9.8.14

Classici. La suocera “umana” di Terenzio (Paolo Lago)

Un'immagine da una recente rappresentazione dell'Hecyra (2010)
Compagnia delle Smirne - Mirano (Venezia) 
L’Hecyra di Terenzio è una commedia in cui grande importanza hanno i personaggi femminili: dalla giovane Filumena, personaggio ‘muto’ (non appare mai in scena) il cui nome possiede forti echi teatrali ante litteram (si pensi al grande Eduardo), da sua madre Mirrina, fino alla meretrix Bacchide e all’hecyra, la suocera che dà il titolo all’opera, Sostrata, madre del giovane Panfilo, marito di Filumena.
Le donne hanno importanza in questa commedia forse proprio perché Terenzio intende ribaltare la ‘misoginia’ della quale, sempre, nel teatro comico latino (e in particolare in Plauto) i personaggi femminili sono stati vittima. L’autore, in linea con quel clima ellenizzato che si respirava a Roma nel II secolo a.C. e con gli ideali del circolo degli Scipioni, imbevuti di humanitas, allestisce una commedia in cui la suocera (tradizionalmente ostile alle nuore o ai generi) e la meretrix, la prostituta (altro personaggio tipico della commedia, solitamente antitetico rispetto alle matrone e alle mogli), anch’esse in linea con quell’humanitas, si fanno da parte permettendo il ricongiungimento fra marito e moglie.
Si tratta quindi di una commedia straordinariamente moderna – forse troppo –, che alla sua prima rappresentazione non ebbe fortuna: il pubblico, infatti, distratto da un funambolo, non la apprezzò e, addirittura, ebbe successo soltanto alla sua terza rappresentazione. Quindi, probabilmente, risulta più affine a un pubblico contemporaneo: cogliamo perciò l’occasione al volo con la recente versione a cura di Antonella Tedeschi (La suocera, testo latino a fronte, Barbera).
La trama ruota intorno alla presunta incompatibilità di carattere fra Filumena e Sostrata, madre di Panfilo, una incompatibilità così forte da indurre Filumena ad abbandonare la casa di Panfilo e tornarsene nella propria, dalla madre Mirrina e dal padre Fidippo. La fuga di Filumena – si scoprirà poi – non era dovuta a uno screzio con la suocera ma al tentativo di nascondere a Panfilo la presenza di un bambino appena partorito (del quale egli non poteva essere il padre, dal momento che la fanciulla, secondo il racconto dello schiavo Parmenione, era «ancora intatta» perché Panfilo, innamorato inizialmente di Bacchide, si era sposato controvoglia), nonché al padre di lui Lachete. Ma l’agnitio finale, grazie a un anello, fugherà ogni dubbio: il bambino in realtà è il vero figlio di Panfilo, nato da un precedente e fugace rapporto fra i due. Una commedia figlia della humanitas dunque, che in scena rivaluta l’universo femminile; e figlia di quella temperie culturale del circolo scipionico alla quale molto stava a cuore l’educazione dei giovani, tanto che si può affermare che proprio in quel periodo, in un certo senso, nacque la scuola come istituzione.

Allora è importante rileggere Terenzio e le sue opere imbevute di quella cultura; e lo è ancora di più al giorno d’oggi, perché chi governa si dimentica di troppe cose: dell’educazione e della scuola pubblica in primis.

“Alias – il manifesto”, 4 giugno 2011

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