Tra le spiegazioni che si
danno delle rigidità tedesche nelle politiche monetarie dell'Unione
e della Banca Europea, ce n'è una di carattere storico, quella
secondo cui a quasi cento anni di distanza in Germania farebbe ancora
paura lo spettro dell'inflazione galoppante di cui fu vittima negli
anni Venti del Novecento. A me sembra che quella vicenda, per quanto
persistente nella memoria collettiva, non conti molto nell'orientare
oggi le scelte di governanti e banchieri e tuttavia può rispondere a
qualche curiosità la ricostruzione giornalistica che segue, vivida.
(S.L.L.)
Nel 1924 una troupe
americana diretta da David Griffith, l'autore di Intolerance e
di Nascita di una nazione, girò nei dintorni di Berlino un
film ambientato nella Germania dell'inflazione e della miseria. Non
ho mai visto questo film, e non so se il titolo datogli da Griffith
(Non è meravigliosa la vita?) fosse una amara ironia oppure
un invito alla speranza. Certo, se il grande regista americano era
venuto in Germania per raccontare una storia di desolazione e di fame
(nel film i protagonisti mangiano quasi esclusivamente patate:
spettacolo, comunque, non inconsueto neanche negli Stati Uniti),
qualcosa doveva averlo colpito o attratto fa modo particolare. La
percezione, forse, che la grande inflazione, questo dramma
esistenziale quotidiano che da due anni attanagliava il popolo
tedesco, rivelasse la decadenza invisibile di una civiltà; infatti
molti, in Germania e fuori della Germania, erano convinti da tempo
che una grande nazione stesse morendo nel cuore dell'Europa.
Gli intellettuali, gli
artisti e quanti avevano immaginato e amato la società e la cultura
tedesche come parte fondamentale dell'universo compatto della civiltà
europea, si sentivano davanti alla Germania come degli archeologi in
gara col tempo dissolvitore. La forte e antica Germania scompariva a
vista d'occhio, consumata dall'inflazione. Una agonia inedita nella
storia del mondo contemporaneo, ma anche, come accade nelle
sconfitte, un momento di verità collettiva e di turbamenti
individuali. Di lì a poco sarà Thomas Mann a far balenare, nello
sconcertante romanzo breve Disordine e dolore precoce del
1925, la testimonianza dello sgomento borghese annidato in una crisi
economica generale e in un «disordine» intellettuale e familiare.
Meccanismi
impazziti
Della
grande inflazione che aveva colpito la Germania agli
inizi degli anni Venti e che aveva raggiunto il massimo della
virulenza nel 1923 non era facile, infatti, capire tutte le ragioni,
né era possibile seguire i meccanismi degenerati e impazziti. In
generale, questo accade nei confronti di tutte le inflazioni, dalla
«rivoluzione dei prezzi» scoppiata in Europa nei decenni a cavallo
tra il Cinquecento e il Seicento, all'attuale inflazione italiana del
20 per cento. Ci si accorge stupiti che il denaro scivola velocemente
tra le dita, che agli speculatori, agli evasori, ai tagliatori di
cedole, le cose vanno comunque bene; che i capitali e i prodotti ci
sono fa abbondanza, e tuttavia incombe l'insicurezza, si avverte una
smania impotente e si protende dappertutto l'ombra dell'indigenza.
Ebbene, nella Germania della grande inflazione questi stati di fatto
e questi sentimenti culminarono fa una crisi mai conosciuta fa un
paese capitalistico. «Fu quello», ricorderà un altro regista,
Fritz Lang, «un periodo di incertezze, di isterismo, di corruzione
sfrenata. Gli uomini si trovarono a dover affrontare una situazione
sconosciuta: l'inflazione».
Come è stato descritto
fa diverse ricerche storiche, la miseria dilagava in un paese che,
seppur vinto in guerra e pressato dalla Francia per le riparazioni,
aveva la produzione industriale più avanzata e moderna del mondo, ma
nonostante ciò quasi tutta la popolazione attiva era ridotta sul
lastrico; finivano tutti i privilegi, eccetto quelli dei proprietari
di capitali e di mezzi di produzione, si assisteva al «trionfo della
speculazione, della corruzione, della prostituzione, alla
dissoluzione di tutte le barriere sociali, di tutte le ideologie
democratiche, alla irrisione di tutti i cosiddetti valori morali».
Uno scenario di tali
dimensioni non poteva essere pienamente dominato e inteso, e
difficilmente se ne sarebbe potuta dare una spiegazione complessiva e
un'immagine totale. C'è dunque una motivazione storica oltre che
estetica nelle parole, ancora di Fritz Lang, del 1925: «Se c'è
qualcosa che ha il dovere di testimoniare davanti al mondo sul popolo
tedesco, sulle sue disgrazie, sulle sue speranze, è proprio il
cinema; nella sua forma più elevata, l'unica che gli conferisca il
diritto di esistere». E i suoi film eccezionali sono infatti anche
un documento, oltre che una metafora dell'inflazione.
Immaginiamo allora che
nel novembre del 1923 degli operatori cinematografici seguissero per
qualche giorno le quotazioni del dollaro sui tabelloni luminosi delle
Borse di Berlino e di Colonia. Si sarebbero viste cose incredibili.
