10.11.14

Il crogiuolo di culture che generò il flamenco (Adele Imparato)

Da un ampio e vario supplemento monografico del "manifesto", una "talpa-giovedì" dedicata agli zingari e intitolata I figli del vento, recupero questaa nota sul flamenco e sul contesto etnico ed artistico in cui si inserisce. (S.L.L.)
Il flamenco nasce dalla fusione della cultura gitana con quella andalusa. I gitani, con una prodigiosa disposizione per il rito, la danza, la musica incontrarono nell'orientalismo musicale andaluso segni della loro antica e recondita cultura. Secondo una cronaca, i Gitanos affermano la loro presenza in Andalusia — a sud della Spagna — nel 1426 e soprattutto a Siviglia, la città più ricca e attrattiva della Spagna. Determinante è qui la presenza di una gran massa di contadini mori. Per molto tempo gitani e mori convivono uniti dalla loro condizione di povertà e dalle severe leggi che ne ordinano di volta in volta l'espulsione, l'emarginazione, lo sterminio. Da qui, dalla instabilità, dalla necessità di esprimere un dolore, di denunciare un'ingiustizia, di manifestare la gioia della festa e dell'amore nasceranno le prime forme del flamenco.
E' all'Andalusia, dunque, crogiuolo di razze, di culture, che il flamenco deve la base solida di elementi sonori di diverse tradizioni musicali come quella araba, ebrea, mozarabica bizantina... I tre momenti fondamentali del flamenco sono il canto, la danza, la chitarra. Contraddittorio è il parere dei musicologi sulle origini del canto flamenco, per quanto si sia tentato di fare del flamenco una materia di studio nell'ambito della cultura ufficiale, che ha assunto il nome di flamencologia : cattedra creata a Jerez de la Frontera nel 1958. Va citato il primo concorso abbinato a un festival del cante andaluso, tenutosi a Granada nel 1922 sotto la dirczióne di Manuel de Falla e Garcìa Lorca i quali vollero dimostrare che il «cante Jondo» (profondo) non era soltanto la sopravvivenza di un tempo passato, ma un'espressione sempre attiva e mutevole nell'esigenza popolare, ricco di vitalità e di bellezza artistica. Si sono fatte varie classificazioni del cante: in relazione al suo arcaismo si divide il cante in due tipi : cante jondo o «grande» e cante flamenco o «piccolo». Il cante jondo è più intenso, più drammatico, le melodie sono solenni, austere quasi rituali, tanto che ci ricordano i canti gregoriani con i quali hanno molto in comune in quanto a ritmo e struttura. Il cante flamenco rappresenta l'esaltazione estrema di un trance personale, è l'originale, il primitivo, il mitico...
Il cante jondo nasce alla fine del XVIII secolo e al principio del XIX ne fanno parte : la Tonà, la debla, la liviana, il martinete, la seguiriya, la carcelera, la soleà, d'appartenenza gitana. Al cante piccolo appartengono la granatina, la taranta, la malmaghena d'origine moresca; la bulerìa e la alegrìa gitane ; la sevillana, il fandaguillo, la petenera andalusi. E ' nella fiesta flamenca che meglio si esprimono i più complicati fili comunicativi del flamenco: qui c'è chi canta chi balla e chi suona.
L'ambito particolare, in cui ha luogo la fiesta flamenca, è connesso con alcuni avvenimenti della vita quotidiana: battesimi, matrimoni o celebrazioni in generale. Più che alle parole, l'originalità di quest'arte è affidata all'interpretazione del singolo cantaor o al tocaor de guitarra al quale è affidato il prestigio dell'accompagnamento, come i movimenti più veri della danza non sono collegati ad un linguaggio coreografico ma all'improvvisazione. Il flamenco è un'arte così complessa e così determinata geograficamente che, uscendo dal suo locus originario, ha incontrato il fenomeno più frequente per ogni manifestazione di questo tipo: la commercializzazione. Quindi se da un lato ha incontrato un vasto pubblico di non intenditori, dall'altro è scaduto in un cliché di stili e di espressioni stereotipate che si riversano fuori dall'Andalusia.

“il manifesto – la talpa giovedì", 26 novembre 1987

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