Il giorno che fu diffusa
la notizia dell'uccisione e del barbarico impalamento di Muammar
Gheddafi, Valentino Parlato pubblicò sul “manifesto” questo
ricordo sincero, oltre che coraggioso, dato il clima di generale
esecrazione verso il “tiranno” e di giubilo per la sua sconfitta.
Non sono d'accordo sulla grande “benevolenza” di Parlato, ma
sono d'accordo con le conclusioni del suo ragionare: la guerra libica
e la sua logica imperiale (“parcere subiectis, debellare
superbos”) hanno sepolto tutte le speranze delle primavere arabe. (S.L.L.)
Sono molto legato alla
Libia (e un po’ lo ero anche a Gheddafi) perché ci sono nato, lì
c’è stata la mia prima formazione politica e diventai comunista
(clandestino, governava l’amministrazione militare britannica).E fu
in Libia che entrai nell’Associazione per il Progresso della Libia
di cui facevano parte compagni più anziani, come Cibelli,
Prestipino, Caruso, Manzani, i fratelli Russo e altri ancora. Il
combinato disposto dell’associazione per l’indipendenza della
Libia e la clandestinità comunista, nel dicembre del 1951
determinarono l’arresto e l’espulsione dalla Libia mia e di un
po’ di altri compagni.
Questo passato provocò,
nel 1998, l’invito da parte del governo libico a un soggiorno in
Libia per me e mia moglie. Rivedere la Libia, Tripoli, la mia casa,
la mia scuola, i bar fu per me straordinario,ma lavorando al
“manifesto” chiesi, e ottenni abbastanza rapidamente,
un’intervista a Muammar Gheddafi. Per l’intervista (il 5 dicembre
1998) dovetti fare un lungo viaggio a Sirte, l’ultimo caposaldo
della resistenza dove Gheddafi è stato ucciso.
Altri tempi. L’incontro
e l’intervista furono molto interessanti. Mi colpì innanzitutto la
sua passione per Rousseau, dal quale derivava la sua posizione per la
democrazia diretta e i comitati del popolo, che però (povero
Rousseau) produsse un po’ di confusione, una inconsistenza delle
strutture statali e un Gheddafi (sono le sue parole) che era un po’
come la regina d’Inghilterra, però comandava. Ed è mia
impressione che questo comando nel corso del tempo si sia
deteriorato. In quell’intervista Gheddafi sottolineò l’importanza
di aprire buoni rapporti con l’Italia e con l’Unione europea,
anche per contenere il potere degli Usa. Si parlò anche di un suo
scritto Il comunismo è veramente morto?, dove dubitava di
questo decesso.
In quell’occasione
girai per Tripoli e mi parve di registrare una sorta di welfare
petrolifero: non c’erano bidonville, non eri assalito dai
mendicanti, anzi non c’erano. Apprendevi dell’esistenza di una
efficace assistenza sanitaria e di un buon sistema scolastico, a
giudicare almeno dal numero di laureati che incontravi. I buoni
rapporti con la Libia di Gheddafi sono continuati e ho fatto anche la
prefazione al volumetto Fuga all’inferno, dove scrive che,
in questo mondo, per trovare un po’ di pace bisogna fuggire
all’inferno. Invero non troppo ottimistico sullo stato delle cose
esistenti.
Oggi siamo all’epilogo.
Nella sua Sirte, Gheddafi è stato catturato e ucciso. Lasciarlo
vivere, ancorché prigioniero, sarebbe stato evidentemente un
problema. Che dire, ora, a caldo, di questo esito?
La prima considerazione è
che ci sono voluti otto mesi di guerra e bombardamenti Nato a catena
per abbattere il tiranno, che evidentemente aveva più di un sostegno
nella popolazione libica. In secondo luogo, viene da ripetere che lo
stile è l’uomo. Gheddafi, come tanti altri capi arabi, poteva
fuggire in qualche paese africano e starsene tranquillo e benestante.
Invece è rimasto e ha accettato di morire sul campo, di restare
testimone della sua linea e della sua lotta. E qui mi viene da
aggiungere, sorprendentemente d’accordo con Berlusconi, «sic
transit gloria mundi». Gheddafi fino a otto mesi fa era accolto
e onorato in tante capitali, ricordo soprattutto l’accoglienza di
Sarkozy a Parigi e quella straordinaria a Roma, con la manifestazione
di cavalleria e anche (visto in tv) il bacio di Berlusconi. Pur
considerando tutti i limiti e gli errori di Gheddafi, la sua caduta –
sempre a mio parere – segnala la sepoltura delle primavere arabe e
un nuovo inizio di un intervento coloniale delle potenze occidentali
in Africa, e non credo si possano riporre molte speranze negli ex
gheddafiani che dovrebbero costituire il nuovo governo della Libia.
“il manifesto”, 21
ottobre 2011
Verissimo.
RispondiElimina«C’è la lucida coscienza della drammaticità del potere e se un giorno (che non mi auguro) Gheddafi fosse travolto da una protesta popolare sono sicuro che non si stupirebbe.» (dalla prefazione del 2006 a "Gheddafi - Fuga all'inferno e altre storie")