6.6.14

“Tavula longa” ovvero Saltamontone (S.L.L.)

Tra i giochi della mia infanzia ce n'era uno non competitivo ma cooperativo, senza pegni o punizioni, tranne forse la reazione un po' seccata nel caso che qualcuno sbagliasse o venisse meno all'impegno preso. Non lo definisco perché ne ho trovata una descrizione precisa in un vecchio libretto dei tascabili Longanesi, la Guida ai giochi a cura di René Alleau (1976), quando parla del saltamontone, con un nome che a suo dire viene dalla Francia ove il gioco è chiamato sautemouton.
Eccola:
Numerose incisioni del XVI secolo mostrano bambini che saltano al di sopra di un loro compagno che se ne sta con le gambe flesse e la schiena curva, facendo rientrare la testa nelle spalle il più possibile. Il nome di questo gioco è forse un omaggio a Rabelais che, in Pantagruel, racconta la vendetta di Panurgo: dopo una lite con un mercante di pecore, Panurgo acquista da lui la più bella tra le sue bestie e la getta in mare; alla vista di ciò gli altri montoni le si gettano dietro, sotto lo sguardo costernato del proprietario. Il saltamontone non può essere propriamente definito un gioco, piuttosto un divertimento, che consiste esclusivamente nel salto. I giocatori, in una fila senza fine, si dispongono uno dietro l'altro: il primo abbassa la testa e curva la schiena, appoggiando le mani al suolo o sulle ginocchia; quello che gli si trova dietro gli appoggia le mani sulla schiena e gli salta dall'altra parte. Si mette quindi nella stessa posizione del suo predecessore, mentre il terzo della fila si appresta a saltare tutti e due, uno alla volta; e così via, finché la fatica non ha la meglio.

Non ho trovato in rete le incisioni secentesche di cui Alleau scrive, ma lo schizzo protonovecentesco che correda questo post. Al mio paese, che aveva strade lunghe e diritte, il gioco (o divertimento, se si preferisce) si chiamava tavula longa, giacché la fila dei giocatori costruiva una sorta di asse che a rotazione continua si allungava. Per noi chiazzaruoli, (“piazzaioli”), abitanti nella piazza centrale e nelle vie adiacenti, la sfida consisteva, partendo dalla bottega di mio padre, accanto al municipio, nel fare durare la serie dei salti fino alla Chiesa nova, oggi conosciuta come Addolorata. Se si era in numero congruo, almeno 6 o 7, non era un gran problema. Ma ci si provava anche quando si era in tre. E allora accadeva che qualcuno s'arrendesse prima dell'arrivo, con suo e altrui disappunto.

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