25.5.14

Jorge Amado. Il Brasile del 900 raccontato dal basso (Eloisa Gallinaro)

Jorge Amado
Sessant'anni ininterrotti di romanzi concentrati su un paese, il Brasile, e soprattutto una città, Bahia, crocevia magico di razze e culture, popolata di simboli, di antieroi, di emarginati poveri e liberi: il mondo di Jorge Amado è passato al setaccio nello splendido numero monografico della rivista «Letterature d'America» [Bulzoni] dedicato al grande vecchio della letteratura brasiliana, presentato lunedì - con la partecipazione dello stesso Amado - al Centro de estudos brasileiros.
Sezionati e indagati nei più nascosti recessi, i personaggi di Arnado appaiono come dotati di vita propria e si muovono con disinvoltura tra le 160 pagine della rivista che comprende, oltre a una raccolta di saggi, anche uno scritto di Arnado - il discorso pronunciato all'università di Bari in occasione del conferimento della laurea honoris causa nel maggio dell'anno scorso - e un suo «autoritratto» in forma d'intervista.
Difficile dar conto della complicata tessitura narrativa o delle infinite articolazioni dei protagonisti, ma il senso di tutta l'opera è chiaro, ed è quello della voce data a chi di solito non ne ha. Per dirla con le parole dello stesso Amado: «Certi critici mi hanno accusato di non essere altro che un limitato romanziere di puttane e vagabondi. Penso che sia la verità e sono orgoglioso di essere il portavoce dei più emarginati fra tutti gli emarginati».
Un'opzione globale, l'ha definita Giovanni Ricciardi, «che ha prodotto una storia del Brasile vista dal basso, vista ora con gli occhi romantici e ribelli del Sergipano e di Neném, ora con lo sguardo incorreggibile e lietamente debosciato di Vadinho e di Cabo Martim, ora con gli occhi ammiccanti e ingenui di Gabriele, di Teresa Batista, di Manela». Personaggi fondamentalmente anarchici che, secondo Mauricio Gomes de Almeida, non riescono ad inquadrarsi nei limiti angusti della società istituzionalizzata, nei quali l'allegria è associata alla libertà e «diventa rivoluzionaria nella misura in cui mette in discussione le basi repressive e false del detestato mondo borghese». Personaggi legati dallo stesso filo sia in quelli che Ricciardi definisce i romanzi dell'allegria - Gabriela garofano e cannella, Due storie del porlo di Hnhin, I guardiani della notte, Dona Flor e i suoi due mariti, Teresa Batista stanca di guerra - sia nei romanzi della passione e dell'impegno Il paese del Carnevale, Cacao, Terre del finimondo, Messe di sangue.
L'altro elemento evidenziato è l'antirazzismo viscerale di Amado: non solo difesa del diverso ma esaltazione della mescolanza delle razze, del sincretismo religioso che ha unito nel candomblè i santi cattolici e gli orixàs africani, tratto specifico del melting pot brasiliano, e coscienza della ricchezza immensa della fusione tra i diversi, di quella «cultura mestiça» che nella visione di Amado «è il nostro contributo all'umanesimo universale».
Una scelta di campo fatta con largo anticipo sui tempi, nel 1935 con Jubiabà e con il nero Antonio Balduino che si innamora della bianca Lindinalva, quando negli stessi anni - nota Giorgio Marotti - «negli Stati uniti il best seller letterario e cinematografico era Via col Vento e tutto il mondo si uniformava ai modelli americani quando non li superava in originalità razzistica».
Il simbolo di speranza è il mulatto che porta sulla sua pelle il colore dell'Africa e dell'Europa, dice ancora Marotti riecheggiando le parole dello stesso Amado «Siamo latini e africani, Bahia è la mescolanza di Lisbona e Luanda».


Talpalibri de “il manifesto”, 8 novembre 1991

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