Più di vent'anni sono trascorsi da quando Leo Ferré ci lasciò, a Castellina in Chianti nel 1993. L'intervista, bellissima, risale a qualche anno prima e fu pubblicata nel 2004. Parole dure, vere, scanzonate, geniali. (S.L.L.)
Questa
intervista a Leo Ferré è stata registrata l'8 luglio 1990 nella sua
casa di Castellina in Chianti, in Toscana. Il tono disteso e a tratti
divertito del musicista potrebbe stupire chi conosce il personaggio
solo per la sua arte. Léo era in realtà una persona estremamente
simpatica e generosa, non aveva peli sulla lingua e sembrava non
curarsi di come l'intervista si sviluppava né chiese mai che uso ne
avremmo fatto. Per tanti autori impegnati che si prendono molto sul
serio una lezione di stile dal più impegnato di tutti! (G. Va.)
Io canto
«L'importante
per me è la voce: io ho una voce, io canto. Sono un musicista, ed è
la fortuna che ho avuto, perché se non avessi avuto una voce, e non
fossi stato un musicista, non avrei scritto delle parole; ho
cominciato a scrivere dei testi perché avevo cominciato a comporre
musica sulle parole che un amico mi aveva dato, e il giorno in cui ho
avuto bisogno di andare a Parigi per cantare ho letto quelle parole e
ho visto che non erano gran cosa. Allora mi sono detto: forse posso
scrivere io delle cose! E allora ho trovato delle caves
(locali notturni situati negli scantinati del Quartiere Latino, n.d.
r.) a Saint Germain-des-Près, siamo negli anni 1946-47, dove la sera
cantavo le canzoni che avevo scritto.
Contro De Gaulle
«Ero
stato sei mesi in Martinica, prima del 47, perché accompagnavo al
piano dei cantanti in tournée ma suonavamo talmente poco che fui
costretto a farmi ospitare da amici che mi ero fatto laggiù e a
scrivere a mio padre per farmi mandare i soldi e pagare il viaggio di
ritorno. Tornato a Parigi trovai una cave
che se c'erano quaranta persone era arcipieno... Non era certo come
ai concerti di Madonna! Avevo scritto una canzone contro De Gaulle:
Mon général e tra
quelli che vennero ad ascoltarmi c'erano anche dei gaullisti e tra di
loro il figlio di Mauriac, lo scrittore, Claude Mauriac, che si
arrabbiò!
Spesso
ero malvisto perché ero un ribelle e dicevo quello che pensavo,
immediatamente.
Una piccola strada
«A
poco a poco ho fatto la mia piccola strada: all'inizio fu molto dura,
e spesso si lavorava per niente; ho cominciato poi a lavorare per la
radio, dove cantavo le mie canzoni: Le bateau espagnol è
nata così, e anche Le Flamenco de Paris che
scrissi per dei rifugiati spagnoli, c'era ancora Franco ovviamente,
che avevano una riunione e mi avevano chiesto di cantare per loro.
Scrissi questa canzone mentre andavo lì, in autobus!
«Ho
sempre detto quello che pensavo e ho sempre cantato quello che
sentivo profondamente. Ricordo un tipo che aveva un giornale,
“L'idiot international”, che faceva una campagna contro di me, e
ricordo delle serate dove cercavano di impedirmi di cantare! Per
fortuna poi tutto questo è fini
to,
ma non bisogna interrompermi mentre canto! Ho una forza terribile
quando canto, mi sento molto forte fisicamente e sono capace di
scendere in sala!
«Amo
molto i grandi musicisti, tra i moderni Ravel, Debussy, e poi
Beethoven, Mozart, Brahms. Ma mi sono anche avvicinato alla musica
rock, con un gruppo, gli Zoo, negli anni 70. Erano dei bravi
musicisti e stavano con la Barclays. Io avevo un amico che lavorava
lì, Richard, e un giorno lui mi telefonò per chiedermi se volevo
fare un tour con gli Zoo, che io non conoscevo. Lui mi spiegò chi
erano e allora mi sonomesso a scrivere delle cose per loro: Les
pops, per esempio.
