1.6.14

Il generale alla guerra dei libri (Italo Calvino per "l'Unità" - 1953)

In Panduria, nazione illustre, un sospetto s'insinuò un giorno nelle menti degli alti ufficiali: che i libri contenessero opinioni contrarie al prestigio militare. Difatti, da processi e inchieste era risultato che quest'abitudine ormai così diffusa di considerare i generali come gente che può anche sbagliare e combinar disastri, e le guerre come qualcosa di talvolta diversa da radiose cavalcate verso destini gloriosi, era condivisa da una gran quantità di libri.
Lo Stato Maggiore di Panduria si riunì per fare il punto della situazione. Ma non sapevano da che parte cominciare, perché in materia bibliografica nessuno di loro era molto ferrato. Fu nominata una commissione d'inchiesta, al comando del generale Fedina, ufficiale severo e scrupoloso. La commissione avrebbe esaminato tutti i libri della più grande biblioteca di Panduria.
Era questa biblioteca in un antico palazzo pieno di scale e di colonne, scrostato e qua e là cadente. Le sue fredde sale erano stipate di libri, strapiene, in parte impraticabili; solo i topi potevano esplorarle in tutti gli anditi.
I militari presero possesso della biblioteca un piovoso mattino di novembre. Il generale smontò da cavallo, la grossa collottola rapata, con le sopracciglia aggrottate sopra il pince-nez: da un'auto scesero quattro tenenti spilungoni, a mento alzato e palpebre abbassate, ognuno con la sua cartella in mano. Poi venne una squadra di soldati che s'accamparono nell'antico cortile, con muli, balle di fieno, tende, radio da campo e bandiere a lampo di colore.
Furono messe sentinelle alle porte, e un cartello che vietava l'ingresso, «causa le grandi manovre, fino a tutta la durata delle stesse». Era un espediente, perché l'inchiesta potesse essere compiuta in gran segreto. Gli studiosi che usavano recarsi in biblioteca ogni mattino, tutti incappottati, con sciarpe e passamontagna per non gelare, dovettero tornarsene, indietro. Perplessi, si chiedevano: «Ma come le grandi manovre in biblioteca? Ma non metteranno in disordine? E la cavalleria? E faranno pure i tiri?».
Del personale della biblioteca rimase solo un vecchietto, il signor Crispino, reclutato perché spiegasse agli ufficiali la dislocazione dei volumi. Era un tipo bassottino, con la testa calva a uovo, e occhi come capocchie di spillo dietro gli occhiali.
II generale Fedina si preoccupò innanzi tutto dell'organizzazione logistica, perché gli ordini erano che la commissione non uscisse di biblioteca prima d'aver condotto a termine l'inchiesta: era un lavoro che richiedeva concentrazione, e non dovevano distrarsi. Così si procurarono rifornimenti di viveri, alcune stufe da caserma, una provvista di legna cui andarono ad aggiungersi alcune raccolte di vecchie riviste, reputate poco interessanti. Mai c'era stato tanto caldo in biblioteca, di quella stagione. In luoghi sicuri, circondati da trappole per topi, furono poste le brande dove il generale ed i suoi ufficiali avrebbero dormito.
Poi si procedette alla divisione dei compiti. A ognuno dei tenenti furono assegnate determinate branche dello scibile, determinati secoli di storia. Il generale avrebbe controllato lo smistamento dei volumi e apposto timbri diversi a seconda se il libro era dichiarato leggibile per gli ufficiali, sottufficiali, la truppa, oppure andava denunciato al Tribunale militare.
E la commissione cominciò il suo servizio. Ogni sera la radio da campo trasmetteva il rapporto del generale Fedina al comando supremo, «laminati volumi numero tanti. Trattenuti come sospetti tanti. Dichiarati leggibili per ufficiali e truppa tanti». Di rado quelle fredde cifre erano accompagnate da qualche comunicazione straordinaria: la richiesta di un paio di occhiali da presbite per un tenente che aveva rotto i suoi, la notizia che un muto s'era mangiano un raro codice di Cicerone lasciato incustodito.
Ma avvenimenti di portata ben maggiore andavano maturando, di cui la radio da campo non trasmetteva notizia. La foresta dei libri anziché sfoltirsi, pareva farsi sempre più aggrovigliata ed insidiosa. Gli ufficiali si sarebbero smarriti, non fosse stato per l'aiuto del signor Crispino. Per esempio, il tenente Abrogati s'alzava ip piedi di scatto e buttava sul tavolo il volumje che stava leggendo: «Ma è inaudito! Un libro sulle guerre puniche che parla bene dei cartaginesi e critica i romani! Bisogna subito fare la denuncia!». (Va detto che i panduri, a torto o a ragione, si consideravano discendenti dei romani). Col suo passo silenzioso nelle pantofole felpate, gli s'avvicinava il vecchio bibliotecario. «E questo è niente... - diceva - legga qui, sempre sui romani, cosa c'è scritto, ci potrà mettere anche questo nel verbale, e questo e questo...», e gli sottoponeva una pila di volumi. Il tenente cominciava a sfogliare i volumi, nervoso, poi più interessato leggeva, prendeva appunti. E si grattava la testa borbottando: «Perbacco! Ma quante se ne imparano. Ma chi l'avrebbe detto!». Il signor Crispino si spostava verso il tenente Lucchetti che chiudeva un tomo con furia, dicendo: «Bella roba! Qui hanno il coraggio di esprimere dei dubbi sulla purezza degli ideali delle Crociate! Signorsì, delle Crociate!». E il signor Crispino, sorridente: «Ah guardi, che se deve fare un verbale su quell'argomento, posso suggerirle qualche altro libro, dove può trovare più dettagli...», e gli tirava giù mezzo scaffale. Il tenente Lucchetti si faceva sotto a testa bassa, e per una settimana lo si sentiva scartabellare e mormorare: «Però queste Crociate, bell'affare!».
