Fatto e articolo non recentissimi, ma
da meditare e rimeditare. (S.L.L.)
La vita di un ragazzo:
il prezzo
da pagare per aver abbandonato le città
Dopo cinque giorni di agonia, ieri
Salvatore Giordano è morto: a quattordici anni. Sabato era stato
colpito da alcuni calcinacci staccatisi dal soffitto della Galleria
Umberto I, nel cuore di Napoli. Perché è successo? Di fronte a
eventi terribili come questo, ci si è sempre interrogati. Gesù, nel
Vangelo di Luca, sfida le superstizioni dei benpensanti del
suo tempo: “Quei diciotto sopra i quali rovinò la torre di Siloe e
li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti
di Gerusalemme? No, vi dico”.
Oggi, invece, ci chiediamo: si poteva
evitare? È davvero una fatalità? O è colpa di qualcuno? Non è
possibile non vedere il nesso tra la tragica morte di Salvatore
Giordano e l’abbandono di ogni manutenzione delle nostre città. Il
centro storico di Napoli si va lentamente disfacendo,
nell’indifferenza generale: ma il problema non è solo di Napoli.
Il 4 gennaio 2012, alle cinque di
pomeriggio, a Firenze si rischia una strage: dalla Colonna
dell’Abbondanza, nell’affollatissima Piazza della Repubblica, si
stacca un frammento lapideo di ottanta chili, che precipita al suolo,
miracolosamente senza ammazzare nessuno. Sempre a Firenze, pochi
giorni fa quel miracolo non si è ripetuto: un ramo staccatosi da un
albero nel Parco delle Cascine ha ucciso una donna e la sua nipotina.
“Alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione”. Lo
scriveva Leo Longanesi nel 1955, e oggi è ancora più
sistematicamente vero.
La morbosa politica “culturale” dei
Grandi Eventi rende praticamente inimmaginabile che un ministro o un
sindaco trovino conveniente annunciare una campagna di manutenzione
ordinaria a tappeto: troppo poco, troppo grigio, troppo umilmente
anonimo. Ma il problema è ancora più profondo, e riguarda la
mentalità indotta dal consumismo di massa nella sua fase estrema e
(chissà) finale: è l’idea stessa della conservazione, della cura
quotidiana degli oggetti ad essere uscita dal nostro orizzonte
mentale. Se questo è vero per il nostro stesso corpo, lo è ancora
di più per il corpo delle nostre città.
Non è difficile oggi capire
l’ardimento visionario con cui nacque, per esempio, Venezia:
difficile è capire il lavoro quotidiano della Repubblica
Serenissima, che incessantemente ha curato la Laguna ogni giorno di
ogni mese di ogni anno di ogni secolo. Eppure, senza quel lavoro
quotidiano non avremmo Venezia. Oggi, quando va bene, la manutenzione
si identifica con l’intervento eccezionale (vedi il Mose): meglio
se spettacolare, e meglio ancora se costosissimo.
Nulla potrà ridare Salvatore ai suoi
cari, ma noi questa lezione dobbiamo impararla: prima che non solo
Napoli, ma tutte le nostre città storiche ci cadano, letteralmente,
sulla testa.
Il Fatto Quotidiano, 10 luglio 2014
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