10.6.14

La morte di Primo Levi (Paolo Griseri)

Non ha lasciato nessuna spiegazione e questo è ancor più sconvolgente in uno scrittore che, come ci ha detto a poche ore dalla scomparsa Norberto Bobbio, «aveva spinto oltre ogni limite il tentativo di sondare l'insondabile, di spiegare l'incomprensibile della tragedia che ha testimoniato». Primo Levi ha deciso di andarsene così, rifiutando la risposta all'ultimo «perché», in una splendida mattinata di sole della tardiva primavera torinese.
Nell'antico stabile di Corso Re Umberto, dove abitava fin dalla nascita, la morte del «professore» è lì, in fondo alla tromba delle scale, sotto i flash dei fotografi e le luci artificiali delle telecamere, nella disperazione dei familiari e nell'angoscia della portinaia, l'ultima persona ad averlo incontrato portandogli la posta, come tutte le mattine. Lui, il chimico, il tecnico che grazie alle sue conoscenze era riuscito a sopravviere allo sterminio del campo di concentramento, ha deciso il suicidio.
Tutto è accaduto troppo rapidamente, poco dopo le 10,20 di ieri mattina; Levi era in casa con la madre novantaduenne, paralizzata dal luglio scorso in seguito ad un ictus cerebrale. La malattia dell'anziana donna viene ora portata a spiegazione dello stato di abbattimento in cui versava lo scrittore da qualche tempo. «Era stanco e demoralizzato» ha detto la moglie, Lucia, di fronte alla scena agghiacciante che le si è presentata al rientro dalle compere della mattina. Anche l'operazione alla prostata subìta recentemente aveva fiaccato la resistenza di un uomo già provato dalle esperienze della vita: «L'operazione era riuscita bene - ha ricordato il medico di famiglia - ma il professore era molto abbattuto».
E' comunque difficile, se non impossibile, ricostruire dopo, tentare oggi di dare validità a spiegazioni che non avrebbero spiegato nulla fino a ieri. Il colpo sordo in fondo alle scale resta così imperscrutabile e sconvolgente.
«Sconvolgente» è il termine usato da molti di coloro che lo hanno conosciuto in questi anni, di fronte alla sua improvvisa scomparsa. E probabilmente quel termine va inteso nel suo senso più letterale di «imprevisto», «fuori da ogni aspettativa». «Era una persona serena e misurata - ricorda ancora Bobbio - che amava le cose belle della vita. Ci ha lasciato una testimonianza insostituibile dell'orrore dei lager, una vicenda su cui era tornato anche nel suo ultimo libro, come se non avesse ancora scavato abbastanza, come se ci fosse ancora molto da capire in quella esperienza incomprensibile».
Nel caleidoscopio della memoria e delle differenti esperienze personali, non tutti i ricordi coincidono. Così Luigi Firpo mette in luce di Primo Levi la «profonda infelicità umana mai cancellata dal successo personale di scrittore» e riconduce le origini della tragedia ad «un momento di assoluta disperazione frutto, forse, di un razionalismo condotto all'estremo limite».
Profondamente legato alla sua origine ebrea, Levi non fu solo il testimone dell'orrore di Auschwitz, il lager in cui venne deportato nel marzo del 1944 dopo un anno di lotta partigiana. Si sforzò infatti di andare oltre quella drammatica esperienza e alla successiva odissea che lo portò ad attraversare i paesi dell'Europa orientale prima di tornare in Italia.
Del campo di concentramento e del suo viaggio «forzato» narrò nelle prime due opere Se questo è un uomo e La tregua. A Torino, dove si era laureato in chimica nel 1941, riprese la sua attività di tecnico-scienziato dirigendo una fabbrica di vernici. La testimonianza più evidente delle radici tecniche della sua formazione è senz'altro La chiave a stella, un libro ricco di riferimenti a quella cultura del concreto che aveva caratterizzato le aristocrazie operaie torinesi prima dell'avvento del taylorismo.
Che rapporto aveva quest'uomo con la città in cui era nato ed era vissuto? «Era un torinese molto schivo - ricorda Diego Novelli - uno che non amava parlare molto, ma che seguiva in silenzio quel che accadeva; era però, anche, un uomo che non si estraniava, sempre presente nei momenti cruciali della vita di Torino».
«La nostra comunità lo stimava molto, era la nostra voce più chiara e più degna», afferma Anna Vitale, vicepresidente della comunità israelitica torinese. Non sono ancora state rese note le modalità e la data delle esequie: Primo Levi scrittore, uomo di sinistra, ebreo, è morto di sabato.


“il manifesto”, 12 aprile 1987

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