Gesualdo Bufalino morì di venerdì, il 14 giugno del 1996, in
seguito a un incidente automobilistico. Viaggiava su una 127, c'erano
ancora tante Fiat in circolazione. Due giorni dopo “il manifesto”, per ricordarlo, propose ai lettori il testo di un'intervista televisiva che lo scrittore aveva rilasciato poche settimane prima a Franco Maresco, dedicata al suo rapporto con il
cinema. Ne riprendo qui un ampio stralcio. (S.L.L.)
Come
è avvenuta questa scoperta del cinema?
In modo molto semplice.
Nel 1934 (ai vostri occhi sto parlando dei tempi di Roma antica...),
è sbarcato a Comiso un comisano che era stato in America. Aveva
fatto i soldi, era tornato, e siccome non c'era un cinema sonoro, ha
deciso di investire i suoi capitali per costruirne uno. Quindi dal
novembre, dicembre del 1934, ho cominciato a frequentare quella sala
ogni giorno. Il primo film che ho visto si intitolava Una notte a
Libano. Attori: Ramon Novarro e... chi era lei? Boh. Era un film
di genere esotico, e Ramon Novarro era una specie di epigono di
Rodolfo Valentino nel Figlio dello sceicco. Interpretava un
cammelliere che si innamora di una dama europea in viaggio. Da allora
ogni sera, c'era un film nuovo, e il proprietario aveva un accordo
con tutte le case di produzione americane, nessuna esclusa. Nel giro
di 365 giorni faceva 365 film. Fino alla guerra li ho visti tutti,
compresi i film francesi del Fronte popolare e qualche sporadico film
italiano dei telefoni bianchi o altro. E, stranissima e misteriosa
eccezione, ho visto anche un film russo - allora, tolta la grande
stagione del muto, non c'erano più film russi che arrivassero in
Italia - che si intitolava Tutto il mondo ride. E' un film
straordinario.
Ricorda
un'emozione particolare?
Emozioni moltissime,
perché si era al tempo del regime fascista e le sole aperture verso
l'esterno erano costituite dal cinema e dai libri. Per esempio, Il
dottor Jekyll di Mamoulian: mi ricordo che erano le prime volte
che prendevo coscienza di certe tecniche narrative. Quando il mostro
si avventa su Miriam Hopkins, l'obiettivo coglie su una mensola una
statuina di Amore e Psiche, che se vogliamo è una metafora anche
banale, perché dice: qui ci sono la bestia e la bella, e lì invece
l'amore, nella sua accezione più... Però è chiaro che il pubblico
era assolutamente ignaro; il fatto cioè che io mi accorgessi di
questo e ne deducessi l'uso di una particolare allusione
cinematografica, mi serviva anche ai fini del mio "acculturamento"
di tecnica scrittoria. Ma l'esperienza più straordinaria fu
un'altra, con il film Alba tragica. Non avevo mai sentito
parlare di flashback, come nessuno nella sala. Comincia il
film, si vede il delitto, poi Jean Gabin assediato, poi la bambola,
la poltrona, e a un certo punto uno stacco: si vede lui, giovane
operaio fischiettante che sta scendendo le scale di quella casa. Qui,
sia in me che negli altri, c'è un momento di disorientamento. Dopo
due o tre secondi ho fatto mente locale: è assurdo che lui
fischietti, l'assedio non l'avranno certo tolto, quindi avendo visto
lui nell'inquadratura precedente in atteggiamento pensieroso,
rievocativo, allora ho capito: siamo in una dimensione visionaria,
non più nella dimensione reale. Tanto più che una cosa del genere
l'avevo vista anche in un altro film, Sogno di prigioniero con
Gary Cooper. Il povero proprietario del cinema e un operatore vennero
accusati di avere invertito i rulli, e gli spettatori volevano che
rimborsasse loro il biglietto. L'indomani, in piazza, il proprietario
era seduto al caffè circondato da una decina di spettatori che
protestavano ancora. E allora lui, che sapeva del mio amore per il
cinema, mi chiamò, e mi ricordo che feci la mia prima conferenza
pubblica per illustrare una tecnica di cui non sapevo il nome. Non so
se sono riuscito a convincerli.
E'
vero che lei sa riconoscere tutti i caratteristi del cinema classico?
Mi ricordo che una sera
eravamo a cena con Sciascia da Lina Wertmuller, e abbiamo cominciato
a ricordare il cinema del passato. E lei era assolutamente
strabiliata, allibita, perché non sapeva nulla di tutte queste cose,
anche per ragioni di età. Pure Sciascia, con cui eravamo coetanei -
c'erano tre mesi di differenza - era un cinefilo. Vedeva un film al
giorno anche lui, e scriveva tutti i titoli dei film con gli attori,
le case di produzione ecc... Li ha conservati tutti. Però a un certo
punto ha lasciato. Forse non aveva la mia stessa passione mnemonica.
Io ricordavo anche l'ultima delle comparse.
Oggi
si parla molto dell'influenza che ha avuto Pulp fiction sui
giovani narratori. E' possibile che questo sia accaduto in passato,
ad esempio con Orson Welles?
Personalmente ho iniziato
a scrivere negli anni 50, quando il cinema non mi interessava più
tanto.
Io mi riferisco a
Quarto potere che è dei 1941.
Sì, ma io chissà quando
l'ho visto... Una volta Goffredo Fofi è venuto a Vittoria a parlare
di Welles. Abbiamo iniziato una conversazione abbastanza vivace, di
cui non mi è rimasto nulla in mente. E' un episodio che risale agli
anni 50, quando a Vittoria, su mia iniziativa e di altri, era nato un
cineclub. Ricordo che dovevo lottare per far proiettare dei film
muti, e quando scelsi Un chien andalu mi volevano linciare.
Ricordo anche di avere scritto una cosa assolutamente arbitraria a
proposito di questo film, perché allora non sapevo che potevano
esserci delle immagini assolutamente "gratuite". Cercavo di
leggerlo in chiave psicanalitica, quindi con un'interpretazione scena
per scena. Una cosa assolutamente da ripudiare, sono tutte balle.
"il manifesto", 16 giugno 1996
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