24.8.14

Brasile, il Candomblé. Gli dei arrivati dall'Africa (Jorge Amado)

Salvador di Bahia, una madre-di-santo
Il Candomblé è religione afro-brasiliana fondata sulla mescolanza tra riti indigeni o di ascendenza europea e credenze africane, giunte in Brasile con i carichi di schiavi provenienti dal Continente Nero. Ha il suo centro nel culto degli Orixàs, divinità di origine totemica, e si basa sulla fede in un'anima propria della natura. Pare che la parola Candomblé, legata alla sua ritualità, significasse “danza”, e fosse anche il nome di un antico strumento africano.
Bandito dalla Chiesa cattolica, e criminalizzato da alcuni governi, il Candomblé si è diffuso ampiamente nella cultura brasiliana, con milioni di seguaci non solo neri e appartenenti a diverse classi sociali, e migliaia di terreiros (il significato proprio è “cantiere” e più che un tempio isolato è uno spazio sacro). Sarebbero circa due milioni i Brasiliani censiti come seguaci del Candomblé, ma i partecipanti ai riti sono di sicuro più numerosi, perché le religioni, in molte fasce della popolazione brasiliana, non sono avvertite come reciprocamente esclusive. In particolare il culto degli Orixàs venne associato per sincretismo a quello di alcuni santi cattolici, tanto che vengono chiamati abitualmente santos: ad Oxala, l'orixà della creatività, si fa corrispondere addirittura Gesù.
Il Candomblé, forse la religione americana più fedele alla matrice africana, pare sia nato a Salvador di Bahia, ove alcuni frequentati terreiros godono tuttora di sovvenzioni pubbliche. A Bahia è d'uso chiamare Macumba le pratiche rituali del Candomblé, ma gli studiosi delle religioni rifiutano una totale assimilazione dei due termini sostenendo che la macumba, più affine alle forme europee di stregoneria che a quelle africane, nel continente latinoamericano ha diffusione e manifestazioni molto varie. Nel Candomblé di Bahia ha peraltro molta importanza il culto dei caboclos, gli spiriti degli indios considerati dai primi africani arrivati in America gli spiriti ancestrali brasiliani, pertanto degni di essere venerati nel nuovo territorio. Nonostante il variegato pantheon (almeno una dozzina di divinità importanti), il Candomblé fa riferimento a un principio primo (chiamato Olorun), da cui provengono gli orixàs a cui ha delegato il suo potere. Molti lo identificano con il dio cristiano. Figure indipendenti dal mondo degli Orixàs con il quale interagiscono sono l'oracolo Ifà e il messaggero Exù (assimilato al demonio quando s'incattivisce), al quale sono dedicati i momenti iniziali di qualsiasi cerimonia, individuale o collettiva, pubblica o privata, perché correttamente trasmetta alle divinità i desideri dei fedeli e non interferisca negativamente nel rito. A guidare le cerimonie sono sacerdoti e/o sacerdotesse detti pai de santo e mãe de santo (padri e madri di santo)
Una forma che accomuna il Candomblé alle ritualità cattoliche o al paganesimo antico di tipo europeo è la “devozione”, per cui ogni persona deve essere “votata” a un orixà protettore (o protettrice, visto che gli orixà sono sessuati), da cui prenderà pregi e difetti e a cui si rivolgerà per consigli e grazie.
Ci sono altri culti di origine africana del Nuovo Continente, come il Vudù di Haiti, la Santeria cubana, che, pur con qualche analogia, hanno origine e vita distinta dal Candomblé e sono quasi sconosciute in Brasile.
Il brano che segue è tratto dal volume di Jorge Amado, Bahia (Garzanti, 1992); è ripreso dal settimanale “Avvenimenti”, che lo presentò come anteprima. (S.L.L.)
Jorge Amado
SALVADOR DE BAHIA, TERREIRO DELLA GOMÉIA.
Un crocicchio segnala l'entrata del candomblé. È un terreno enorme, su cui sorgono una serie di piccole costruzioni. Due sono più grandi: la casa del padre-di-santo e il terreiro dove si tiene la macumba. Joaozihno da Goméia, con una collana di grani di cocco sopra il camicione, ci riceve quasi di fronte alla casa di Exu, che è vicino all'entrata del candomblé. Col suo passo saltellante ci viene incontro la grossa Alice, molto sorridente, molto amata e rispettata in questo terreiro. Joaozinho da Goméia è un mulatto giovane dagli occhi languidi, corpo flessuoso da ballerino, agilissimo, la voce morbida. È stato figlio-di-santo di Jubiabà, il grande padre già scomparso. Jubiabà lo iniziò ai misteri della macumba e lo consacrò al caboclo Pedra-Preta, la cui casa si trova quasi di fronte a quella di Exu. La festa di Pedra-Preta è il due luglio, giorno in cui tutto il candomblé si adorna. Vengono visitatori da lontano e altri padri-di-santo danzano anch'essi nel terreiro di Joaozinho.
