10.8.14

Camargue 1893. Migranti italiani al massacro (Luca Scarlini)

In tempi in cui l’Italia agita tutti i suoi fantasmi xenofobi è assai utile la lettura della notevole ricerca di Gérard Noiriel, recentemente pubblicata da Marco Tropea: Il massacro degli italiani Aigues Mortes 1893 (traduzione di Roberta Miraglia, pp. 253, € 18,00). Lo storico francese ha lavorato a lungo negli archivi per ricostruire la genesi di uno dei più tremendi atti di razzismo compiuti in Europa a fine Ottocento, che si svolse sullo sfondo incantato della Camargue, in un tempo in cui però quella zona era soltanto luogo di emigrazione stagionale.
Gli italiani (soprattutto piemontesi, ma anche toscani) accorrevano con i loro «caporali», in gruppi serrati, per compiere un lavoro sfinente nelle saline, che permetteva loro di vivere poi meglio per il resto dell’anno. Come illustrava Nuto Revelli nel suo Il mondo dei vinti (1977), ricostruzione del mondo rurale tra Otto e Novecento, la forza fisica era il solo capitale su cui far conto. I migranti che venivano da Asti e da Cuneo erano quindi abituati a dover dimostrare ai loro padroni di avere una resistenza incredibile alla fatica e in breve anche per questo si trovarono contro gli autoctoni, che reclamavano un miglior trattamento, secondo le antiche tradizioni. In un momento in cui il grande capitale usava il cottimo come regola, gli scontri tra gruppi nazionali erano all’ordine del giorno.
Noiriel ricostruisce molto bene il clima allucinato che prelude al disastro, in una sequenza di rancori. Il 17 agosto 1893, il caldo malarico era al suo apice alla Fangouse, di proprietà della potente Compagnie de Salins du Midi e i «trimards», i lavoratori locali, dal mattino avevano fatto girare la voce per cui ci sarebbe stata una dimostrazione violenta. I «Piemos», come venivano definiti con termine che voleva essere al massimo dispregiativo, oppure in langue d’oc estranjeïraio, ovvero gli sporchi stranieri, come si legge in un poema politico del tempo, dal sinistro titolo di Aïgamorto, dovevano andarsene.
Il bilancio di una giornata di mattanza, scatenata da una scaramuccia e gestita secondo una strategia di accerchiamento con la quasi totale complicità degli abitanti (incluso il possidente Granier, che chiuse le porte della sua proprietà ai fuggiaschi per paura di ritorsioni), fu pesantissimo. Ventidue tra morti e dispersi e quasi sessanta feriti, cui venne rifiutato soccorso nell’ospedale di Marsiglia. Il caso divampò sulla stampa italiana ed esplose una crisi diplomatica grave, mentre da più parti si parlava di imminente conflitto. Il processo però fu una farsa, con condanne minime e il paese si affrettò a scordare quel giorno di sangue, mentre da noi Francesco Crispi approfittò della situazione per tornare al potere.
Solo da pochi anni una lapide ricorda nel paese dalle belle mura quell’episodio tremendo, che ispirò al sociologo Émile Durkheim la formulazione del concetto di anomia, per descrivere l’epoca senza legge del liberismo selvaggio che produceva, insieme al nazionalismo, frutti avvelenati e micidiali.


“Alias -il manifesto”, 14 maggio 2011

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