9.10.14

L'India di Arriano. Un viaggio antico tutto a tavolino (Roberto Andreotti)

Tigre indiana
Nessun Esperimento alla Manganelli o National Geographic imperiale romano nell'India di Arriano, lo storico greco di Nicomedia di Bitinia vissuto e decorato con incarichi politici e militari al tempo della massima espansione dell'Impero: tigri e pelli di tigri, la mitistorica spedizione di Dioniso pròtos euretès, drammatiche cacce agli elefanti selvatici, molta paradossografia alla occidentale, curiosità strisciante per il meraviglioso e il diverso misurati e descritti sempre a partire dal canone formale più familiare... Ma non ci si deve certo aspettare da Arriano il genere del racconto in cui si sente il fiato dello scrittore, come nella migliore storiografia classica, e si vedono polaroid autografe o testimoni: né autopsia (egli in realtà non si mosse dal suo tavolino di scrittore, probabilmente ad Atene) né acroasi (il caldo scrivere «per sentito dire»). Anzi, la sua India essendo quella di Alessandro, sembra che cinque secoli fossero trascorsi senza alcun incremento delle conoscenze geografiche e storiche, congelate la cartografia e l'etnografìa...
Le ragioni per cui bisogna rileggere l'Indiké di Amano vanno cercate altrove, e anche se ormai ci riesce difficile comprendere l'entusiasmo adolescenziale del suo principale editore moderno (Pierre Chantraine, 1927), tuttavia l'India resta un interessantissimo esemplare di parassita letterario, di resoconto geografico in vitro, esclusivamente basato su testi precedenti, già vissuti e per noi defunti: Megastene (IV-III sec. a.C.) e Nearco - l'ammiraglio di Alessandro, compilatore di un diario alla Fernando Colombo, come ha osservato Pietro Janni. Ma il suo nido Arriano lo ha fatto in piena legittimità e orgogliosamente, beninteso, perché quello che a noi appare un intollerabile assenteismo scientifico, sia cronologico sia spaziale, per la cultura antica non era certo sufficiente a delegittimare la riuscita della ciambella. Quanto a noi, per apprezzare un testo così artificiale, sarà sufficiente attenersi alla pratica dei generi letterali, e guardare bene in macchina: dove ha puntato l'obiettivo Arriano? Non è l'India tout-court che lo interessa, ma l'India di Alessandro: «Poiché lo scopo della mia opera non era quello di descrivere i costumi indiani, - dice a conclusione della prima parte, etnografica, dell'opera ma come la flotta di Alessandro sia giunta in Persia a partire dall'India...». E così giustifica la digressione: lunga alla fine quanto il testo intero però, perché a partire dal capitolo XVIII inizia una seconda divagazione dall'azione principale di Alessandro: il cui peso specifico gioca quasi del tutto in absentia, aleggia nel testo, che si sposta per mare e per porti e per scogli e isole e odissiache peripezie, come i «mangiatori di pesci» che non sanno pescare e fanno case colle ossa delle balene al posto del legno. Arriano, il nuovo Senofonte il cui Socrate è Epitteto, riscrive il «giornale di bordo» di Nearco, che aveva avuto l'incarico di perlustrare la costa dalle foci dell'Indo fino a Susa (325 a.C.) in parallelo con l'azione dell'esercito macedone sulla terraferma. E quando infine Alessandro si materializza, con travaso di commozione per il ricongiungimento, può apprendere ufficialmente la notizia che il lettore sa prima di lui: non solo Nearco è sano e salvo, ma anche la flotta è salva...
Alla fine si lascia leggere, questo diario nautico-militare, anche se il genere della perlustrazione e delle osservazioni registrate è espresso un po' monotonamente, e secondo corrispondente metro psicologico, in tappe da ultimare, distanze da coprire, rifornimenti da fare, baie e porti in cui attraccare, senza avere sorprese. Però c'è spazio anche per un po' d'avventura, come quando avvistate le balene «si misero a gridare a squarciagola, a suonare le trombe e a fare più rumore possibile con i remi» per allontanarle; e quell'isola misteriosa dove si scompare come nel Triangolo delle Bermude? Si faccia subito un sopralluogo, e occhi bene aperti...
Considerata a lungo e a torto un'appendice etnico-geografica della maggiore Anabasi di Alessandro, ma redatta in stile ionico alla maniera di Erodoto e della tradizione dei logografi, l'India è pur sempre l'unica monografia sul subcontinente indiano sopravvissuta al naufragio dell'Antichità: bene ha fatto la Bur di Evaldo Violo a riproporla con testo a fronte e si annuncia pure una traduzione annotata presso la leccese Argo, a cura di Gianni Schilardi (in attesa dell'Anabasi prevista nella serie «Storie e miti di Alessandro» della Fondazione Valla, si può davvero parlare di un revival editoriale di Arriano).
Nearco si offrì di guidare la flotta in quell'impresa piena di insidie, rassicurando i timorosi e gli scettici: se Alessandro accettava di rischiarlo, allora ci si poteva salvare dai pericoli: «Il grande splendore dei preparativi, la bellezza delle navi, l'eccezionale ardore dei trierarchi nel provvedere ai rematori e al restante equipaggio risvegliarono il coraggio di coloro che prima avevano forti esitazioni». Anche questa immedesimazione - già classica - infonda umiltà a chi abbia già letto Verne e Salgari, o sia già atterrato in India con l'aereo di Manganelli.


“alias – il manifesto”, 2 dicembre 2000

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