14.8.14

Il 'fidanzato' di Flaubert (Aldo Natoli)

Se non fosse stato amico di Flaubert, di "un'amicizia indistruttibile", Maxime du Camp [1822-1894], pur avendo scritto una diecina di volumi (fra cui il primo racconto di viaggio corredato di fotografie, nonché incursioni nella storia, nell' analisi sociale e perfino nel romanzo e nella poesia) e per quanto fosse finito accademico di Francia, difficilmente sarebbe emerso dalla straordinaria fioritura letteraria che nel suo paese caratterizzò la seconda metà del secolo scorso.
Flaubert, che non era certo un tipo di facile compagnia, si trovava bene insieme al "jeune Maxime" - così lo chiamava, sebbene avesse solo un anno meno di lui -; oltre a compiere insieme due memorabili viaggi, essi si ritrovarono a Parigi nelle giornate più calde della rivoluzione del 1848 (Maxime sarà anche ferito su una barricata), di cui l' uno e l' altro hanno lasciato annotazioni di cose viste; più tardi, Flaubert se ne servirà nello scrivere alcuni celebri capitoli della Educazione sentimentale.
Adesso a Parigi si ripubblica una scelta dai Souvenirs littèraires di Maxime du Camp (Balland, pagg. 286, franchi 89), a poco più di un secolo dalla prima edizione (1882-1883). Naturamente, il pezzo forte di quei ricordi è costituito dal sodalizio con Flaubert, che Maxime ha conosciuto una sera del marzo 1843 in casa di un amico, dove a un tratto irrompe il giovane gigante normanno (Gustave aveva 21 anni, allora) a disperdere con la sua "bellezza eroica" i versi che Maxime stava scribacchiando in un angolo, nell'atmosfera creata dal suono di una marcia funebre di Beethoven.
I due vissero per qualche tempo in una cerchia di amici - scrittori, pittori, poeti - e, poco dopo, prima che Maxime partisse per il suo primo viaggio in Oriente, si scambiarono un anello di "fidanzamento intellettuale". Du Camp scriverà da Smirne (1844) a Flaubert per assicurargli che "tiene l' anello al dito e lo ama come un'amante".
Poco dopo (maggio 1847) i due amici partono ("soli, indipendenti, insieme!" dirà Gustave) per fare un lungo giro a piedi attraverso la Bretagna, non senza aver superato iniziali difficoltà per essere stato Flaubert colpito da un attacco del suo male (epilessia?). Ma la crisi non si ripeterà e i due possono continuare il viaggio, "coscienti della propria felicità, inebriati dal moto, dalla giovinezza, dalla natura", declamando ad alta voce i versi che più amano. A Combourg, davanti alla casa che era stata di Chateaubriand, Flaubert impedisce a Maxime di dormire per parlare fino all'alba dell'uomo che i giovani di quella generazione avevano circondato di un culto che in seguito sfiorirà rapidamente.
Ma la Bretagna fu solo un prologo. Nell'ottobre 1849 i due ripartono, questa volta per un viaggio in Egitto e nel Medio Oriente fino in Persia (dove non arriveranno), per ritornare da Costantinopoli e poi attraverso la Grecia e l'Italia. L'Oriente li affascina; e del resto, l'esotismo era allora un ingrediente assai diffuso nelle mode letterarie. Tuttavia Flaubert, assai legato alla madre, non parte senza sospiri. Il racconto che du Camp ci ha lasciato di questo viaggio è assai deludente, intessuto com'è soprattutto di visite e banchetti presso notabili del Cairo, di usi e costumi locali, di pedanti informazioni turistiche. Maxime prende appunti come un agente di viaggi, non certo come un visitatore appassionato, e censura tutto ciò che può nuocere alla sua immagine di honnete homme. Qui si vede chiaramente l'invalicabile distanza che, sotto la affettuosa camaraderie del quotidiano, lo separa da Flaubert. Se questi aveva spiccatissimo il senso del comico, spinto fino al grottesco, du Camp sembra mancare totalmente di humour: si esaltava a freddo pensando di ricalcare le orme di propri avi spagnoli (grazie ai quali avrebbe avuto ipotetico sangue arabo nelle vene), mentre Flaubert sarebbe rimasto "calmo", "senza curiosità": "viveva chiuso in se stesso, come stanco e annoiato... templi, paesaggi, moschee gli sembravano sempre gli stessi...".
Ma basta leggere le lettere che Flaubert mandò alla madre e all'amico Louis Bouilhet dall'Egitto e poi dall'Asia minore e dalla Grecia, per cogliere la totale inconsistenza e falsità di questo ritratto. Di vero c' è solo che Flaubert dovette davvero vivere quei mesi "chiuso in se stesso", senza far partecipe l' amico delle tempeste che sconvolgevano in lui la sensibilità e l' immaginazione. In quelle lettere Gustave scrisse forse per la prima volta e dal vero il "racconto orientale" che meditava da tempo: le meravigliose immagini della valle del Nilo, il mistero della Sfinge e delle Piramidi, il "grottesco" di una società rimasta schiavista e feudale, vissuto e descritto in tinte rutilanti, l'esaltazione di prodezze sessuali e, insieme, il rifiuto di esse "per conservarne profondamente in sé l' abbagliante malinconia". Forse fu proprio qui che Flaubert si liberò della sfiducia in se stesso in cui era piombato dopo che gli amici (du Camp e Bouilhet, appunto) ai quali l'aveva letta, avevano bocciato senza appello la prima stesura della Tentazione di sant'Antonio. Maxime non poteva capire perché Flaubert, mentre correvano a briglia sciolta, fermasse improvvisamente il cavallo gridando: "Ho visto la Sfinge fuggire verso la Libia; galoppava come uno sciacallo". Simili "ossessioni" lo turbavano, gli davano forse un senso di inferiorità, non poteva sopportare la mescolanza di "comico e sinistro" nelle fughe visionarie dell' amico. Come quando, rimasti senz'acqua nel deserto di Qseir, nel tormento della sete, Flaubert si abbandonò alla voluttuosa descrizione di certi gelati al limone che si gustavano "chez Tortoni": "lo si schiaccia dolcemente fra la lingua e il palato; lentamente, fresco e delizioso, comincia a fondersi; bagna il palato molle, sfiora le tonsille, penetra nell' esofago accogliente e infine si depone nello stomaco che ride di folle contentezza". Maxime era fuori di sè: "un pensiero terribile mi scosse, 'lo ucciderò', mi dissi". Non gli parlò per dodici ore, fino a che Flaubert non venne ad abbracciarlo e gli disse: "Ti ringrazio di non avermi spaccata la testa con un colpo di fucile; io, al tuo posto, non avrei resistito". Poco dopo, l' acqua del Nilo "che vale i vini più raffinati", chiuse definitivamente l' incidente.


“la Repubblica”, 20 ottobre 1984

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