Raffaello, Disputa del Santissimo Sacramento, particolare, Palazzi vaticani, Roma |
Partendo dai suoi studi
di letteratura italiana (materia che insegna all'Università di
Bologna), il professar Piero Camporesi è arrivato inopinatamente
all'Inferno. Un inferno di parole, naturalmente, che si colloca —
nell'urbanistica del mito cristiano — appunto in luogo basso, nei
sotterranei di quel triplex habitaculum che Dio stesso ha
allestito e che comprende due piani stabili (l'aldilà celeste e
quello infero), tra i quali sta come sospeso il nostro mondo
terrestre, a differenza di quello destinato a perire.
La conoscenza del testi e
la loro assidua, divertita frequentazione, consentono all'autore (già
ben noto per le sue escursioni terrificanti nel Paese della fame,
tra la Carne impassibile e il simbolismo del sangue inteso
come Sugo della vita, avviate con successo a partire dal 1978)
un caleidoscopico itinerario infernale nel suo nuovo saggio La
casa dell'eternità, (Garzanti). Vi s'incontrano, come da
copione, tutti i più raffinati e afflittivi tipi di pena che
l'immaginazione sadica degli autori più pii ha saputo escogitale a
partire dallo scritturale «pianto e strider di denti» (Matteo
8:12).
Naturalmente «il mulino
del tempo e la macina dei secoli — osserva Camporesi — hanno
alterato non solo gli spazi e gli scenari del mondo sotterraneo ma,
funzionali al ricambio sociale, alla modificazione del costume,
alla formazione di nuovi ceti e gruppi sociali, alle mutazioni
culturali, hanno delineato nuove invenzioni nella tipologia dei
peccatori e dei dannati, una nuova utenza delle pene».
Dal modello dantesco,
feudale e comunale, si passa a quello della Controriforma, entro il
quale trovano posto — grazie a una casistica enumeratoria
degna del grande secolo barocco — «legulei scorretti,
notai mendaci, speziali contraffattori di medicamenti, mercanti
disonesti, chirurghi che tormentavano il paziente tenendo aperte con
vari artifici piaghe e ferite, macellai che rubavano sul peso, osti
adulteratori di vino, [..,] religiosi incontinenti, offensori
dei superiori e comunque di poco rispetto per i gradi più elevati,
prelati, confessori, predicatori impari al loro grado o inetti al
loro ufficio, profanatori di sacramenti, istigatori al meretricio di
mogli e figlie, giuocatori di carte e di dadi, saltimbanchi, buffoni
e frequentatori di bettole e bagni, spensierati ingrassatori della
carne» e così via, per pagine e pagine, con evidente
divertimento linguistico dell'autore e dei suoi lettori.
Miniera inesauribile di
tali descrizioni sono I grandi quaresimalisti del secolo, soprattutto
i gesuiti (Gluglaris, Zuccarone, Orchi — nomina sunt omina!
— Corto Gregario Rosignoli) e il padre Paolo Segneri, che
rappresenta l'inizio dell'attenuazione settecentesca, un prodromo del
razionalismo e della successiva lenta decadenza di un «Dio
neroniano» che era «moneta corrente nei pulpiti del Seicento».
La profanazione dei
sacramenti, alla quale il Medio Evo fu a sua volta assai sensibile,
offre a Camporesi un ponte per completare il suo saggio passando a
trattare dell'ostia, ossia del pane azzimo consacrato attorno al
quale si costruisce la Messa, il momento più alto del culto
cristiano. «E' difficile oggi rendersi conto — nota
Camporesi — della forza irradiante del "pane di vita",
del fascino della particella nella quale era calato prodigiosamente
un dio nascosto e invisibile; misurare la suggestione emanante da un
concentrato di divinità miracolosamente imprigionato in un fragile
dischetto di pane sacro. Era il soprannaturale alla portata di
tutti...».
Ma era anche, e
soprattutto — nell'ottica visionaria dei testi avventurosamente
esplorati dal nostro autore — una continua fonte di prodigi (il più
frequente, quello sperimentato da fedeli che riuscivano a nutrirsi
soltanto di ostie, senza più avvertire fame per un'intera
settimana).
E infine, una sequela di
preoccupate meditazioni mistico-biologiche circa tutto il
terrificante tragitto che l'ostia consacrata, una volta deglutita, si
trovava a dover percorrere: «Il corpo dell'Agnello purissimo
immesso nella sozzura dell'apparato digerente, la carne divina
contaminata dal contatto con le mucose ed i succhi della carne
corruttibile, tutta la sporcizia delle viscere». Un tema orfico
che non poteva sfuggire alla magnificenza del poeta secentesco
Giambattista Marino, «erudito lettore di carte sacre della
biblioteca del cardinale Aldobrandini nel "deserto ravennate"»,
che infatti vi dedicò alcuni versi, ovviamente stupefacenti.
Ma il vero corpus
del dibattito è quello prodotto dai teologi, e forma il nucleo degli
ultimi due capitoli del libro di Camporesi, intitolati Nel fondo
dello stomaco e L'orrore delle viscere: una lettura che,
seppur ben nota agli addetti ai lavori, non mancherà di stupire e
forse scandalizzare chi di quesr. argomenti non si sia mai nutrito.
“Tuttolibri – La
Stampa”, 11 luglio 1987
Nessun commento:
Posta un commento