24.8.14

L'Angelo azzurro (Marlene Dietrich)

Fu pubblicata in Italia dall'Istituto Geografico De Agostini nel 1985 la traduzione di Marlene D, autobiografia di Marlene Dietrich. Da “la Repubblica” che ne pubblicò una anticipazione riprendo un breve brano. (S.L.L.)

Una volta decisa la mia partecipazione al film, mi misi a lavorare sotto la guida di Josef von Sternberg e cominciò così la leggenda del nostro lavoro in comune. Quando si gira un film, non si sa mai se diventerà un «classico», perché questo sono soltanto i posteri a deciderlo. Non si può sapere a priori quale importanza finirà per avere. O almeno così accadeva allora. Oggi i divi investono i loro capitali personali in un film, speculando in anticipo sui profitti che gonfieranno un po' di più le loro tasche.
L'Angelo azzurro, presentato come il primo grande film parlato del dopoguerra, fu realizzato con tutte le imperfezionidell'epoca; il suo successo dipende esclusivamente dal fatto che fu von Sternberg a farne la regia.
Le difficoltà tecniche furono innumerevoli. Era per esempio impossibile montare i suoni, il che prolungava di molto la durata delle riprese e obbligava a filmare contemporaneamente ogni scena con quattro macchine da presa, in vista del montaggio definitivo.
Tutto questo mi pareva molto eccitante; vedere all'opera il grande maestro era un piacere che non aveva fine.
Ero pronta ogni volta che mi chiamavano; me ne stavo un po' in disparte per non essere d'impiccio e per non ostacolare i movimenti degli altri attori, ma ero sempre in attesa del più piccolo cenno del signor von Sternberg che mi ordinava di entrare in scena.
Oltre a Jannings, partecipavano al film numerose celebrità. Erano tutti gentilissimi con me. Povera Marlene, dovevano pensare, se solo immaginasse che cosa l'aspetta dopo queste riprese...
Io non avevo idea delle loro sgradevoli riflessioni. Ero ancora la brava ragazza che obbediva agli ordini del solo padrone che lei riconoscesse. E lui non mi abbandonò mai. Ero lì per lui, e lui era lì per me, o almeno così credevo.
Non mi sbagliavo. Girò il film in due versioni simultanee, una in tedesco e l'altra in inglese.
Non esistendo ancora il doppiaggio, von Sternberg mi presentò a sua moglie, un'americana, e mi disse che se avessi avuto qualche problema col mio inglese avrebbe parlato lei in mia vece. Io avrei soltanto dovuto muovere le labbra.
La proposta mi indignò, perché comportava la possibilità di un mio fallimento. E io non volevo far fiasco. Dovevo dunque dimostrare le mie capacità.
Cominciammo le riprese: alla prima scena in tedesco fece seguito lo stesso brano, ma stavolta in inglese. Eguagliai le mie migliori esibizioni alla Scuola Max Reinhardt — e feci forse qualcosa di meglio — grazie all'inglese che avevo imparato a casa mia.
Ma Joscf von Stcrnberg voleva l'americano. Panico a bordo. L'americano io non lo conoscevo. Von Sternberg s'incaricò di colmare questa lacuna e non fu necessario ricorrere a sua moglie. Nessuno, credo, trovò qualcosa da ridire sulla mia pronuncia. Contava soltanto il personaggio.
Contrariamente al metodo in uso alla Scuola Max Reinhardt, von Sternberg non ammetteva che io parlassi con la mia voce bassa; la voleva invece acuta, nasale. Questo per rafforzare le asprezze dell'accento berlinese, che assomiglia moltissimo al cockney britannico.
Il mago von Sternberg compì anche questo miracolo e mandò a casa la moglie. Non credo che per lui sia stato un problema, dal momento che avevano appena divorziato. Von Sternberg non parlava mai della propria vita privata. Solo arrivando a Hollywood, parecchio tempo dopo, venni a sapere che la sua ex moglie non gli perdonava la loro separazione e che lui capiva il suo risentimento.
Von Sternberg aveva un'immagine estremamente precisa della Lola dell'Angelo azzurro. Sapeva tutto della sua voce, della sua andatura, dei suoi gesti, del suo portamento. Influì sulla scelta dei miei vestiti e mi sollecitò a inventarne di nuovi, cosa che feci con grande entusiasmo. Sottolineai i miei abiti di scena con cilindri e berretti da operaio, sostituii i gioielli con bigiotteria, a mio parere finanziariamente più accessibili all'entraineuse di uno squallido cabaret in un porto.

E io alzavo la gamba
Un giorno von Sternberg mi disse: «Voglio che vista di fronte lei faccia pensare a un quadro di Félicien Rops e vista di spalle a un Toulouse-Lautrec». Questa fu per me un'idea guida. Mi è sempre piaciuto essere diretta. Non c'è niente di meglio che sapere cosa ci si aspetta da te nella vita, nel lavoro e in amore.
«Io non ho scoperto la Dietrich» diceva spesso von Sterneberg. «Sono solo un professore che è rimasto colpito da una bella donna, ne ha curato la presentazione, ne ha esaltato le qualità, ne ha mascherato le imperfezioni, e l'ha plasmata per cristallizzare in lei una rappresentazione afrodisiaca»...
Io credevo che L'Angelo azzurro sarebbe stato un fiasco. Lo ritenevo infatti un film banale e volgare, due aggettivi secondo me molto differenti, ma che qui si completavano alla perfezione.
Sul set giravano contemporaneamente quattro macchine da presa, lune puntate, almeno così mi pareva, sull'inforcatura delle mie gambe (lo dico col più profondo disgusto). Ed era davvero così! Ogni volta che toccava a me, dovevo alzare una gamba, la sinistra o la destra, e le macchine da presa non cessavano di concentrarsi sul mio corpo.
... Finite le riprese dell'Angelo azzurro, rutti ci salutammo. Von Sternberg tornò in America. E ciascuno se ne andò per suo conto, a continuare come meglio poteva la propria carriera, rimpiangendo la sua guida, la sua autorità, la sua gentilezza e la sua magia, di cui aveva saputo farci sentire l'influenza divina e demoniaca senza mai ferirci.
Mentre scrivevo queste pagine, mi è capitato di vedere alla televisione L'Angelo azzurro nella versione originale tedesca. Non mi aspettavo di trovare un'attrice perfetta in una parte difficile, insolente e a volte tenera, un'attrice naturale e libera che dà vita a un personaggio complesso, a una personalità che non era la mia. Non so come abbia fatto von Sternberg a operare un simile prodigio. Genio, immagino! La volgarità di Lola s'accorda perfettamente con la volgarità degli altri personaggi.
Confesso di essere rimasta molto impressionata dall'attrice Marlene Dietrich, capace d'impersonare con successo una puttana da marinai degli anni Venti. E' giusto persino l'accento (il basso tedesco).

Io, ragazza beneducata, riservata, ancora oggi pura, nata da una famiglia rispettabile, avevo azzeccato, senza saperlo, un'interpretazione eccezionale che non avrei mai più ripetuto.

"la Repubblica", 27 ottobre, 1985

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