'era una delle miniere più grandi del mondo, scendevano sottoterra migliaia di uomini. È stata magistralmente ristrutturata, ora è un monumento di archeologia industriale e vale la pena di visitarla. Nei giorni scorsi, organizzato con la Francia, si è svolto il Forum d'Avignon Ruhr: studenti, scienziati, scrittori, artisti, politici e imprenditori riuniti a immaginare una società diversa, nella quale economia e cultura collaborano. Più giustizia e creatività, meno conformismo. Nella Ruhr e in Germania sono stati maestri nel rinnovarsi e ridisegnare l'economia attraverso i beni culturali, dando spazio ai giovani: e noi, che siamo la superpotenza mondiale della cultura?
Il canarino torna a cantare, insomma. Lo fa in mille modi diversi. Lo sanno gli appassionati (Umberto Saba era uno di loro) che se li coccolano. Hanno mille forme, piume, gorgheggi: chi pensa che il canarino sia solo giallo («Mi è semblato di vedele un gatto», Titti) si sbaglia. Ce n'è di tutti i colori, razze arricciate come il parigino, che ricorda certe signore spettinate dal coiffeur a colpi di centinaia di euro. Tra i canarini da canto bravissimi i tedeschi, va da sé, poi c'è l'Harzer Holler che canta a becco chiuso. Anche gli spagnoli van forte, hanno melodie originalissime, sono più “enduendadi” di Garcia Lorca (leggere Il duende, meravigliosa lezione sulla creatività).
Richiedono cure, come tutte le cose essenziali e delicate: sul fondo della gabbia si cambia la carta di giornale tutti i giorni (fa bene anche alla lettura, in declino in Italia); si nutrono a dovere con il «pastoncino», si tiene la gabbia in luoghi adeguati. Loro cantano per amore o per rabbia, perché uomini e animali non dovrebbero star mai rinchiusi. Sono tempi sbandati, da miniera, e tutto serve a sopravvivere, anche il paradosso del canarino. Non scartiamo nulla e nessuno, per sperare.

«Chi non trova il paradiso quaggiù non lo troverà neanche in cielo - diceva Emily Dickinson - Gli angeli stanno nella casa accanto alla nostra ovunque noi siamo». Ne L'esistenza degli angeli (il Melangolo), si ricorda la Lettera agli ebrei: «Non dimenticate l'ospitalità: perché alcuni praticandola, senza saperlo, hanno ospitato angeli». 

"La Stampa", 2 luglio 2013

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