Il giorno più nero per
Davide Vannoni è stato certamente lo scorso 15 luglio, quando a
conclusione dell'indagine effettuata dai Nas, il nucleo
antisofisticazione dei Carabinieri, la procura di Torino ne ha
chiesto il rinvio a giudizio, insieme ad altre 12 personeper una
serie di gravi reati.
L'udienza preliminare del
processo è stata fissata per il prossimo 4 novembre.
Ma il giorno della svolta
nella vicenda Stamina è stato probabilmente un altro: il 4 febbraio
2014.E si è consumato a opera di altri magistrati: quelli della
Corte di appello del Distretto di Columbia, negli Stati Uniti, che
hanno rigettato tutte le istanze di una società biomedica privata,
la Regenerative Science e hanno riconosciuto il diritto della Food
and Drug Administration (F&DA) a regolamentare l'uso clinico
delle cellule staminali adulte, anche autologhe. È quel giorno, a
ben vedere, che la Fondazione Stamina ha perso la speranza di
diventare la testa d'ariete di un grande movimento internazionale che
intende abbattere il sistema di norme delle attuali istituzioni
sanitarie e fondare su nuove basi la medicina sull'intero pianeta. Il
4 febbraio 2014 il movimento della deregulation è stato sconfitto e,
sebbene pochi se ne siano accorti in Italia, la vicenda di Davide
Vannoni è stata derubricata a un caso come tanti, drammatico ma con
tratti folcloristici, che da anni riempie le cronache di un Paese, il
nostro, abbastanza marginale nel grande mercato globale dei farmaci e
delle terapie.
La storia della medicina
è da sempre costellata di "santi guaritori" che
improvvisamente appaiono sulla scena proponendo "cure
miracolose" sfidando la teoria e la prassi della cosiddetta
"scienza ufficiale". Si tratta, in genere, di meteore
isolate che brillano nel cielo della sanità sfruttando per alcuni
mesi il combinato disposto di quelli che Giacomo Leopardi chiamava
«gli errori popolari» (sì, insomma, l'ingenuità) e della tendenza
naturale ad aggrappasi a una qualsiasi maniglia della speranza da
parte di chi speranze non ha più.
Quelle meteore illuminano
di una luce intensissima le cronache per qualche tempo, prima di
spegnersi e di essere, per sempre, dimenticate. È stato il caso,
allafine degli anni '60 del secolo scorso, di Liborio Bonifacio, un
veterinario di Agropoli convinto di aver trovato la possibilità di
curare il cancro con una pozione a base di urina e feci di capre. Ed
è stato il caso, trent'anni dopo di Luigi Di Bella, un medico di
Modena, convinto di aver trovato a sua volta la possibilità di
curare il cancro mediante un trattamento - il multitrattamento Di
Bella (MDB) - a base di somatostatina. A migliaia li hanno seguiti e
poi dimenticati.
Come Bonifacio e come Di
Bella, anche Vannoni, con le sue infusioni a base di cellule
staminali mesenchimali, sfida lo scetticismo documentato della
comunità scientifica. Ma a differenza di Bonifacio e Di Bella, il
fondatore di Stamina non è un "santo guaritore" isolato. O
meglio, non lo è stato fino al 4 febbraio 2014, quando il già
citato tribunale americano ha tagliato le gambe (provvisoriamente?) a
un agguerrito movimento internazionale che nelle cellule staminali -
in particolare nelle cellule staminali mesenchimali - ha individuato
quella testa d'ariete capace di scardinare il sistema su cui da
almeno mezzo secolo si regge la sicurezza del mercato dei farmaci e,
nel nome della "libertà di cura", aprire nuove frontiere
per l'innovazione e il mercato in medicina.
