Le facteur Cheval ( Il postino Cheval) |
Ho trovato tra i ritagli
questo resoconto di viaggio, molto bello, sullo strano edificio del
facteur Cheval (“il postino
Cheval”) che anch'io avevo visitato con meraviglia. Il suo
costruttore viene oggi annoverato tra i grandi dell'arte naif.
A chi andasse ad Hauterives io suggerisco di non perdersi la tomba, meno appariscente, ma anch'essa ingegnosa. (S.L.L.)
A chi andasse ad Hauterives io suggerisco di non perdersi la tomba, meno appariscente, ma anch'essa ingegnosa. (S.L.L.)
Hauterives, Il cosiddetto Palazzo Ideale |
Intorno al 1865 un
postino fece un sogno a Hauterives nella Dróme. Il postino si
chiamava Cheval. Nel sogno Cheval aveva costruito una Cosa, ma non
sapeva se si trattasse di un palazzo o di un castello o di una
grotta. Quell'immagine fluida e indecifrabile gli restò a lungo
impressa nella memoria. Passarono gli anni: Cheval aveva dimenticato
il suo sogno, quando un giorno, camminando nella campagna, inciampò
in una pietra e rischiò di cadere. La pietra era una sorta di tufo
dalla forma bizzarra, e Cheval la raccolse e se la mise in tasca. Nei
giorni successivi trovò altre pietre ancora più belle. In quelle
concrezioni irregolari gli pareva di scorgere «ogni sorta di
animali, ogni sorta di caricature». Così a volte accade di scorgere
figure transitorie nella forma di una nuvola o in una macchia su una
parete. Cheval si ricordò della Cosa vista in sogno e sentì che era
affine a quelle pietre.
Secondo una tradizione
cinese, «a est di Shang-tu Kublai Khan eresse un palazzo secondo un
piano che aveva visto in sogno e che serbava nella memoria». Il
palazzo di Kublai Khan era immenso: maestranze esperte erano state
incaricate di tradurre in realtà il sogno dell'imperatore. Come
Kublai Khan, anche il postino Cheval era stato visitato in sogno da
un edificio, ma non c'erano maestranze a cui potesse affidarne la
costruzione. D'altronde non sapeva nemmeno a quale categoria di
edifici appartenesse. Era una grotta o una fontana, una tomba o un
belvedere? Lo avrebbe saputo solo dopo averlo costruito. Ormai ogni
giorno lavorava a quella chimera. Aveva letto chissà ove che un
tempo a Hauterives c'era stato il mare. Forse gli era parso che
l'edificio del suo sogno corrispondesse a qualche antica formazione
madreporica: per questo aggiungeva conchiglie al conglomerato di
cemento e ferro e ciottoli di tufo che si alzava nel suo orto in
forme sempre più strane.
Ispirandosi a immagini
viste nei libri, prese a modellare, «come ai tempi primitivi», ogni
sorta di piante e animali, dagli elefanti agli orsi, dagli struzzi ai
cactus, dai cervi ai palmizi; oppure alte e indistinguibili cariatidi
a cui attribuì, come si potrebbe attribuirli a un albero o a una
pietra, i nomi di Cesare, Vercingetorige e Archimede; o ancora, un
tempio indù, la Casa Bianca, un castello, uno chalet svizzero
dall'improbabile profilo. Ogni tanto gli veniva voglia di scrivere,
su quelle superfici irregolari, informazioni sull'edificio e sulla
sua costruzione, oppure un proverbio, un motto, un esortazione a ben
vivere, giacché (almeno così si credeva nelle campagne) ogni opera
dell'uomo deve contenere un insegnamento morale.
Il palazzo di Cheval. Particolare |
Che bel mestiere doveva
essere il postino rurale ai tempi di Cheval! Si camminava a piedi
nella natura, su sentieri e per strade vuote (quelle intorno a
Hauterives lo sono ancora). Di Cheval si dice che per il suo lavoro
percorresse ogni giorno più di 30 chilometri. Forse non è vero,
perché, anche se le case erano sparse, non è detto che i contadini
ricevessero molte lettere. Nel mondo contadino il postino aveva uno
statuto intermedio, più umile certo di quello del medico o del
notaio, ma caratterizzato in senso intellettuale dalla contiguità
con la scrittura; per di più prendeva uno stipendio dallo Stato.
Questo privilegio sociale dovette almeno un po' difendere Cheval dal
trattamento increscioso che i villaggi sono soliti riservare ai loro
matti.
