13.4.14

Michele Parrella (Giovannino Russo)

In occasione della pubblicazione dell'intera opera poetica di Michele Parrella, Giovanni Russo detto Giovannino, giornalista del “Corsera” meridionale e meridionalista, ne rievoca la figura umana e artistica, giustamente rivendicando per lui un ruolo non marginale nella storia del Novecento letterario. (S.L.L.)
Michele Parrella
La pubblicazione di tutte le poesie di Michele Parrella (Poesie 1947-1996, Avagliano editore, pp. 347, 15), che divise la vita tra la sua regione, la Lucania, e Roma, non è solo un avvenimento letterario, ma è anche l' occasione di compiere un atto di riparazione per il silenzio o l' omissione dei critici. Giuseppe Lupo ne ha restaurato l' ordine: dalle prime raccolte Poesia e pietra di Lucania, Paisano, La piramide di pietrisco, a La piazza degli uomini e Poesie civili e d'amore; ha ritrovato poesie disperse su riviste o giornali e quelle inedite, alcune manoscritte, che donava agli amici più cari. Abbiamo così tutta la sua opera poetica, che lo pone allo stesso livello dei poeti più celebrati del Novecento e, come scrive nella postfazione Andrea Di Consoli, lo mette «a fianco di Leonardo Sinisgalli, Albino Pierro e Rocco Scotellaro, modificando e allargando definitivamente la triade (il grande canone poetico lucano novecentesco) in quartetto».
Nel telero Lucania 61 realizzato da Carlo Levi per rappresentare la Basilicata nel centenario dell'unità italiana, Parrella appare accanto a Giuseppe Zanardelli, Giustino Fortunato, Guido Dorso, Francesco Saverio Nitti e all'amico Rocco Mazzarone, mentre Rocco Scotellaro parla ai contadini: una rappresentazione del mondo politico e culturale in cui fiorisce la sua poesia. Dal paese-teatro delle prime raccolte, in cui prevale il rapporto tra poesia e musica («col cupo-cupo / ho riempito i miei versi / i primi che ho scritto»), emerge la seconda fase della sua poesia che, pur mantenendo l'eco della filastrocca o della cantilena, affronta i temi politici, civili e sociali della Basilicata e della società italiana ed europea. È simbolica di questo passaggio la poesia intitolata Laurenzana, il paese natale: «Qui sono nato, qui ritornerò. / Ma come un aquilone / ho attraversato il Serrapotamo, / la Camastra, il Basento. / Come un aquilone / sono passato sull' Appennino, / la valle dei padani, il Brennero. / E al mattino, simile / a un aquilone dal filo / infinito ho sorvolato l' Europa / azzurra come il Volturino».
Sarebbe un errore restringere l'«aquilone» Michele Parrella in una poetica meridionale, limitarlo in una rievocazione di un mondo perduto o alla vibrazione tenera di sentimenti legati alla nostalgia. La poesia italiana è sempre stata personale ed elitista. Parrella ha il sentimento dell'epico come i grandi poeti classici. Pasolini è stato certo un poeta civile, ma legato all'ideologia del comunismo, Parrella non si identifica con un partito. Citiamo l' ultima parte della poesia del 1978 intitolata Il cieco futuro del partito armato, che fu pubblicata con un disegno di Guttuso nella “Domenica del Corriere” durante il sequestro di Aldo Moro: «Un triste banchetto / si è diffuso / un banchetto di stracci, di frasi / che si scontrano in un imbuto vuoto / e si fa esempio del popolo divenuto bersaglio e fiera. / Fingendo una nuova bandiera / si grida a un cieco futuro / che non cadrà come frutto maturo / se non in quella tetra frontiera / ove il sogno della realtà si perde / e s'infrange ogni sembianza d'Europa».
Nella poesia Nord e Sud, scritta nel novembre 1993, il ruolo che ha avuto la magistratura nella vicenda di Tangentopoli e la morte di uno degli incriminati diventano poesia: «È Milano al centro / di questo livido / tambureggiare / S' intravedono le ceste, / le inferriate, il patibolo. / Un feretro esce dai carriaggi / delle carceri / i reclusi restano chiusi nelle celle / nelle strade / il popolo fischia e applaude / al passaggio di quel corpo / con la testa avvolta nella plastica». Al disprezzo della vita, Parrella contrappone l'umanità della sua terra lucana: «Nel mio villaggio / nel popolo decimato / della Basilicata sopravvive la pietà».
L'emigrazione è l'altro motivo dominante della sua poetica: prende spunto da una visita ai Sassi di Matera e, guardando un buco nero scavato nel tufo, scrive: «Da quella porta / sono usciti i nostri padri / i nostri fratelli / che in Europa fanno ruotare / i torni, i mulini».
Roma è presente come la Lucania e ha il colore e il fascino della notte, una Roma notturna amata e percorsa tra obelischi e ruderi. Queste poesie sono anche un colloquio, e spesso un dialogo intenso, che talvolta riguarda l'amico più caro, Antonello Trombadori, talvolta si rivolge a Carlo Levi e Rocco Scotellaro, numi tutelari della Basilicata, sempre con la nostalgia dei paesi lucani proprio come un aquilone il cui filo sia rimasto impigliato nella terra di origine.
Le poesie dedicate alle immagini femminili sono piene di grazia, di delicatezza, fotofinish di donne colte nei loro sguardi, nei loro passi, fissate mentre contemplano una statua o un obelisco.
Michele Parrella, che ha scritto anche racconti, articoli per la rivista “Civiltà delle macchine”, è stato regista di documentari d' arte e d' ambiente sociale e uno dei protagonisti del mondo culturale e letterario romano. Dopo la morte, avvenuta l' 8 marzo 1996 a Roma (era nato il 17 ottobre 1929), era sceso su di lui un ingiusto silenzio forse perché è vissuto solitario e orgoglioso, schivo e libero da corteggiamenti verso i potenti della corporazione letteraria.


Corriere della Sera, 14 giugno 2007

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