Jiang Qing |
Due settimane fa, dunque,
Jiang Qing, che era stata la compagna di Mao, si sarebbe uccisa a
Pechino. La notizia è stata confermata dall'agenzia cinese Xsinhua
con queste parole: «La principale criminale della cricca
controrivoluzionaria Lin Biao-Jiang Qing si è suicidata ed è morta
nella sua residenza di Pechino nelle prime ore del mattino del 14
maggio».
Chi un poco sa di Cina
noterà come, anche nei lanci successivi, non viene mai nominato il
legame della donna con Mao, il cui nome non è esaltato ma neppure
calpestato - semplicemente ridotto nelle citazioni al ruolo svolto
nella liberazione del paese. O forse Mao non si può attaccare
ancora. E' curioso anche che Jang Qing sia associata a Lin Biao, che
era caduto nel 1971 in una morte oscura e la cui versione a Pechino
ha raggiunto il massimo dell'incredibilità. Certamente Jang Qing
aveva condiviso il radicalismo dottrinario di Lin Biao, ma il suo
nome era di norma associato alla «banda dei quattro» che aveva
avuto un ruolo determinante nella seconda fase della «rivoluzione
cuturale». Con gli altri tre era stata arrestata dopo la morte di
Mao, poi processata nel 1981 e condannata a morte, tramutata in
ergastolo. Da allora poco si è saputo di lei, se non che nel 1984
aveva subito un'operazione per cancro alla gola. Due mesi fa circa,
un giornale provinciale cinese l'aveva intervistata, era agli arresti
domiciliari alla periferia di Pechino - forse una forma di sanatorio,
difficile capire quale fosse il suo «domicilio» dopo l'arresto, che
l'aveva trovata ancora nella casa circondata dal giardino di peonie
nel quale la intervistò e fotografò la giornalista americana Roxane
Witke. Il giornale scriveva che stava bene, manteneva il «proverbiale
caratterac-cìo», stava scrivendo le sue memorie. Richiesta di darne
qualche anticipazione, aveva risposto: «Aspettate e saprete.»
Forse invece non sapremo.
Se la recente intervista è vera, come afferma la Reuter, Jiang Qing
non si è uccisa perché sofferente d'una malattia mortale: non
sembra - per quanto imponderabili siano i moti interni d'una persona
da noi cosi lontana - tipo da uccidersi a 77 anni perché soffre d'un
male che si rivela incurabile. Se si è uccisa, altro doveva esserle
diventato insopportabile: di non poter testimoniare, per esempio, e
forse non tanto perché glielo impedissero ma perché la Cina, e il
mondo, hanno cosi cambiato colore che le parole delle sua storia
potevano parerle non più in grado di comunicare. Ma come immaginare
che cosa è avvenuto in lei per uccidersi? Il suicidio di vecchi dei
quali tutto si può dire ma non che fossero fragili, come
recentemente Bruno Bettelheim, è diventato una triste prerogativa
del nostro tempo.
Qualcun altro dirà che
si è uccisa perché finalmente pentita, la grande criminale, l'anima
nera di Pechino come titolava ieri a piena pagina “La Stampa”.
Rivedendo quello che scrivemmo di lei e dei quattro nel 1981, per
parte mia non trovo nulla da modificare. Ci sono state grandissime
colpe che non riuscirò mai a catalogare nella criminalità, come
oggi ci sono violenze che nessuno più giudica tali, perché la sola
imperdonabile è la violenza di chi voleva cambiare qualche infinita
miseria. Jiang Qing era di questi, e in lei più che in altri
andarono assieme - diversamente dalla complessa personalità di Mao -
radicalismo della volontà e semplificazione abusiva nella
intelligenza delle cose. Cambiare è difficile, di forza si cambiano
soltanto i poteri. La signora Mela Azzurra, Gru delle Nubi, Azzurro
delle grandi acque - cosi era chiamata da ragazza - voleva cambiare
altro, e fu sconfitta anche da se stessa.
“il manifesto”, 17
maggio 1991
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