2.10.14

Sicilia anni 40. "Come diventai comunista": i ricordi di Francesco Renda

Il ricordo qui postato, di Francesco Renda, che fu a lungo dirigente e parlamentare comunista e poi storico della Sicilia, tra i più documentati e profondi, consta di due parti: la prima illustra il rapporto affettuoso e conflittuale insieme con Girolamo Li Causi, un “zzu Mommu”, figura leggendaria del movimento operaio siciliano; la seconda racconta l'adesione al Pci di Renda, che in quegli anni girava in bicicletta per i paesi dell'agrigentino a organizzare e guidare le lotte contadine. (S.L.L.)

Fra i ricordi più vivi c'è il mio primo incontro con Li Causi, ricoverato alla clinica Noto della via Dante, a Palermo. Non lo conoscevo che di nome, e anche solo da qualche settimana. Ma non ci era difficile avvicinarlo. 
La discussione si si concentrò su quanto mi era accaduto qualche giorno innanzi. Allora avevo 22 anni, tanto entusiasmo e anche un po' di incoscienza (requisito indispensabile per avere coraggio in certe circostanze). Come se tutto fosse liscio e tranquillo, e non lo era, insieme con Aurelio Attardi, padre di Ugo, il pittore, la domenica precedente, me n'ero andato a tenere una conferenza a Montelepre, fortezza presidiata dalla banda Giuliano. E raccontai a Li Causi come erano andate le cose. Ci fu un dibattito, prese la parola anche un prete, che fece un sacco di obiezioni sul comunismo, ma riuscii ad avere il pubblico dalla mia. Li Causi non disse nulla; mi ascoltò molto attento; e divenimmo amici, come si può esserlo fra militanti del partito comunista.
Altri incontri li avemmo anche in seguito. Ma non sempre tranquilli, per la verità. La mia formazione «crociana» (ero studente di filosofia e insieme a Marx leggevo Croce) non mi faceva un militante squadrato così e così, come si usava allora. La fedeltà al partito e la disciplina erano fuori discussione. Ma spesso non riuscivo a essere in perfetta regola con le direttive dell'organizzazione. Lo scritto di Stalin sul materialismo dialettico e sul materialismo storico non quadrava con le mie idee. Mi sembrava roba da catechismo. 
Altra questione controversa era se i contadini fossero oppure no una forza decisiva della rivoluzione italiana, e come tali se avessero un ruolo dirigente: in Sicilia, ben inteso. Li Causi mirava a inculcarmi il principio, che non era solo teorico, ma politico e organizzativo, che la funzione dirigente era della classe operaia, non dei contadini, e che il partito comunista era il partito della classe operaia, eccetera. Ma io, come tanti altri giovani militanti di allora, la classe operaia personalmente non la conoscevo: ero nato da famiglia contadina, il mondo della mia giovinezza era stato contadino, il mio lavoro organizzativo e politico lo facevo fra i contadini, in Sicilia la forza che smuoveva la società dalle sue fondamenta erano i contadini. 
E con i contadini ero venuto alla politica e al partito. Ricordo ancora l'impatto straordinariamente emblematico. Nel dicembre 1943 (avevo 21 anni), avevo fatto ritorno al mio paese, Cattolica in provincia di Agrigento, con una licenza straordinaria (gli avvenimenti dell'8 settembre mi avevano colto in servizio militare nell'aeroporto di Grottaglie, vicino a Taranto). Ero stato coi familiari l'ultima volta nel giugno dello stesso '43, in licenza per sostenere gli esami all'università. Nei sei mesi però il mondo era cambiato: prima lo sbarco degli anglo-americani, poi l'arresto di Mussolini e la caduta del fascismo. Più in generale l'andamento della guerra, il fronte russo in particolare. 
L'arrivo a casa era inatteso e costituì un avvenimento. La Sicilia allora era sotto il governo militare alleato, e il re e Badoglio non vi avevano alcuna autorità. Dovetti attraversare lo stretto di Messina, nottetempo, su una barca a remi, e percorrere più di trecento chilometri a piedi o con mezzi di fortuna. La notizia del mio ritorno si sparse in un baleno: quindi visite di parenti, amici, vicini, eccetera. 
Giunse anche un gruppo di contadini, che conoscevo di vista e qualcuno di persona. Il solito parlare: cosa racconti; come va; che ti proponi di fare; eccetera. Poi, quello che doveva essere il loro capo, mi dice: noi contadini abbiamo deciso di aprire un circolo, e abbiamo bisogno di uno che si metta alla nostra testa. Tu sei figlio di contadini, sei anche intellettuale, di te possiamo fidarci. Ti chiediamo di divenire il nostro rappresentante. La cosa mi colse alla sprovvista. E poi, francamente, i miei propositi erano allora di diventare un filologo o qualcosa del genere. 
Lì per lì, dissi dunque che non me la sentivo, che la politica non faceva per me. Ma il 19 marzo 1944 (data indimenticabile!) mi trovai a parlare, la prima volta in vita mia, nella sede del circolo dei lavoratori che si inaugurava quello stesso giorno. Che emozione, ricordo. Ma quanti applausi (mi spiegarono poi che ogni volta che perdevo il filo del discorso, loro battevano le mani per farmi coraggio). Due mesi dopo, alla fine di maggio, fui nuovamente invitato a parlare alla inaugurazione della sezione comunista.

da I Comunisti raccontano, Teti Editore, 1975

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