Non mi piace Dylan
«Non
seguo molto la musica pop ma ho amato gruppi come i Moody Blues e i
Pink Floyd, con i quali mi sarebbe piaciuto fare un tour! Ci furono
anche dei contatti: loro avrebbero fatto quello che facevano e poi mi
avrebbero aiutato! Erano bravissimi. Non amo Dylan, invece; non
sopporto la gente che cambia nome perché ha un nome ebreo e lui si
chiama Zimmerman. Se io fossi ebreo lo direi, mi infastidisce chi si
nasconde dietro un falso nome.
«La
canzone politica dipende da come la si fa. C'è una canzone politica
straordinaria in Francia, della fine del 18° secolo, che non ha
l'aria di essere una canzone politica ma che invece lo è! È Le
temps des cerises, una canzone
rivoluzionaria! Io canto sempre delle canzoni politiche, la canzone
politica è una canzone d'intenzione, e la politica è la vita di
tutti i giorni e io vivo oggi, non ieri o domani! Brel e Brassens non
facevano canzoni politiche: Brassens aveva un po' l'aria di quello
che vuole rompere le cose, ma Brel no! Le sue canzoni erano molto ben
fatte, e certo era contro la vita militare, le istituzioni, ma non è
'politico'! Sono delle cose così vere che se non si dicono queste
allora non si dice niente! Brassens era un tipo riservato io l'ho
appena conosciuto, purtroppo. Era sempre preso da persone che gli
facevano da schermo, di continuo; terribile!
Pubblico molto
giovane
«Sì
è vero, ho sempre avuto un pubblico molto giovane: è il mio solo
onore! Perché? Ma perché io sono giovane! Hai capito? E soprattutto
ora! ...Anche se non lo si vede tanto!
«È
vero, ci fu un attentato in un locale dove mi stavo per esibire,
l'Alhambra. Era un pomeriggio del 1961 e eravamo in piena guerra
d'Algeria. Ma ho sempre ritenuto che non fosse contro di me. Mi
chiesero di andare alla polizia ma mi rifiutai. Dissi, 'Io resto qui,
tranquillo'. Una volta cantavo in un
grande
locale, in Belgio, c'erano almeno duemila persone, e il giorno prima
avevo fatto un'intervista alla radio dove mi chiesero di Franco, che
avevo demolito in una canzone (Franco la muerte,
n.d.r.). Era la storia di Grimau (Julian Grimau, militante comunista
spagnolo, assassinato dal regime franchista il 20 aprile 1963,n. d.
r.), che Franco aveva fatto uccidere. E io dissi questo in diretta, e
la moglie del re del Belgio era spagnola e c'era ancora Franco al
potere. E la sera, mentre cantavo, a un certo punto, salì sul palco
un tipo che disse di essere il commissario di polizia di Bruxelles.
Mi disse, 'Fate attenzione, uscite lentamente, c'è una bomba'. Io
guardavo il mio pianista che mi faceva degli strani gesti, ma non
uscii. Ci furono una decina di persone che si precipitarono fuori,ma
i belgi
sono
delle persone formidabili: tutti in piedi, in lacrime, mi dicevano:
'Canta Léo, canta! Non ci sono bombe!'. Certo ci sarebbe potuta
essere, ma era un falso allarme! E il pubblico fu fantastico!
«Se
vengo capito? Io non vengo mai capito! Ma non mi pongo il problema.
Quello che so è che quello che dico viene ascoltato, perché mi
ascoltano in silenzio. E riscriverei tutto quello che ho scritto!
«Io
non sono misogino! E Brel e Brassens facevano finta di esserlo ma non
lo erano davvero! Pensa a Ne me quitte pas,
di Brel: lì lui è in ginocchio davanti alla donna! Brel tratta le
donne in maniera dura? Ma non aveva torto! Le donne comandano!
Guardate la mia! Ve lo assicuro! A volte me ne dovrei andare, ma non
lo faccio perché è intelligente e corretta e poi ho dei figli...
