Nel secondo volume della
“garzantina” di Matematica, all'interno della voce relativa al
matematico e fisico Vito Volterra (Ancona 1860 – Roma 1940), che
nel 1905 per meriti scientifici fu nominato Senatore del Regno e in
quel ruolo fu oppositore dichiarato del fascismo, un riquadro,
intitolato Il giuramento del 1931,
è dedicato alla solenne dichiarazione di fedeltà che il fascismo
pretese dai professori universitari. La ricostruzione storica,
necessariamente breve e svolta in un contesto inconsueto, è
attribuibile ai curatori Walter Maraschini e Mauro Palma, due
compagni scienziati a lungo impegnati in battaglie civili (il primo
nella scuola, il secondo nella giustizia con “Antigone”). La
trattazione mi è sembrata chiara e rigorosa (sono tentato di
definirla matematica) e perciò utile, specie in un momento di
conformismo dilagante, talora spontaneo, più spesso forzato con i
mezzi di comunicazione o estorto attraverso un implicito ricatto.
(S.L.L.)
Vito Volterra (1860 - 1940) |
La legge Casati del 1859
non prescriveva alcun giuramento speciale per i professori
universitari, equiparati a tutti gli altri impiegati dello stato. Nel
processo che portò alla costituzione dell'Italia unita, man mano che
i vari stati preunitari venivano annessi, nelle università veniva
richiesto soltanto un giuramento politico di fedeltà al re, allo
statuto e alle leggi dello stato. La stessa riforma Gentile del 1923
prevedeva che i professori di ruolo, prima di assumere l'ufficio,
dovessero, pena decadenza, prestare giuramento secondo la formula:
«Giuro di essere fedele al Re ed ai suoi Reali successori, di
osservare lealmente lo statuto e le altre leggi dello stato, di
esercitare l'ufficio di insegnante e adempiere tutti i doveri
accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti
alla Patria». Vuoi perché questa riguardava solo i professori di
prima nomina, vuoi perché nel clima del primo dopoguerra la fedeltà
alla monarchia era fuori discussione, non risulta che qualcuno abbia
rifiutato il giuramento.
Il quadro cambia con il
processo di fascistizzazione dello stato, successivo alle leggi
eccezionali del 1925. Scuola, università e accademie diventano per
il regime un terreno di missione in cui dispiegare tutte le capacità
propagandistiche, mescolando forza e consenso, intimidazioni e
lusinghe, bastone e carota. Il dissenso va represso, ma anche
controllato e svuotato attraverso un'articolata rete di
collaborazioni chiamata a invischiare la vasta fetta di società che
si situa tra la piccola intellettualità e gli esponenti dell'alta
cultura.
L'episodio del giuramento
del 1931 si ispira a questa logica. Nelle file del regime, c'è chi
preme per una soluzione drastica del problema degli intellettuali e
per l'allontanamento dall'insegnamento di tutti i docenti
politicamente non affidabili. Chi è tra i primi a professarsi in
totale disaccordo con questa linea oltranzista è un matematico come
Francesco Severi. In un promemoria del 1929, diretto personalmente a
Benito Mussolini, scrive che l'allontanamento di professori «che
compirono in passato qualche manifestazione politica, non ortodossa,
ma ai quali non si può oggi nulla rimproverare, sarebbe esiziale
alla cultura e alla scienza italiana, e si rifletterebbe in un danno
morale e materiale per la nazione, con gravi ripercussioni vicine e
remote». Fra gli intellettuali è cambiato il comune sentire
politico: «Vi sono state grandi incertezze dal principio, dipendenti
da quello spirito critico, che non può scompaginarsi dall'abitudine
alla ricerca scientifica, e che impedisce di regola di aderire
subitamente a un nuovo ordine di idee. Ma le incertezze sono ormai
superate dalla enorme maggioranza». Il promemoria a Mussolini del
1929 è seguito da una lettera che pochi giorni dopo Severi indirizza
da Barcellona a Giovanni Gentile e in cui esplicita le sue idee per
risolvere una volta per tutte la questione degli intellettuali sulla
base di quanto scritto al duce. Pensa in particolare a un giuramento
di fedeltà al fascismo cui dovrebbero sottoporsi tutti i professori
universitari. La sua impostazione non sarebbe solo un atto repressivo
e intimidatorio, ma sancirebbe la pacificazione nazionale con il
riconoscimento che ormai fascismo e nazione coincidono. Siamo tutti
italiani, quindi tutti fascisti, e non c'è più ragione di
dividerci. Il giuramento servirebbe comunque a individuare e a
isolare quei pochi irriducibili che verrebbero immediatamente
eliminati. A queste finalità provvede il giuramento del 1931. Il
suggerimento di Severi, fatto proprio da Gentile, è accolto: «Giuro
di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime
Fascista, di osservare lealmente lo statuto e le altre leggi dello
stato, di esercitare l'ufficio di insegnante e adempiere a tutti i
doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e
devoti alla Patria ed al Regime Fascista. Giuro che non appartengo né
apparterrò ad associazioni o partiti la cui attività non si concili
coi doveri del mio ufficio».
L'imposizione del
giuramento semina dubbi e divisioni tra i professori universitari.
