Dopo una certa età si
diventa, è ben noto, intolleranti al ricorrere delle mode, ai cicli
dei gusti. Agli anziani quasi sempre ne viene scetticismo o cinismo.
Ma di sommo fastidio sono soprattutto le ripetizioni, per così
chiamarle, permanenti. Mi spiego con un esempio letterario.
Anni fa mi irritavo
quando mi avvedevo che nelle librerie e nelle conversazioni stavano
tornando di moda autori che erano stati in voga fra i letterati alla
vigilia della guerra: che so, i metafisici inglesi, i mistici
spagnoli, i grandi testi orientali, i mitteleuropei inizio secolo. Ma
proprio avevo torto. Quel che qualche decennio prima era stato
inserito nella ricerca esitante o attonita di sparuti gruppi (che si
illudevano così di sfuggire alla cultura ufficiale dell'età
fascista o al duro dominio dei seguaci di Croce) quando, e sono ormai
quasi vent'anni, è tornato in circolo, era già "voce" di
catalogo dell'industria culturale, rispondeva a una domanda costante.
Stava ai lettori di élite degli anni Venti o Trenta come certi fregi
dorati di edizioni semieconomiche per edicole stanno ai tagli d'oro
delle edizioni per bibliofili. Libri da avere sempre in magazzino: la
macchina scolastica e quella dei media garantiva una fascia sempre
più estesa di aspiranti alla elevazione spirituale. Chi scriverà,
nella storia della nostra editoria, che cosa è stata la destra
intellettuale negli scorsi vent'anni e come la più stolta sinistra
abbia finito col servirla?
Dicono gli storici che se
si compie una indagine bastantemente documentata di qualsiasi
società, sotto i più visibili strati ideologici (quelli della
classe dominante) è possibile individuare la compresenza d'una
varietà di atteggiamenti, modi di pensare, interpretazioni del mondo
che non muoiono mai ma sono solo temporaneamente sopraffatti, e
rimangono dormenti, inattivi ma pronti a riaffacciarsi quando si
diano condizioni favorevoli. Le eresie minoritarie non sono mai
distrutte. Incenerito l'ultimo dei càtari, qualcosa ne sarà
trasmigrato inavvertito nella mente dell'inquisitore o del boia. Col
passare degli anni diventa abbagliante l'identità fra lo stesso e il
diverso. Tutto è sempre più eguale ma tutto va sempre più
cambiando (dunque può essere cambiato).
Posso scherzare? Qualcosa
nel costume letterario italiano invece non cambia mai. E' la
venerazione per le opinioni morali ed estetiche di Flaubert. Le
stesse precise identiche frasi ammirative che mi sentivo dire ai
tavoli delle "Giubbe Rosse" nel 1938, le ho riascoltate
sulle labbra della generazione successiva, nel 1956. E oggi i nipoti
le ripetono su per riviste e articoli d'ogni regione. Da mezzo secolo
i collitorti letterari esalano sospiri di rapimento per la
corrispondenza di Gustave con Louise Colet. Non c'è apprendista che
si sia esentato, soprattutto negli scorsi vent'anni, dall'imparare da
quelle pagine il disprezzo della storia, della lotta per il progresso
civile, e il culto pseudo-religioso per l'arte. Per comprenderne la
povertà, le si compari a quelle di Baudelaire che pure paiono dire
le stesse cose. (Non sto parlando, va da sé, dei capolavori
narrativi né di altre parti della corrispondenza, come quella con
Turgheniev, da poco in italiano in una plaquette edita dalla
Archinto).
Ci voleva il lavoro di
Sartre, durato una vita, per fare i conti (ma chi, oltre a lui, o con
lui, vuoi farli?) con quella articolazione mentale e morale. Per,
alla fine, esaltarlo; ma come un prodigioso modello di "impegno",
destinato, anche oggi, a servire proprio le cause che Flaubert
detestava. Alla fine, appunto, dopo un lunghissimo percorso
accidentato; non dopo quelli, facilitati e raccomandati agli
apprendisti reazionari, che i custodi della ironia consolidata e
dello spiritualismo ben amministrato continuano, immortali, ad
organizzare ai nostri nipoti fin dalle antologie per la media unica.
A pensarli, quasi ringrazio la sorte di essere vissuto nell'età
della Lunga Marcia, della guerra di Spagna, di Stalingrado e del
Vietnam. Caro Magris, per tua fortuna non sei di quei custodi, eppure
devo dirti che non posso essere d'accordo con te: l'alternativa a
Cuore non è, come mi pare tu abbia scritto, La signora
Bovary. E' Resurrezione. Oppure (ed è anche meglio)
nessun romanzo.
L'ESPRESSO - 24 APRILE
1988
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