«Non
ho mai avuto grandi rapporti con il movimento anarchico: sono un
simpatizzante, perché è un movimento anarchico, ma sono degli amici
con cui non parlo mai di politica! Certo ho fatto degli spettacoli
per loro, ma questo è ovvio.
Io megalomane?
«Io
cantore della borghesia ribelle? Borghesia ribelle non ne ho mai
conosciuta! Borghese ribelle? È insopportabile che dicano di me
queste cose. Io megalomane? Io che me ne sto da solo nel mio angolo,
laggiù, con il mio cane e penso alle cose mie? Allora se questa è
megalomania io sono l'imperatore dei megalomani!
«I
poeti sono tutti dei romantici, ed è per questo che non riusciamo a
farci comprendere dalle persone che non sono romantiche... che sono
la maggior parte delle persone, che vivono giorno per giorno, che si
rimpinzano di polli e pomodoro tutti i giorni quando hanno i soldi.
Per fortuna che ci sono degli artisti che dicono no a quello che si
fa loro vivere. C'è una mia can zone che si chiama Les
romantiques: spiego tutto lì: ascoltate la canzone e
comprenderete tutto...
Nelle
mie ultime canzoni uso un linguaggio complesso e intellettuale? Se la
gente resta dietro, che prendano il tram e mi raggiungano! Bisogna
che il pubblico faccia uno sforzo! Se non si fa uno sforzo si resta
dietro! Altrimenti ascoltino Vasco Rossi!
«Come
tutti gli artisti sono stato sfruttato: oggi non lo sono più o lo
sono molto di meno, perché mi occupo direttamente di me: quando
voglio fare un disco pago le registrazioni, pago i musicisti ma poi
il prodotto resta mio. Di fortune guadagnate con i diritti d'autore
credo ci siano quelle di qualche inglese o qualche americano; ma un
francese... E poi ci guadagnano anche gli editori, non solo gli
autori e allora è più normale che ci guadagnino gli autori...
«I
soldi sono il sorriso della miseria... Oggi se devo prendere il tram
posso pagare il mio biglietto senza domandare niente a nessuno: è
questa la ricchezza. Io vado laggiù e vedo gli alberi, non pago
niente, non posso darli a nessuno e nessuno può darli a me; posso
solo prenderli con i miei occhi: è questa la ricchezza. Bisogna
prendersela la ricchezza, sempre. È un furto, una rapina permanente.
Se non rapini, non hai mai niente!
«Come
mai partecipai al Cantagiro? Beh, stavo per venire in Italia e volevo
vedere di cosa si trattava. Si cantava per strada, mi ricordo a
Ostia, con un cantante che all'epoca era agli inizi: si chiamava
Lucio Dalla.
Cecco e Pippo
«Una
volta ho messo in musica Cecco Angiolieri; e allora mi hanno detto,
'C'è la possibilità di cantarla a Domenica in, dai! E poi potrai
cantare una canzone che vuoi, come omaggio per te'. E allora avevo
deciso di cantare La solitudine; c'era Pippo Baudo, che era
vicino al pianoforte e non la conosceva, e l'ha voluta sentire. E
davanti a me c'era la funzionaria della televisione, con una
faccia...
Insomma
non me l'hanno fatta cantare! Sono rimasto solo perché mi ero
impegnato a cantare la canzone per la promozione del disco; allora ho
cantato Cecco, eravamo in diretta, e ho detto a Pippo Baudo,
'Guardate, questo poeta italiano ha 700 anni; potrebbe vivere oggi e
scrivere questa poesia oggi. Ma voi non lo lascereste cantare. Addio!
Eme ne sono andato.
«Io
sono d'origine italiana. Mio nonno era italiano, di Casale
Monferrato. E oggi quello che mi resta della
Francia è la lingua. Non ho mai creduto a niente. L'anarchia è la
solitudine, e dunque io credo in me... quando sono in vena! Progetti?
Oggi ho un solo progetto, che non posso evitare:morire. E allora,
intanto, cerco di arrangiarmi!»
Nessun commento:
Posta un commento