Nei docenti antifascisti prevalgono le preoccupazioni per le
conseguenze personali e professionali cui andrebbero incontro: il
licenziamento, l'impossibilità di continuare a sviluppare la propria
scuola e assicurare un futuro agli allievi, l'amara previsione che
lascerebbero libero il campo a colleghi peggiori (almeno dal punto di
vista etico e dell'assunzione delle responsabilità civili). Si
diffonde poi il calcolo che, se il giuramento diventasse un fatto
plebiscitario, la sua importanza politica a fini discriminatori
verrebbe fortemente ridimensionata. A questo realismo si adeguano i
professori legati in qualche modo ai partiti di sinistra che
suggeriscono un low profile per rimanere all'interno dell'istituzione
universitaria e presidiare i pochi spazi ancora liberi a disposizione
delle voci democratiche. Anche i docenti cattolici sono molto
combattuti sull'atteggiamento da assumere. Il consiglio che viene
dalle gerarchle ecclesiastiche è di aderire al giuramento, pur
conservando in coscienza tutte le riserve mentali del caso e sapendo
che tale atto è troppo condizionato dall'esterno per essere sincero.
«L'Osservatore Romano» troverà nella precisa formulazione del
giuramento un'ulteriore giustificazione: «II contesto medesimo della
formula del giuramento, mettendo sullo stesso piano il Re, i suoi
Reali successori e Regime Fascista, mostra con sufficiente chiarezza
che l'espressione "Regime Fascista" può e deve nel caso
presente aversi per equivalente all'espressione "Governo dello
Stato". Ora al Governo dello Stato si deve secondo i principi
cattolici fedeltà e obbedienza, salvi, s'intende, come in qualunque
giuramento richiesto ai cattolici, i diritti di Dio e della Chiesa».
Non mancano tentennamenti
ed esitazioni. Giuseppe Levi (1872-1965) è un istologo di fama
internazionale, alla cui scuola di Torino si formeranno i futuri
Premi Nobel Salvatore Luria (1912-1991), Renato Dulbecco (1914-2012)
e Rita Levi Montalcini (1909-2012). Socialista e antifascista,
nasconderà nella propria casa Filippo Turati e altri oppositori del
regime. Inizialmente non ha alcuna intenzione di giurare, malgrado
qualche tentativo dei suoi allievi che cercano di indurlo a un
atteggiamento più possibilista. Dopo un denso scambio epistolare con
il giurista Alessandro Levi (1881-1953) di Parma e con il matematico
T. Levi-Civita, i tre docenti concordano una lettera da presentare ai
rispettivi rettori nella quale si impegnano a firmare a patto che le
autorità accade-miche attestino che la sottoscrizione non implica
alcuna limitazione alla loro libertà di pensiero. In realtà, Levi
si accontenta di un'assicurazione verbale del ministro
dell'Educazione nazionale e cede alle diverse pressioni.
Chi non ha esitazioni è
Vito Volterra. Come gli altri professori dell'università di Roma,
riceve l'invito a presentarsi dal rettore il 18 novembre 1931. Lo
stesso giorno gli esprime, con poche e ferme parole, la sua
opposizione al giuramento: «Sono note le mie idee politiche per
quanto esse risultino esclusivamente dalla mia condotta nell'ambito
parlamentare, la quale è tuttavia insindacabile in forza dell'Art.51
dello Statuto fondamentale del Regno. La S. V. Ill.ma comprenderà
quindi come io non possa in coscienza aderire all'invito da Lei
rivoltomi con lettera 18 corrente relativa al giuramento dei
professori». La risposta del regime non si fa attendere e il 12
dicembre «all'onorevole prof. Vito Volterra, senatore del regno,
ordinario di fisica matematica nella R. Università di Roma» viene
comunicato che il rifiuto a prestare giuramento l'ha posto «in
condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche
del Governo», rendendo inevitabile la sanzione della dispensa dal
servizio. Il 29 dicembre il provvedimento è reso operativo «su
conforme deliberazione del Consiglio dei Ministri».
Gli altri professori
universitari giurano tutti, o quasi. La strategia di Severi e Gentile
nell'immediato si rivela vincente. Quelli che non si piegano
all'imposizione e non accettano di essere considerati italiani solo
in quanto fascisti sono solo dodici. Ecco i loro nomi: Ernesto
Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errerà,
Giorgio Levi Della Vita, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo
Nigrisoli, Francesco ed Edoardo Ruffini, Lionello Venturi (e appunto
Vito Volterra). Le loro sono storie diverse, solo parzialmente
intrecciate. Il rifiuto che li accomuna non è una cospirazione. Non
sperano affatto che il loro gesto possa essere la scintilla in grado
di far scoppiare la rivoluzione o, comunque, di portare alla caduta
del fascismo. A tutto pensano fuorché a far precipitare la
situazione politica. Verranno licenziati dall'università ed
emarginati, additati come antitaliani. In prospettiva, invece,
saranno loro a dare un insegnamento alla società italiana: si può
anche dire di no. I dodici non ce la fanno a ingoiare l'amaro boccone
del giuramento. C'è un livello al di sotto del quale tutti gli
inviti alla prudenza e a un sano realismo politico divengono perdita
della propria dignità.
In Le garzantine.
Matematica M-Z (a cura di Walter
Maraschini e Mauro Palma), Garzanti- Corriere della Sera, 2014
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