Passavano gli anni e
capitavano i primi visitatori. Erano soprattutto militari del vicino
campo di Chambarran. Cheval ascoltava i loro elogi e le
manifestazioni del loro stupore; se in quello che dicevano c'era
qualche volta ironia, il suo candore gli avrà impedito di
accorgersene. Un giorno volle scrivere la storia del sogno, della
pietra in cui era inciampato, dell'edificio che aveva costruito.
Quella breve relazione, a cui ho attinto, cominciava così: «Figlio
di contadini, contadino io stesso, voglio vivere e morire per provare
che anche nella mia categoria vi sono uomini che hanno genio ed
energia».
Cheval avrebbe potuto
lavorare al suo «palazzo» sino alla morte, aggiungendo guglie,
colonne, bassorilievi. Invece nel 1912, dopo «10.000 giornate,
93.000 ore, 33 anni di fatiche», decise che l'edificio era finito.
Forse sentì che l'opera ormai coincideva con il suo lontano modello
onirico, o forse semplicemente se ne stancò. I dodici anni che gli
restavano - ne aveva 76, sarebbe morto a 88 - li dedicò a costruire
per sé e per la sua famiglia una cappella nel cimitero di
Hauterives.
Non ricordavo dove avessi
letto per la prima volta il nome di Cheval e non sapevo se il suo
palazzo esistesse ancora. Forse erano rimaste solo poche pietre che
non valevano il viaggio. Queste cose pensavo avvicinandomi a
Hauterives nella Dròme. Avevo trovato la valle del Rodano sotto
Lione intasata dal traffico e a Vienne il ristorante La Pyramide
chiuso per restauri; poi avevo pranzato bene da Magnard, ma non era
la stessa cosa. Vienne è molto bella: se ci capitate, visitate le
chiese, il tempio di Augusto e di Livia, il teatro romano, i mosaici,
prima di prendere la strada per Beaurepaire d'Isère e Hauterives.
Lasciata la riva del
Rodano, il traffico di rarefa. Vi siete immessi su quel fittissimo
reticolo di piccole strade che seguono senza sbancamenti tutte le
pieghe del paesaggio e che insieme ai castelli e ai fiumi colmi e
tranquilli rendono così attraente la Francia rurale. Dopo
Beaurepaire un grande castello vi avverte che siete giunti a
Hauterives e vi invita a visitare il palazzo ideale del postino
Cheval: cosa che senza dubbio farete, giacché siete venuti apposta;
non vi sono molte altre ragioni per venire a Hauterives.
Dunque il palazzo è là,
al centro del paese. Ma non è un palazzo: non vi sono spazi da
abitare. Come accade girando intorno a una montagna, il suo profilo
muta continuamente. È indefinibile, com'era apparsa indefinibile a
Cheval la Cosa del sogno. Mentre lo osservavo, mi è venuto da
pensare che esisteva una tradizione colta a cui poteva essere
assimilato: quella delle grotte, dei ponti veneziani, delle rovine,
dei chiostri moreschi, dei padiglioni gotici, di tutti gli altri
pittoreschi edifici che ornano i giardini. Architettura basata sul
gioco della miniaturizzazione, e nella cui panoplia di stili si
rivela l'educazione antiquaria fornita dalle accademie. Il palazzo di
Cheval è invece l'enciclopedia di un autodidatta.
Non si può visitare il
palazzo ideale senza un brivido. Non si possono leggere senza stupore
le frasi che Cheval scrisse sulle sue pareti: «Questa meraviglia di
cui l'autore può essere fiero sarà unica nell'universo»; «Un
genio benefico - mi ha tratto dal niente»; «Questa roccia un giorno
dirà molte cose»; «Dio-Patria-Famiglia. Hauterive, Dròme. Tempio
della Natura»; «II sogno di un contadino»; oppure i versi che
mette in bocca alla sua carriola e ai suoi utensili, raccolti in un
piccolo sacrario nel suo palazzo.
Sono molte le cose in cui
avvertiamo una parte di sogno, ma questo elemento onirico di solito
viene elaborato e attenuato. Certamente le maestranze che furono
incaricate di tradurre nella realtà il palazzo sognato da Kublai
Khan avranno finito per adattarlo ai materiali costruttivi di cui
disponevano e alle tradizioni cinesi. Ma il postino Cheval non poteva
rivolgersi ad altri e non sapeva murare. Imparò giorno per giorno,
amalgamando le pietre e gli altri materiali in un opus incertum
da cui le forme sembravano nascere per proliferazione. Guardando oggi
quella grigia sostanza si ha l'impressione di intravedere, dietro la
grazia fantasiosa delle forme che l'artista ha creato o forse
semplicemente aiutato a manifestarsi, l'oscura, porosa, incondita
materia di cui sono fatti i sogni.
L'Europeo, 21 aprile 1989
Nessun commento:
Posta un commento