Tigre indiana |
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alla Manganelli o National Geographic imperiale romano
nell'India di Arriano, lo storico greco di Nicomedia di Bitinia
vissuto e decorato con incarichi politici e militari al tempo della
massima espansione dell'Impero: tigri e pelli di tigri, la
mitistorica spedizione di Dioniso pròtos euretès,
drammatiche cacce agli elefanti selvatici, molta paradossografia
alla occidentale, curiosità strisciante per il meraviglioso e il
diverso misurati e descritti sempre a partire dal canone formale più
familiare... Ma non ci si deve certo aspettare da Arriano il genere
del racconto in cui si sente il fiato dello scrittore, come nella
migliore storiografia classica, e si vedono polaroid autografe o
testimoni: né autopsia (egli in realtà non si mosse dal suo
tavolino di scrittore, probabilmente ad Atene) né acroasi (il caldo
scrivere «per sentito dire»). Anzi, la sua India essendo quella di
Alessandro, sembra che cinque secoli fossero trascorsi senza alcun
incremento delle conoscenze geografiche e storiche, congelate la
cartografia e l'etnografìa...
Le ragioni per cui
bisogna rileggere l'Indiké di Amano vanno cercate altrove, e
anche se ormai ci riesce difficile comprendere l'entusiasmo
adolescenziale del suo principale editore moderno (Pierre Chantraine,
1927), tuttavia l'India resta un interessantissimo esemplare
di parassita letterario, di resoconto geografico in vitro,
esclusivamente basato su testi precedenti, già vissuti e per noi
defunti: Megastene (IV-III sec. a.C.) e Nearco - l'ammiraglio di
Alessandro, compilatore di un diario alla Fernando Colombo, come ha
osservato Pietro Janni. Ma il suo nido Arriano lo ha fatto in piena
legittimità e orgogliosamente, beninteso, perché quello che a noi
appare un intollerabile assenteismo scientifico, sia cronologico sia
spaziale, per la cultura antica non era certo sufficiente a
delegittimare la riuscita della ciambella. Quanto a noi, per
apprezzare un testo così artificiale, sarà sufficiente attenersi
alla pratica dei generi letterali, e guardare bene in macchina: dove
ha puntato l'obiettivo Arriano? Non è l'India tout-court che lo
interessa, ma l'India di Alessandro: «Poiché lo scopo della mia
opera non era quello di descrivere i costumi indiani, - dice a
conclusione della prima parte, etnografica, dell'opera ma come la
flotta di Alessandro sia giunta in Persia a partire dall'India...».
E così giustifica la digressione: lunga alla fine quanto il testo
intero però, perché a partire dal capitolo XVIII inizia una seconda
divagazione dall'azione principale di Alessandro: il cui peso
specifico gioca quasi del tutto in absentia, aleggia nel
testo, che si sposta per mare e per porti e per scogli e isole e
odissiache peripezie, come i «mangiatori di pesci» che non sanno
pescare e fanno case colle ossa delle balene al posto del legno.
Arriano, il nuovo Senofonte il cui Socrate è Epitteto, riscrive il
«giornale di bordo» di Nearco, che aveva avuto l'incarico di
perlustrare la costa dalle foci dell'Indo fino a Susa (325 a.C.) in
parallelo con l'azione dell'esercito macedone sulla terraferma. E
quando infine Alessandro si materializza, con travaso di commozione
per il ricongiungimento, può apprendere ufficialmente la notizia che
il lettore sa prima di lui: non solo Nearco è sano e salvo, ma anche
la flotta è salva...
Alla fine si lascia
leggere, questo diario nautico-militare, anche se il genere della
perlustrazione e delle osservazioni registrate è espresso un po'
monotonamente, e secondo corrispondente metro psicologico, in tappe
da ultimare, distanze da coprire, rifornimenti da fare, baie e porti
in cui attraccare, senza avere sorprese. Però c'è spazio anche per
un po' d'avventura, come quando avvistate le balene «si misero a
gridare a squarciagola, a suonare le trombe e a fare più rumore
possibile con i remi» per allontanarle; e quell'isola misteriosa
dove si scompare come nel Triangolo delle Bermude? Si faccia subito
un sopralluogo, e occhi bene aperti...
Considerata a lungo e a
torto un'appendice etnico-geografica della maggiore Anabasi di
Alessandro, ma redatta in stile ionico alla maniera di Erodoto e
della tradizione dei logografi, l'India è pur sempre l'unica
monografia sul subcontinente indiano sopravvissuta al naufragio
dell'Antichità: bene ha fatto la Bur di Evaldo Violo a riproporla
con testo a fronte e si annuncia pure una traduzione annotata presso
la leccese Argo, a cura di Gianni Schilardi (in attesa dell'Anabasi
prevista nella serie «Storie e miti di Alessandro» della Fondazione
Valla, si può davvero parlare di un revival editoriale di Arriano).
Nearco si offrì di
guidare la flotta in quell'impresa piena di insidie, rassicurando i
timorosi e gli scettici: se Alessandro accettava di rischiarlo,
allora ci si poteva salvare dai pericoli: «Il grande splendore dei
preparativi, la bellezza delle navi, l'eccezionale ardore dei
trierarchi nel provvedere ai rematori e al restante equipaggio
risvegliarono il coraggio di coloro che prima avevano forti
esitazioni». Anche questa immedesimazione - già classica - infonda
umiltà a chi abbia già letto Verne e Salgari, o sia già atterrato
in India con l'aereo di Manganelli.
“alias – il
manifesto”, 2 dicembre 2000
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