Carolina Invernizio |
Nel 1890 la Società
operaia di Napoli chiede alla signora Quinterno Invernizio una
conferenza sul lavoro femminile. La signora in questione ha tutte le
carte in regola: è moglie da nove anni di un «colto e distinto»
(come lei stessa lo definisce) tenente dei bersaglieri, da quattro
anni è madre di una amatissima bambina, si presenta bene - una
morigerata, non eccessiva bella presenza - e soprattutto di donne se
ne intende. Da più di un decennio, infatti, Carolina Invernizio,
letterata-casalinga di Voghera, sforna romanzi fiume di cui le donne
sono le travagliate, indiscusse protagoniste.
Ora la conferenza Le
operaie italiane a distanza di quasi un secolo viene ripubblicata
in appendice a un volume di racconti, Nero per signora, che
gli Editori Riuniti manderanno in libreria nei prossimi giorni. Ma
non si tratta solo del piacere di ripescare un'ennesima testimonianza
sul personaggio. Le operaie italiane è una vera e propria,
anche se involontaria, dichiarazione di poetica. «Nella donna del
popolo è grande la smania del fantastico, del meraviglioso,
dell'inverosimile. Quanto più la cosa è difficile ad ammettersi,
più fa impressione nelle fragili fibre del suo cuore». La
Invernizio dopo una strenua denuncia, «L'ignoranza genera la
credulità», prosegue spudoratamente: «Le storie che maggiormente
imparano a memoria le nostre operaie sono quelle che trattano di
miracoli e incantesimi; oppure di assassini, di capi banditi, di
avventure cavalleresche». Un terreno nel quale lei era maestra. E lo
provano anche i racconti che compongono questo nuovo omaggio
editoriale alla signora di Vogherà. Il curatore, Riccardo Reirn, li
ha messi insieme cercando nella diluviale produzione della Invernizio
le punte più spiccate del suo diffuso gusto per il macabro. Carolina
era una indefessa assassina di personaggi, al punto che doveva
trovarsi dei supervisori ai delitti. Ed essendo molto fiera della sua
condizione di scrittrice donna di casa, non esitava a mettere al
lavoro i parenti. «Poiché i suoi personaggi morivano con
preoccupante facilità» ha raccontato il nipote Ferdinando Tettoni,
figlio di una delle sorelle, «poteva capitare che, dovendo scrivere
contemporaneamente almeno un paio di romanzi, l'autrice si
dimenticasse di aver ucciso l'uno o l'altro. Mia madre era
espressamente incaricata di tenere la contabilità di quanti erano
passati a miglior vita».
Nei racconti di Nero
per signora questo problema non si pone perché l'autrice va
rapidamente al sodo, cioè al morto, o più preferibilmente alla
morta. Abitati, come i romanzi, da un popolo di giovinette indifese,
malvagi impenitenti, femmes fatales, anche i racconti seguono
quella «smania del fantastico» tipica del suo pubblico femminile,
come Carolina ben sapeva.
E a questo pubblico di
cui è così dettagliatamente consapevole, la Invernizio non intende
offrire solo una facile evasione, ma quella «educazione morale» che
si guarda bene dal «convertire le fanciulle del popolo in tante
saputelle» e che non porta «in un regno d'illusioni, nocivo a sé e
agli altri».
Il «fantastico», il
«difficile ad ammettersi» tanto caro alla donna del popolo non è
infatti nei romanzi e nei racconti della Invernizio antitetico a
quello che è quotidianamente documentabile e documentato, nelle
cronache nere e giudiziarie dei giornali dell'epoca. Ma vendetta,
follia, passioni insormontabili sono per
la scrittrice le vere ragioni di quei delitti e suicidi liquidati con
meccanica banalità dalle Corti d'assise e dalle cronache
giornalistiche. Anzi, la Invernizio vuole demistificare quanto la
stampa registra e divulga: «Due giorni dopo tutti i giornali
parlarono di un doppio suicidio» scrive a conclusione di una storia
che dopo alterne vicende di redenzione, denaro, amore e tradimento si
conclude in un delittuoso bagno di sangue.
Nessuna tentazione di
denuncia, nessuna velleità trasgressiva percorre la prosa della
signora di Vogherà. «Addomesticando il sensazionale per farne
letteratura a sensazione» suggerisce Edoardo Sanguineti nella
prefazione a Nero per signora, la Invernizio ci dice che
«nella vita come nella cronaca, l'eccezione è fatta apposta per
confermarci la regola».
“Panorama”, 23
novembre 1986
Nessun commento:
Posta un commento