16.5.14

Socialismo del XXI° secolo. Marx legga Leopardi (S.L.L.)

Ritratto di Giacomo Leopardi
Opportunamente le edizioni del Ponte iniziano la pubblicazione delle Opere complete di Walter Binni con tre volumi di Scritti leopardiani. Giacomo Leopardi, infatti, non è solo il poeta cui l'italianista perugino ha dedicato più passione e impegno, quello con cui ha iniziato e concluso la sua attività di critico, ma è stato per lui un maestro di verità e di moralità, di quelli che non finiscono mai di dire le cose che hanno da dire.
Non aveva torto. Per esempio che gli uomini (come proclama l'epigrafe della Ginestra leopardiana, estratta dal Vangelo di Giovanni) preferiscano le tenebre alla luce e sovente si rifugino in miti e autoinganni consolatori, è massima pertinente ai giorni nostri. Viviamo in tempi bui. Dopo la sconfitta dell'esperimento comunista del Novecento, le promesse di una generale e universale felicità fondata sui consumi, che la diffusione del modello capitalistico occidentale avrebbe gradualmente realizzato, si sono rivelate fragili fino all'inconsistenza, mentre disuguaglianze, sperperi e distruzione ambientale accompagnano una nuova sottomissione e disgregazione politica del lavoro. Alla questione sociale, che si ripropone persino nei punti più alti della crescita, si accompagna una generale domanda di senso, che non trova risposte neanche parziali.
Viviamo in tempi bui e tra noi emerge un nuovo affidamento alla religione istituzionale. I tentativi di Restaurazione che la Chiesa cattolica ha promosso con gli ultimi tre papi (l'ultimo, il più subdolo, è tuttora in atto) non hanno fermato i processi di secolarizzazione, ma hanno favorito una sorta di affidamento, affermato una superiorità. Non c'è stata l'ondata di conversioni illustri del primo Ottocento, ma, soprattutto tra intellettuali e politici di mestiere, una abdicazione dei credenti nella ragione rispetto ai creduloni della trinità e dell'ostia santa. A costoro, e più ancora ai loro preti, si è demandato il monopolio dei “valori” di fratellanza e solidarietà, riconoscendone “il primato morale e civile”, affermando che la fede darebbe “una marcia in più”.
Leopardi e Binni hanno molto a che vedere con questo groviglio di contraddizioni. Nell'edizione del Ponte accanto ai saggi più noti e agli ultimi, densi, scritti sulla Ginestra, si ritrovano le meno note Lezioni leopardiane tenute a Roma negli anni Sessanta, che scavano nel farsi della poesia. Ne emerge una critica potente dell'alienazione religiosa, dei miti che la sostengono, degli effetti che determina. Recuperati dallo Zibaldone vi si trovano giudizi come questo: “il Cristianesimo surrogando un altro mondo al presente; ed ai nostri simili, ed a noi stessi un terzo ente, cioè Dio, viene nella sua perfezione, cioè nel suo vero spirito a distruggere il mondo, la vita stessa individuale [...] e soprattutto la società, di cui a prima vista egli sembra il maggior legame e garante. Che vantaggio può venire alla società, e come può ella sussistere, se l’individuo perfetto non deve far altro che fuggir le cose per non peccare? impiegar la vita in preservarsi dalla vita? Altrettanto varrebbe il non vivere”. Dirà il Binni di quelle lezioni: “immettevo i fermenti ribelli, protestatari di Leopardi nelle tensioni delle giovani generazioni che avrebbero avuto la loro maggiore esplosione nel ’68”.
Oggi a una umanità disorientata e ai ceti popolari, spesso acculturati, ma privati di coscienza di classe e sfiduciati nell'agire collettivo, si torna a offrire la certezza del dogma, la speranza del miracolo, la fiducia nel risarcimento ultramondano, la caritatevole tutela della chiesa istituzionale, che condiscono la sostanziale rinunzia a vedere e a estirpare le radici dell'oppressione. A tutto ciò Leopardi e Binni oppongono la convinta affermazione dell'inconciliabilità con il dogma religioso di ogni ipotesi di liberazione politica e sociale (“Libertà vai sognando, e servo a un tempo / vuoi di nuovo il pensiero”). Una vita umana più degna può darsi soltanto “nulla al ver detraendo”, cioè accettando una condizione naturale esposta alla sofferenza, all'invecchiamento, alla malattia e ponendo il “verace sapere” a fondamento della società e della politica: “Non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sí bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita”(Dialogo di Plotino e di Porfirio). Il Leopardi, dunque, valorizzato l'“amor proprio” contro l'etica del “sacrificio”, ragionatamente lo distoglie dal “pestifero egoismo”, dal gretto utilitarismo privato, dai consumi che consumano e non salvano, per orientarlo al “ben comune”, ai “pubblici fati”. In questo senso si può affermare, con Binni, che il poeta “prepolitico” appresti “un potente intervento ... nel processo intero e complesso della costruzione della società socialista”, giacché sottolineando “i limiti della condizione umana, che escludono facili paradisi”, conduce a “lottare con l’arma della verità, dovuta a tutti, per una società di liberi ed eguali, estremamente ardua e interamente diversa da quella in cui tuttora, drammaticamente, viviamo”. Il gran perugino soleva dire: “E' essenziale che Marx legga Leopardi”. Anche noi pensiamo che il socialismo del XXI secolo ne abbia una necessità assoluta.

micropolis, aprile 2014


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