In quel giorno scorre abbondante la «jurema» una bevanda forte fatta con la corteccia di jurema fermentata nell'alcool che il pittore Manuel Martins ha trovato deliziosa e il cineasta Rudy Santos assolutamente orrenda. Questione di gusti. Il guaio è che sarete obbligati a berla, se non vorrete fare uno sgarbo ai presenti. Forse vi piacerà di più l'inoffensivo aluà, fatto con lo zenzero o la buccia dell'ananas, una bibita rinfrescante deliziosa. Ma io vi consiglierei di non rifiutare la jurema, poiché Pedra-Preta è un caboclo che va pazzo per tale bevanda, e se non bevete con lui mai più potrete contare sulla sua protezione per i vostri amori e i vostri affari.
La casa di Exu è piccola e terribile. È un quadrato dalle spesse muraglie. Joaozinho apre la porta con la grossa chiave antica, la stessa che serve per tutti gli altri templi. Là dentro, su di un piccolo piedestallo sta il dio nagò sincretizzato col demonio dei cattolici, il temibile Exu. All'interno della casa del dio scorrazza un gallo spaventato.
«Dev'essere sacrificato, Joaozinho?».
«È un lavoro che mi è stato richiesto. Una fattura».
Il sangue del gallo scorrerà sopra la statuetta di Exu, l'immagine non è già più ben visibile sotto l'incrostazione sanguinolenta che la ricopre. Sangue e olio di palma versati durante il «despacho» o «pade» con cui si iniziano tutti i riti di condomblé acciocché Exu se ne vada lontano, non venga a turbare il normale svolgimento dei festeggiamenti. Sangue degli animali sacrificati negli ebò — stregonerie, fatture - ordinati dai poveri come dai ricchi.
Molti sono i ricchi che si rivolgono ai padri-di-santo, alla protezione degli orixà; molti i personaggi della buona società che vengono qui ad ordinare qualche lavoro. Si può notare, seminascosta nel recinto sacro, una signora bene, allarmata dagli amori adulterini del marito, che è venuta a chiedere al padre-di-santo una prece di peso, che allontani una volta per tutte la donna fatale. Quell'altra vuole una fattura che leghi alla sua bellezza sfiorita il giovane amante ormai stufo. Non crediate che l'ascendente di padre-di-santo si estenda solo sui negri poveri, sui mulatti della città: anche i ricchi dalla pelle chiara — bianchi baiani, che è quanto dire mulatti-chiari - della Barra, della Graca, della Vitòria e dell'Avenida Oceanica, battono le strade della Goméia o le vie ugualmente scomode degli altri candomblé, in cerca di fatture, preci e pozioni, in cerca di consolazione e di speranza.
Degli eroi brasiliani che si sono battuti contro la schiavitù dei negri, ben pochi sono ricordati. In ogni caso Zumbi di Palmares ( ultimo capo di una comunità indipendente di schiavi neri evasi, ndr)) ha infranto, grazie forse all'impatto romantico della rivolta, la cospirazione del silenzio. Ha occupato il palco dei teatri, le pagine dei romanzi, vive nell'immaginazione del popolo. Dell'alufà Licutà, invece, chi conosce il nome, le gesta, la sapienza, il gesto, il volto d'uomo?
Capeggiò la rivolta dei negri schiavi per quattro giorni, e la città di Bahia lo ebbe per governatore quando la nazione sudanese accese sulla città l'aurora della libertà, spezzando i ceppi, e impugnò le armi proclamando l'uguaglianza degli uomini. Non conosco storia di lotta più bella di questa, del popolo sudanese, né di rivolta che sia stata repressa con sì grande violenza.
La nazione sudanese non era soltanto la più colta fra quante avevano fornito merce umana per il turpe traffico, in realtà gli schiavi di quell'etnia raggiungevano le quotazioni più alte, ed erano non solo i più cari ma anche i più ricercati. Servivano da precettori ai figli dei coloni, tenevano la contabilità dei padroni, scrivevano le lettere delle padrone, intellettualmente erano ben al disopra della scarsa istruzione dei lusitani conti e baroni, spocchiosi e analfabeti, o della manica di banditi deportati nella lontana colonia. Il più istruito dei sudanesi era l'alufà Licutà.
Si sollevarono gli schiavi, dominarono e occuparono la città. Sconfitti che furono, subito dopo, per il numero preponderante dei soldati e con la forza delle armi, ordine dei signori irati fu quello di uccidere tutti i membri dell'etnia sudanese, senza lasciarne uno. Uomini, donne e bambini per dare l'esempio. Ordine eseguito con raffinatezze orrende, acciocché l'esempio pesasse e perdurasse. Così fu.
La repressione fu di tale ampiezza, così smisurata, che ancor oggi la parola sudanese continua ad essere come maledetta; ancor oggi l'ascendenza sudanese è tenuta nascosta, passata sotto silenzio, quando ormai le ragioni del timore sono state dimenticate.


“Avvenimenti”, 26 Agosto 1992

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