Che Davide Vannoni e le
sue infusioni non siano fluttuazioni isolate lo dimostra il fatto che
oggi nel mondo ci sono almeno 360 studi e tentativi di applicazioni
registrati dal ClinicalTrials.gov che, come quello della
Fondazione Stamina, si fondano sull'impiego di cellule staminali
mesenchimali, nei settori più svariati. È vero che solo il gruppo
di Vannoni sostiene che le "loro" staminali mesenchimali si
trasformano, sulla base di un trattamento per la gran parte segreto,
in neuroni. Ma è anche vero - come hanno scritto lo scorso 19 giugno
sulla rivista inglese “Nature” l'italiano Paolo Bianco, un medico
dell'università La Sapienza di Roma, e l'americano Douglas Sipp,
direttore dell'Office of Research Communication del Riken Center for
Developmental Biology di Kobe in Giappone - che, proprio come
Vannoni, nessuno di quei 360 gruppi di studio sulle mesenchimali ha
pubblicato risultati su riviste scientifiche accreditate.
C'è un intero movimento
a scala globale, dunque, che pur senza prove di efficacia basate
sull'evidenza punta sulle cellule staminali mesenchimali come
avanguardia di una nuova medicina, rigenerativa. E di un nuovo
sistema dell'innovazione in sanità, senza lacci e lacciuoli. In
gioco ci sono fatturati per centinaia di miliardi l'anno.
Questo movimento che
punta così in alto ha, per così dire, una componente pratica e una
teorica. Quella pratica è costituita da un'interacostellazione di
società (le cui storie sono state ricostruite da Antonino Michienzi
e Roberta Villa in un recentissimo e-book Acqua sporca. Cosa
rischiamo di buttar via con il caso Stamina, scaricabile in
maniera libera dalla rete), che cercano di vendere sul mercato
sanitario i loro preparati non validati. È il caso del Regenexx
della Regenerative Science, proposto per la riparazione delle
articolazioni mediante iniezioni di cellule staminali autologhe
(ovvero del medesimo paziente). L'azienda ha chiesto che non sia
considerato un farmaco e dunque venga sottratto alle norme di
sicurezza previste per le nuove formulazioni. È quanto ha chiesto,
almeno in una certa fase, anche Vannoni per le sue infusioni. Come
abbiamo detto, la Corte di appello del Distretto di Columbia ha
sentenziato che la richiesta non può essere accettata: quando gli
interventi sulle cellule, ancorché autologhe, non sono minimali, i
preparati a base di staminali devono essere considerati farmaci e
ricadono sotto il controllo delle autorità che si occupano di
farmaci.
Oltre alla sua forza
intrinseca, data da imponenti fatturati, questa costellazione di
aziende che punta sulle staminali per aggirare le norme di sicurezza
sui farmaci conta su un imponente e potente sostegno teorico, che fa
capo al Manhattan Institute for Policy Research di New York,
l'istituto di ricerche sociali, economiche e politiche di scuola
neoliberista.
L'analisi del Manhattan
Institute parte da una constatazione: dopo una brillante stagione di
innovazione nel campo biomedico, con la messa a punto di molecole che
hanno dato un formidabile contributo a migliorare la salute umana, il
mondo dei farmaci ne vive una di costosa stagnazione. Nei soli Stati
Uniti le imprese investono ogni anno 65 miliardi di dollari –
scriveva nel 2007 Richard A. Epstein, uno studioso del diritto e
dell'economia che è esponente di punta dell'istituto newyorkese, in
un libro, Overdose. Come una regolamentazione eccessiva
mette a rischio le medicine del futuro, pubblicato in italiano da
Rubbettino - per ottenere dieci o al più venti nuovi farmaci, che
non sempre sono davvero innovativi. È nella ricerca delle cause di
questa costosa stagnazione che l'analisi di Epstein diventa più
controversa.
L'innovazione stenta,
sostiene lo studioso del Manhattan Institute, anche e soprattutto a
causa delle procedure per ottenere l'autorizzazione alla vendita
imposte negli Usa dalla F&DA e in Europa dalle autorità
sanitarie comunitarie e nazionali. Liberiamo le imprese dai lacci e
dai lacciuoli di queste lunghe e costose procedure e vedrete che la
creatività di Big Pharma tornerà al suo antico splendore.