Nel comunicato serale della commissione, la cifra dei libri esaminati era sempre più grossa, ma non si riportava più alcun dato sui verdetti positivi o negativi. I timbri del generale Fedina restavano inoperosi. Se egli, cercando di controllare il lavoro dei tenenti, chiedeva a uno di loro: «Ma come mai ha lasciato passare questo romanzo? La truppa ci fa più bella figura degli ufficiali! È un autore che non rispetta l'ordine gerarchico!», il tenente rispondeva citando altri autori e impelagandosi in ragionamenti storici, filosofici ed economici. Ne nascevano discussioni generali, che continuavano ore e ore. Il signor Crispino, silenzioso nelle sue pantofole, quasi invisibile nel suo camice grigio, interveniva sempre al momento giusto, con un libro che a suo parere conteneva particolari interessanti sull'argomento in questione, e che aveva sempre l'effetto di mettere in crisi le convinzioni del generale Fedina.
Intanto i soldati avevano poco da fare e s'annoiavano. Uno di loro, Barabasso, il più istruito, chiese agli ufficiali un libro da leggere. Lì per lì volevano dargliene uno di quei pochi che erano già stati dichiarati leggibili dalla truppa; ma pensando alle migliaia di volumi che restavano ancora da esaminare, al generale rincrebbe che le ore di lettura del soldato Barabasso andassero perdute ai fini del servizio; e gli diede un libro ancora da esaminare, un romanzo che pareva facile, consigliato dal signor Crispino. Letto il libro, Barabasso doveva riferirne al generale. Anche altri soldati chiesero e ottennero di fare lo stesso. Il soldato Tommassone leggeva ad alta voce a un suo camerata analfabeta, e questi diceva il suo parere. Alle discussioni generali cominciarono a partecipare anche i soldati.
Sul proseguimento dei lavori della commissione non si conoscono molti particolari: quello che successe nella biblioteca nelle lunghe settimane invernali non è stato riportato. Sta il fatto che allo Stato Maggiore di Panduria i rapporti radiofonici del generale Fedina arrivarono sempre più radi, fino a che non cessarono del tutto. Il comando supremo cominciò ad allarmarsi: trasmise l'ordine di concludere l'inchiesta al più presto e di presentare un'esauriente relazione.
L'ordine giunse alla biblioteca mentre l'animo di Fedina e dei suoi uomini era combattuto da opposti sentimenti: da un lato stavano scoprendo ogni momento nuove curiosità da soddisfare, stavano prendendo gusto a quelle letture e a quegli studi come mai prima avrebbero immaginato; d'altro canto non vedevano l'ora di tornare tra la gente, di riprendere contatto con la vita che appariva loro adesso tanto più complessa, quasi rinnovata ai loro sguardi; e d'altro canto ancora, l'approssimarsi del giorno in cui dovevano lasciare la biblioteca li riempiva di apprensione, perché bisognava render conto della loro missione, e con tutte le idee che andavano loro rampollando in capo non sapevano più come cavarsi d'impiccio.
A sera guardavano dalle vetrate le prime gemme sui rami illuminate dal tramonto, e le luci della città accendersi, mentre uno di loro ad alta voce leggeva i versi d'un poeta. Fedina non era insieme a loro: aveva dato ordine di esser lasciato solo al suo tavolo, perché doveva stendere la relazione finale. Ma ogni tanto s'udiva il campanello suonare e la sua voce chiamare: «Crispino! Crispino!». Non poteva andar avanti senza l'aiuto del vecchio bibliotecario, e finirono per sedersi allo stesso tavolo e stendere la relazione insieme.
Un bel mattino finalmente la commissione uscì di biblioteca e andò a rapporto al comando supremo: e Fedina illustrò i risultati dell'inchiesta davanti allo Stato Maggiore riunito. Il suo discorso era una specie di compendio della storia dell'umanità dalle origini ai nostri giorni, in cui tutte le idee più indiscutibili per i benpensanti di Panduria erano criticate, le classi dirigenti denunciate come responsabili delle sventure della patria, il popolo esaltato come vittima eroica di guerre e politiche sbagliate. Era un'esposizione un po' confusa, con affermazioni spesso semplicistiche e contraddittorie come capita a chi ha da poco abbracciato nuove idee. Ma sul significato complessivo non si poteva avere dubbi.
Il consesso dei generali di Panduria allibì, sbarrò gli occhi, ritrovò la voce, gridò. Il generale non poté neppure finire. Si parlò di degradazione, di processo. Poi, per timore di scandali più gravi il generale e i quattro tenenti furono mandati in pensione per motivi di salute, causa «un grave esaurimento nervoso contratto in servizio». Vestiti in abili civili, furono visti spesso entrare, incappottati e imbottiti per non gelare nella vecchia biblioteca, dove li aspettava il signor Crispino coi suoi libri.


“l'Unità”, 23 novembre 1953

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