31.7.14

Falce e martello, simbolo o icona? Enzo Mari e Andy Warhol (Marco Belpoliti)

Enzo Mari, Falce e martello (1952)
Nel 1952 Enzo Mari ha dipinto una falce e martello. Si tratta di una piccola tela dove il simbolo, in rosso, si stacca su uno sfondo azzurro. Non assomiglia alla falce e martello dell'iconografia politica. I due strumenti di lavoro, che simboleggiano il mondo dei campi e delle officine, sono infatti riprodotti rovesciati: due sagome di legno inchiodate, o incollate, una sull'altra, viste da dietro, di schiena, issate su un lungo supporto, un manico, che li regge. L'idea è suggerita anche da due cartelli raffigurati di scorcio, nella parte bassa del quadro. L'immagine che ha ispirato questo quadro è un dettaglio degli affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi: una gotica croce dipinta vista da dietro, uno scheletro ligneo retto da un sostegno metallico. È un particolare della pittura murale che rivela una straordinaria modernità: sembra un'opera costruttivista alla Tatlin, alla Rodcenko. Nel quadro di Mari ci sono due direzioni dello sguardo: la falce e il martello attraversano la tela secondo una direttrice diagonale nella parte superiore del quadro, così che lo spazio appare organizzato secondo due dimensioni; nel contempo, se si osserva l'immagine partendo dal basso, lo spazio acquisisce una valenza tridimensionale. Anche nel dettaglio della pittura giottesca c'è un sottile gioco prospettico e al tempo stesso una valenza bidimensionale: nascita di un nuovo spazio.
Nel 1970 Mari ha dettato a una studentessa, che compiva un apprendistato nel suo studio di design, un'esercitazione: progettare un simbolo per una committenza alternativa. La scelta è caduta su falce e martello. In un grande foglio sono raccolte le immagini del simbolo comunista: dai volantini maoisti alle insegne delle sezioni, dai graffiti murali ai timbri inchiostrati, dalla tipografia delle tessere ai manifesti a stampa. Ogni simbolo è diverso dall'altro per spessore, disposizione, orientamento, dimensione, organizzazione spaziale. Sono 168 quadrati di pochi centimetri di lato, in bianco e nero. Il risultato del lavoro è una falce e martello disegnata in modo essenziale, secca ma amichevole, lineare ma arrotondata, un simbolo grafico in cui - come scrive Mari nel libretto che accompagna una cartella composta da una serigrafia, una bandiera e una litografia (Falce e martello, Edizioni O) - «la forma corrisponde alla funzione, dove funzione è da intendere, fra l'altro, come: riconoscibilità omogenea (cioè senza prevalenza di caratteristiche storico-formali) al fine di ampliare la durata del simbolo sia nel senso temporale che in quello della sua area di utilizzazione; facilità di riproduzione sia nel senso delle tecniche e dimensioni da impiegare che in quello di chi deve servirsi del simbolo».
Mari usa il termine «simbolo» per definire l'oggetto grafico (ma anche di design) ottenuto. Ma è
davvero un simbolo? Per i Greci il simbolo, symballo, è un oggetto di riconoscimento, possiede un valore materico: sono le due tessere spezzate - anelli, mani d'argento, terracotta - che si affidavano ai membri di una famiglia così che i loro discendenti potessero in futuro riconoscersi unendo le parti. Il significato è: «mettere insieme». Con il tempo il segno materiale è diventato astratto, si è trasformato in una figura retorica: bilancia per indicare giustizia, croce per cristianità, leone per coraggio. I simboli restano fissati nel tempo, oppure trasmigrano: sono resistenti e insieme volatili. Non si distruggono con facilità, continuano a significare al di là del loro oblio, o della loro manipolazione. La falce e il martello sono anche un'icona. Il termine ha compiuto un complesso cammino: da «immagine», eikon, dipinto su tavola di piccole dimensioni, usato a Bisanzio per rappresentare personaggi sacri, per traslazione ha iniziato a indicare tutto ciò che partecipa di una qualche sacralità. Da Cristo a Marilyn: Torquoise Marilyn dipinta da Andy Warhol (1964). L'icona è l'immagine visibile dell'Invisibile. Nella progressiva secolarizzazione del mondo la realtà divina è stata marxianamente sostituita dalla «religione della vita quotidiana» delle merci. L'icona non è un fine, ma un mezzo; è una finestra aperta fra terra e cielo, aperta nei due sensi, come affermano i testi bizantini e russi: il continuo passaggio dal mondo sensoriale a quello spirituale, e viceversa. Quando Warhol ha riprodotto le scatole Campbell negli anni sessanta, Mao negli anni settanta, l'icona ha fatto la sua ricomparsa nell'arte. Don Delillo ha scritto Mao II, ispirato alle serigrafi di Warhol, che l'aura non è scomparsa nella società postmoderna a causa della riproducibilità. La riproduzione ossessiva delle immagini finisce per renderle sacre, come ci insegnano la pubblicità e la moda: «L'aura si crea col passaggio dei flash dei fotografi, dei registratori. Non c'è che l'aura, che si sta sostituendo alla realtà» (De Lillo). Nel 1977 Warhol ha lavorato sul simbolo comunista: Hammer and Sickle, una serie di serigrafie riprodotte su tela, matite e acquerelli su carta. A volte la falce è vicina al martello, a volte lontana, a volte c'è una scarpetta femminile; in alcuni casi i due strumenti di lavoro si sovrappongono: si congiungono e si disgiungono, imitano liberamente il simbolo del comunismo. Si tratta di spostamenti progressivi del piacere; nelle matite, negli acquerelli, nelle serigrafie della serie si mima una copula non riuscita: il martello come fallo maschile, la falce come sinuoso corpo femminile. L'effetto icona di Marilyn e di Mao qui non c'è. Forse non si tratta neppure di un simbolo: la falce e il martello hanno resistito alla commercializzazione auratica di Warhol.

Secondo Peirce, inventore della semiotica moderna, il «simbolo» istituisce un rapporto arbitrario, convenzionale, con la realtà denotata: la rosa rossa quale simbolo dell'amore. L'«icona», invece, ha un rapporto motivato dalla somiglianza, come un suono onomatopeico che in una poesia evoca il rumore del cavallo. La falce e martello realizzata nel 1970 da Mari è un'icona, partecipa di una sacralità. Le icone sono più difficili da distruggere. Appartengono a una sfera che supera la stessa realtà delle apparenze. La si può chiamare sogno, fantasia, immaginazione: il sogno della merce, ma anche il sogno del comunismo, il bisogno di comunismo. Hammer and Sickle. il visibile come forma per approssimare l'invisibile.

alias - il manifesto, 19 febbraio 2005

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