Come fare? Lo ha
spiegato, con una posizione un po' più estremista di Epstein, un
altro autorevole esponente del Manhattan Institute, Andrew C. von
Eschenbach sul “Wall Street Journal” del 14 febbraio 2012: basta
col paternalismo delle autorità sanitarie. Basta con la lunga e
costosa prassi che impedisce agli ammalati di ricorrere subito alle
cure che gli scienziati mettono a punto in laboratorio. I cittadini
sono persone adulte, che possono valutare da soli i rischi e le
opportunità. Va loro riconosciuta la libertà di cura. Che ciascuno
si curi come vuole, anche con preparati la cui efficacia non è stata
riconosciuta. Che invece delle quattro complesse fasi previste per
l'autorizzazione alla vendita di nuovi farmaci. fermi alla prima: la
fase I. Quella necessaria a dimostrare che il preparato non è
immediatamente tossico. Poi lasciamo che il nuovo preparato sia
comprato e usato da chi vuole. Saranno i pazienti stessi afornire le
indicazioni sull'efficacia e sicurezza del farmaco. Questa
rivoluzione copernicana, assicura von Eschenbach, salverà milioni di
vite, libererà il mercato e la biomedicina tornerà a essere uno dei
volani dell'economia.
La sortita ha fatto
rumore. Perché Andrew C. von Eschenbach è persona autorevole. E
stato presidente eletto dell'American Cancer Society, la prestigiosa
società oncologica degli Stati Uniti. Ed è stato soprattutto
commissario, tra il 2005 e il 2009, della F&DA, nominato dal
presidente repubblicano George W. Bush. Certo, il nuovo presidente,
il democratico Barack H. Obama, lo ha sollevato dall'incarico. E
tuttavia resta il fatto che un suo ex leader sostiene che l'agenzia
federale che si occupa da farmaci è un ostacolo per il progresso
della medicina e per lo sviluppo del mercato dei farmaci e propone
che faccia non uno, ma due o tre passi indietro. L'attacco di von
Eschenbach è davvero pericolo per la F&DA e per ciò che
rappresenta.
E' in quest'ottica che il
caso Stamina aveva assunto strategico su scala globale. Se il pur
controverso Vannoni riesce a imporre il suo metodo in Italia, hanno
pensato in molti, spalanca le porte al liberismo sanitario nel mondo
intero. È per questo che nel 2103 Andrew C. von Eschenbach in
persona, insieme ad altri due scienziati che di fatto aderiscono
all'idea (o all'ideologia) del Manhattan Institute - l'italiano
Camillo Ricordi, presidente di Ri.Med, e il geriatra americano
Michael West, fondatore della Advanced Cell Technology - ha scritto
al ministro italiano (allora era Renato Balduzzi) per perorare la
causa della medicina rigenerativa liberata da lacci e lacciuoli. Un
vero endorsement per Vannoni e la Fondazione Stamina.
Ma più che una
rivoluzione copernicana, sostengono i suoi critici, quella liberista
di Epstein e von Eschenbach è una (contro)rivoluzione tolemaica. Che
minacciala sicurezza dei cittadini e rischia di far tornare indietro
di decenni il progresso medico. Perché i cittadini che decidono di
ricorrere a terapie non validate, siano a base di staminali o meno,
non sono affatto liberi, ma in stato di costrizione, determinato
dalla malattia, e non hanno gli strumenti minimi necessari per una
valutazione critica e una scelta davvero libera. Inoltre è un fatto,
ricordano Paolo Bianco e Douglas Sipp su Nature, che l'80% dei
farmaci che superano la fase I di sperimentazione, non riescono poi a
superare le altre. Con la ricetta del Manhattan Institute i pazienti
si trasformerebbero in cavie. Anzi, in cavie con un bel po' di
quattrini per essere tali. Mentre la sicurezza medica tornerebbe,
appunto, indietro di decenni.
La partita miliardaria
sul futuro assetto del sistema medico globale non si è certo chiusa
lo scorso 4 febbraio. Mala sentenza di Washington ha rallentato la
marcia dei liberisti. E, dopo le recenti vicende, anche Andrew C. von
Eschenbach sembra aver smesso di credere che Davide Vannnni
rappresenti la loro testa d'ariete.
Pagina99we, 23 agosto
2014
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