12 novembre: alla Borsa di Berlino il dollaro aveva già raggiunto la
quotazione ufficiale di 630 miliardi di marchi. Ventiquattr'ore dopo,
raggiungeva la quota di 830 miliardi. Il 14 novembre 1.260 miliardi,
il 15 novembre 2.520 miliardi e il 20 novembre 4.200 miliardi. Negli
stessi giorni, la Borsa di Colonia registrava quotazioni ancora più
folli: dai 6.850 miliardi di marchi del 14 novembre agli 11.700
miliardi del giorno 20. Praticamente ogni minuto il valore del marco
tendeva a diminuire. Volendo fare dei calcoli precisi, sulla base
delle quotazioni alla Borsa di Berlino, si può stabilire che fa
quella settimana di novembre i berlinesi erano in possesso di moneta
che ogni ora perdeva rispetto al dollaro 18 miliardi e 593 milioni di
valore, cioè 309 milioni al minuto. Risponde dunque a verità quanto
gli attoniti viaggiatori stranieri raccontavano di avere visto fa
Germania. Un paese di «meraviglie», dove si entrava fa un
ristorante e si veniva immediatamente avvisati, anche con segnali
luminosi, che il prezzo di ciò che si mangiava aumentava man mano
che lo si mangiava.
L'intervento di
Schacht
Ho indicato il 12
novembre, come la data iniziale di una settimana-campione tra le più
pazze della grande inflazione, perché fa quel giorno entrò in scena
il banchiere Hjalmar Schacht, uomo chiave del capitalismo tedesco per
i successivi vent'anni. Il 12 novembre Schacht fu infatti chiamato
alla carica di Commissario monetario del Reich con poteri pieni e
straordinari. Era una decisione del cancelliere Stresemann, che
appena tre mesi prima aveva formato un governo di coalizione insieme
con i socialisti. Ma neanche i socialisti avevano saputo fino a quel
momento che pesci prendere.
Gli unici dati, per così
dire, certi — oltre la progressione geometrica verso il basso del
valore del marco — erano le trenta cartiere che lavoravano a pieno
ritmo per fornire alla Reichsbank (l'equivalente della nostra Banca
d'Italia) la carta filigranata, e le 133 tipografie con 1783 macchine
che stampavano fa continuazione biglietti di banca. Una massa di
denaro che si spendeva rapidamente e sulla quale tuttavia c'era chi
speculava fa modo forsennato. Infatti, mentre i biglietti di banca
avevano pur sempre la «firma» dello Stato e una, seppur parziale,
copertura nelle ricchezze naturali della Germania, quali ad esempio
la terra (con l'avvento di Schacht il marco fu appunto riconvertito
nel Rentenmark, il marco-rendita fondato sul valore della terra), le
grandi imprese private, industriali e commerciali, si misero a
stampare in proprio moneta senza copertura, per un valore che nel
1923 era il doppio di quello stampato sulle emissioni della
Reichsbank. Questo denaro privato (chiamato Notgeld) raggiunse nel
1923 la cifra allucinante di circa 500 trilioni.
Quando, in tale marasma,
i negozianti al minuto cominciarono a chiudere i loro negozi in certe
ore e in certi giorni della settimana, sapendo che alla riapertura
avrebbero guadagnato di più, scoppiarono dappertutto sommosse e
avvennero innumerevoli saccheggi. Stresemann fu costretto, il 27
settembre, a proclamare lo stato d'emergenza. «Dalla primavera del
1919 in poi», scrive nelle sue memorie il banchiere Schacht, «la
Germania non era più stata, come in queste settimane, tanto vicina
al pencolo della bolscevizzazione».
Uno dei primi interventi
di Schacht fu un'ordinanza della Reichsbank del 17 novembre, che
vietava a chiunque di accettare in pagamento i Notgeld, gettando così
nel panico i profittatori di questa gigantesca truffa. Di essi si
fece subito portavoce il magnate della siderurgia Stinnes, l'anima
nera del capitalismo tedesco, che cercò di impiantare una campagna
diffamatoria contro il pur conservatore Schacht. Ma il governo
Stresemann non si fece intimidire e proseguì per la sua strada
avviando, già nei primi giorni di dicembre, un processo di
stabilizzazione monetaria e di riconversione del marco che proseguì
per molti lunghi mesi grazie anche al sostegno degli Stati Uniti e,
fa particolare, dei banchieri di Wall Street. Costoro fiutavano
infatti l'affare di investimenti colossali fa un paese ricco di
risorse come la Germania.
Grazie a Schacht,
l'«Internazionale del capitale» si rimetteva dunque fa moto. La
sera del 31 dicembre 1923 Schacht partiva per Londra e il giorno dopo
festeggiava 1'anno nuovo con il governatore della Banca
d'Inghilterra: anche la City a dichiarava disposta a collaborare
aprendo crediti alla Germania. Altrettanta disponibilità dimostrò
il presidente della Banca d'Olanda che Schacht visitò nel viaggio di
ritorno da Londra. E così anche il ruvido Stinnes cominciò a capire
che la fotta all'inflazione avrebbe potuto tornare a vantaggio della
accumulazione capitalistica e dello sviluppo degli apparati
produttivi del paese. Intanto i membri socialisti del governo
sbiadivano sullo sfondo di una operazione che non erano fa grado di
controllare fa alcun modo.
Dalle macerie della
grande inflazione rinasceva dunque il capitalismo «organizzato». La
repubblica di Weimar riprendeva a camminare guidata dalla mano ferma
del potere economico e dalle idee di una borghesia che aveva
rasentato la perdizione.
“la Repubblica”, 24
novembre 1981
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