26.12.14

L'attualità inattuale di Aldo Capitini. Un presente senza storia (Goffredo Fofi)

Da “micropolis” un articolo su Capitini di 16 anni fa, scritto e pubblicato in occasione del trentennale della morte. La denuncia di Fofi era allora e resta in gran parte oggi del tutto condivisibile, anzi la rappresentazione di conformismi e “accettazioni” è oggi perfino più attuale di ieri come quella della strumentalizzazione di Capitini, previa eliminazione preventiva della sua antipaticità, cioè della sua radicalità. C'è, semmai, da chiedersi se l'autore dell'articolo sia stato poi all'altezza della sua denuncia. (S.L.L.)
Aldo Capitini sulla torre campanaria di Perugia
Sull'attualità di Capitini io non ho alcun dubbio, ma ho invece molti dubbi sulla nostra, di attualità.
L'epoca è quella che è, la sua confusione, il suo conformismo, i suoi opportunismi sono sotto gli occhi di tutti, e l'accettazione del presente e delle sue regole è diventata così generale e collettiva - senza domande sul perché e sul come e sul dopo – da lasciare molto pessimisti sul futuro di ogni possibile alterità. Ci caratterizza l'accettazione del presente, delle cose così come sono o come si evolvono, o ancora meglio: di come le portano ad evolversi i vecchi e i nuovi padroni, la banca mondiale, l'industria o quel che ne resta qui da noi (Agnelli) più onnipresente distruttiva ricattatrice che mai.
Nessuno mette in discussione questo modello di sviluppo, non ci sono forze teoriche o forze organizzate che tengano testa, sia pure "nel loro piccolo", a questi poteri e alla loro prepotenza. Non considero certamente tali, mettiamo, né Rifondazione, né Verdi, Ambientalisti e Nonviolenti, preoccupati alcuni di "starci", dentro la stanza del potere, e per starci accentandone tutte le condizioni e svendendo la loro ragion d'essere, e altri di ricavarsi i propri spazi e spazietti ai margini delle istituzioni, e finendo per non dare fastidio a nessuno, una variante tra tante della pluralità delle sette vetero o new age. Quanti sono coloro che osano il "non ci sto", il "non accetto", il "mi rivolto", il "cerco altro" che sta alla base – necessariamente individuale prima che di gruppo - di ogni risposta attiva (preferibilmente "nonviolenta") all'ordine che ci è imposto?
No, non credo che Capitini apprezzerebbe oggi molto quelli che dicono di avere imparato da lui, credo anzi che da essi sarebbe scandalizzato, e che cercherebbe per il possibile di mettere in crisi il loro quieto vivere, il loro opportunismo, la loro accettazione. E' questo il nodo della non-attualità e della attualità di Capitini. Della non-attualità, perché dal suo pensiero non c'è chi ricavi indicazioni di intervento reale, ma solo retorica superficiale (ieri il PCI o oggi la funzionaria mediocrità dei vari ex-PCI) e blando citazionismo di comodo per blande organizzazioni e manifestazioni degli autogratificati e autoreferenziali buonisti delle associazioni pacifiste e nonviolente, o che si dicono tali. Dell'attualità, perché la ricchezza del suo pensiero e delle indicazioni che se ne possono ricavare, un patrimonio inutilizzato!, è più che mai impressionante, a trent'anni dalla sua morte.
Un tempo potevamo lamentare il "provincialismo" di Capitini: quanto avrebbe potuto incidere il suo pensiero se avesse girato l'Europa, se non fosse stato così condizionato dal piccolo ambiente umbro! Egli non era un educatore, come don Milani, per esempio, che si fermava su una cosa e ne ricavava il massimo, dovunque fosse; era un pensatore di vastissimo orizzonte, aveva bisogno di spaziare, e le sue idee avrebbero potuto avere un'influenza sulla storia del pensiero filosofico e religioso come su quella dei movimenti di contestazione politica se solo avesse voluto (più che saputo) uscire dal suo guscio - che era anche, ora ce ne rendiamo meglio conto, un guscio nevrotico.
Oggi possiamo lamentare l'opportunismo e la povertà del pensiero nonviolento venuto dopo di lui, e non ci sembra più così paradossale che, per esempio, un Gunther Anders - che era partito dalla battaglia contro l'atomica come perno del suo pensiero e della sua azione, ben cosciente della radicale trasformazione che l'atomica aveva portato nel mondo come ipotesi, per la prima volta nella storia, di "fine del mondo", e figuriamoci oggi che "l'atomica" si è diluita e diffusa nei mille modi che ha il potere economico e politico di distruggere la natura e uccidere in modo decisivo il futuro, fino a superare, credo ormai irrimediabilmente, il "punto di non ritorno"- sia arrivato alla fine al ripudio del movimento nonviolento. Di esso Anders ha denunciato l'incapacità di reagire a tutto questo e di saper fare alcunché di utile per arrestare la corsa alla morte finché si era in tempo.
Né ci sembra paradossale la proposta di "ritiro" che ci viene ormai da più parti, anche da personalità particolarmente attive ieri, o da giovani che crescono nel mondo di oggi disgustati dalla sua insensatezza e decidono semplicemente di starsene fuori, di non cercare affatto il dialogo con le sue rappresentanze organizzate, di dichiarare chiusa la partita e di fare banda a parte, e per quel che si può di "non partecipare" per non contribuire al disastro, inventandosi spazi e modi di sopravvivenza confusamente marginali. Questi modi, inoltre, sono destinati a crescere, di fronte alla ultima ondata di "recupero" e "integrazione" di tutta la recente storia del volontariato e del terzo settore dentro i canoni graditi al potere.
Ma proprio per tutto questo Capitini è attuale, perché il suo "non accetto" era ancora attivo; e potrebbe ancora esserlo il nostro. C'è una molla su cui far leva, prima di ogni precisazione teorica e di ogni proposta di azione collettiva, che pure potrebbe avere quantità di modi di intervento singoli, di gruppo e di movimento. Basti pensare alle grandi possibilità legate alla disobbedienza civile, così poco o niente praticare dalle anime candide della non violenza e dell'ambientalismo italici, o alle conseguenze che potrebbe avere la pratica altrettanto anti-italica della non-menzogna, singola e di gruppo: e non-collaborazione e non-menzogna sono corollari fondamentali della nonviolenza, sono punti dai quali si potrebbe partire anche per arrivare alla non-violenza. Questa molla rimane quella del "volontarismo etico", del "non accetto" individuale, e Capitini direbbe della "persuasione".
Ma quanti sono oggi i capitinianamente "persuasi", nel flusso quieto che ci travolge delle accettazioni singole e di gruppo che caratterizzano questo nostro tempo e paese così consenzienti?


“micropolis”, giugno 1998

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