31.8.14

La Sicilia non è più quella di Brancati. Gallismo in soffitta (Paolo Di Stefano)

Un paio di anni fa Paolo Di Stefano, sul “Corsera” leggeva l'elezione a presidente della Regione Siciliana di Rosario Crocetta, omosessuale dichiarato, come un segno della fine del vecchio “machismo” ossessivo raccontato e, in qualche modo, celebrato dalla narrativa siciliana. Io credo che sia vero, a prescindere da Crocetta che, in verità, fece una qualche concessione agli “omofobi”, rendendo pubblico un voto di astinenza sessuale in caso di successo elettorale. Crocetta a parte, l'articolo è gradevole e contiene, oltre che citazioni pertinenti, riflessioni ragionevoli. (S.L.L.)
Lando Buzzanca in "Il merlo maschio"
Ricordava Leonardo Sciascia che nel circolo sociale di Racalmuto si discuteva, si giocava a carte, si leggevano i giornali, ma soprattutto si chiacchierava di donne e di sesso con la massima crudezza. In fondo il dopolavoro maschile di un paese della Sicilia interna anni Quaranta non doveva essere molto diverso, almeno per gli argomenti che si trattavano, da un ritrovo brianzolo o maremmano. Quel che distingueva la Sicilia dalle altre regioni era qualcosa di più profondo, che ha a che fare con l’antropologia e la psicologia collettiva, con la tradizione: una tradizione che oggi, con l’elezione di un presidente di Regione come Rosario Crocetta, omosessuale dichiarato e single fiero di esserlo, subisce un duro colpo, se è vero che il machismo insulare (con familismo connesso) è tra gli stereotipi più resistenti da secoli, sia nella sua declinazione più comune e anche folcloristica (vedi Buzzanca), sia in quella più feroce e seria che vuole la mafia come fenomeno decisamente maschile (e maschilista). È sempre Sciascia a parlare del mito della donna per gli uomini siciliani. In una commedia di Nino Martoglio, L’aria del continente, un ricco possidente siciliano in viaggio su al Nord, conosce una donna che gli fa perdere la testa: la porta con sé a Catania, dove la «forestiera» diventa subito oggetto d’invidia da parte dei suoi amici. Quando però si scopre che la bella donna continentale in realtà era nata in un paese della provincia di Enna, l’incanto crolla (e l’invidia pure). Un aspetto del maschilismo siciliano è indubbiamente questo: l’esibizione della femmina (possibilmente altra) che fa ingelosire. Comportarsi in un certo modo con la donna è «un imperativo categorico» del maschio siciliano: la natura del vero uomo è quella di essere «ossessionato» dall’altro sesso. Siamo in quello che Vitaliano Brancati chiamava il «gallismo» siciliano, che ha etimologicamente a che fare con il gallo, esempio massimo, nella civiltà contadina, di sessualità capace di coniugare orgoglio virile e instancabile potenza amatoria. Gallismo e dongiovannismo: da una parte il vanto di sé, dall’altra una dedizione assoluta e persino caricaturale alla donna, non necessariamente al livello dell’azione ma piuttosto sul piano verbale. Il desiderio si può anche risolvere in piacere del discutere sulla donna. Per questo il machismo siciliano è una tensione (o un precipitato) di sopraffazione violenta e sublimazione quasi stilnovistica. C’è qualcosa di leopardiano, secondo Brancati, nei «dongiovanni di Sicilia», per i quali il piacere è sempre passato o futuro e mai presente. Un professore di greco, Francesco Guglielmino, disse un giorno a Verga, parlando dei siciliani: «Siamo romantici», e Verga gli rispose: «Ma che romantici, figlio mio: siamo ingravidabalconi». Brancati scrisse che «questo avere i sogni, e la mente, e i discorsi, e il sangue stesso perpetuamente abitati dalla donna, porta che nessuno sa poi reggere alla presenza di lei». È il caso celebre del bell’Antonio Magnano e del suo fiasco sessuale, che obbliga il padre di lui (piccolo borghese fedelissimo del «gallismo» tradizionale) a riscattare l’onta familiare morendo a settant’anni, sotto i bombardamenti, in casa di una prostituta, dove verrà ritrovato con una scarpina verde dal fiocco rosa accanto al viso. Anche Tomasi di Lampedusa è testimone di una sessualità maschilista ossessiva e mai pacifica. Vi ricordate con quanta penosa autocelebrazione il principe Fabrizio rivelava al confessore la propria insoddisfazione erotica attribuendone tutte le responsabilità alla moglie? «Ma che volete da me? Sono un uomo vigoroso. E come posso accontentarmi di una donna che a letto si fa il segno della croce prima di ogni abbraccio, e che dopo non sa dire che prima di ogni abbraccio, e che dopo non sa dire che "Gesummaria"? Sette figli ho avuto da lei, sette, e sapete che vi dico, padre? Non ho mai visto il suo ombelico. Eh? È giusto questo?». La fissazione dell'uomo per la donna occupa buona parte di quella «corda pazza» di cui parlava Pirandello a proposito della sua terra. Già, Pirandello. Se passiamo al suo rovello sessuale, rischiamo di aprire un capitolo quasi interminabile che coinvolge paura, angoscia, impotenza, senso di colpa e, dicono i critici psicoanalitici, rimozione dei contenuti omosessuali. Eccoci tornati a bomba. Se il nuovo governatore siciliano non ha nascosto la sua omosessualità, è perché, grazie al cielo, la Sicilia non è più quella di Verga, Pirandello e Brancati. Il siciliano Crocetta come il pugliese Vendola, mentre a Nord venivano celebrati squallidissimi riti di maschilismo tribale.


Corriere della Sera, 30 ottobre 2012

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