Luciano Canfora, in un
suo pamphlet sull'Europa,
riprende due paginette da un ottocentesco saggio antropologico di
Rodolfo Laschi (La delinquenza bancaria,
Fratelli Bocca editori, Torino, 1899), che aveva ottenuto la
prefazione di Enrico Morselli, primario della clinica psichiatrica di
Genova. Mi pare di qualche utilità postarle qui in un momento in cui
gli scandali al vertice dell'Unione Europea, mettendo in piena luce
collusioni ad alto livello, le rendono attualissime, quasi fossero
scritte ieri. (S.L.L.)
La Borsa di Milano |
Vedansi, ad esempio, le
Borse. Molti le trovano ormai indispensabili al meccanismo
finanziario moderno, eppure non v'è chi non veda a quante sventure e
a quanti delitti esse diano origine, di fronte allo smisurato
arricchirsi di pochi: dei più «forti» per quel mondo di selezione
alla rovescia. Ora i legislatori almanaccano nuovi regolamenti per
allontanarne gli aggiotatori, i bancarottieri, i mezzani di loschi
affari; ma a nulla riescono, perché il male sta nell'aver
trasportata una istituzione, sorta da necessità commerciali fra
popoli fedeli ai loro impegni, rigidi nella loro proverbiale onestà,
come gli Inglesi e gli Olandesi, fra costumi e tradizioni assai
differenti. È così che Max Nordau può chiedere riguardo alla
Borsa: «Si è essa mai ristretta entro i limiti di una convenienza
ragionevole? È stata essa mai il mercato dove il venditore di
buonafede incontrasi col compratore pure di buona fede e dove
l'onesta offerta equilibrasi coll'onesta domanda?».
Vi sono poi cause
economiche più generali: il disagio sempre crescente, la speranza di
facili guadagni che, come vedemmo, alletta gli innumerevoli spostati,
l'avvilimento della industria e dell'agricoltura là dove i capitali
ne rifuggono, gli errori economici dei governi, che circondano di
privilegi gli istituti bancari, anche i meno meritevoli, mentre
opprimono con balzelli d'ogni sorta le feconde iniziative industriali
o le speculazioni agrarie, che svierebbero il paese dai malsani
rischi del denaro.
Preparato così
l'ambiente, è naturale che la criminalità trovi terreno favorevole
al suo sviluppo: non
che il reo bancario, e lo
vedremo nello studio antropologico di esso, sia necessariamente un
delinquente per tendenza congenita; vi sono anzi fra essi persone di
precedenti incorrotti, devote alla patria, vittime della loro
ambizione, o della loro leggerezza, talora della propria cupidigia,
non di rado anche dei raggiri altrui. Ma all'infuori di questi che
chiameremo rei occasionali, è certo che la credulità del pubblico
suggestionato in mille modi, l'impunità o quasi che la legge o
gli interessi di chi sta in alto accordano a siffatti reati, vi
attirano dei veri criminali, che trovano molto comodo il lanciarsi
nel mondo degli affari, dove la morale è assai larga, le riputazioni
si acquistano a buon mercato e il successo, sia pure di un giorno,
costituisce un lasciapassare anche nella società di meno facile
accesso.
Come dunque il violento
dell'epoca primitiva, la bestia umana, sotto l'influenza della
civiltà, va piegando la sua natura rude e insofferente alle arti
sottili della frode, così questa subisce pure la sua evoluzione,
abbandonando man mano i goffi tranelli del giuoco di carte, o dei
rotoli di piombo sostituiti all'oro, per le truffe raffinate delle
società di speculazione o degli istituti di credito, già così
altamente quotati nella pubblica fiducia, da richiedere una
preparazione ed uno sforzo minimi, per ottenere risultati addirittura
sorprendenti.
Da Luciano Canfora “E'
l'Europa che celo chiede!”. Falso!, Laterza
2012
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