Da “micropolis” un
articolo su Capitini di 16 anni fa, scritto e pubblicato in occasione
del trentennale della morte. La denuncia di Fofi era allora e resta
in gran parte oggi del tutto condivisibile, anzi la rappresentazione
di conformismi e “accettazioni” è oggi perfino più attuale di
ieri come quella della strumentalizzazione di Capitini, previa
eliminazione preventiva della sua antipaticità, cioè della sua
radicalità. C'è, semmai, da chiedersi se l'autore dell'articolo sia
stato poi all'altezza della sua denuncia. (S.L.L.)
Aldo Capitini sulla torre campanaria di Perugia |
Sull'attualità di
Capitini io non ho alcun dubbio, ma ho invece molti dubbi sulla
nostra, di attualità.
L'epoca è quella che è,
la sua confusione, il suo conformismo, i suoi opportunismi sono sotto
gli occhi di tutti, e l'accettazione del presente e delle sue regole
è diventata così generale e collettiva - senza domande sul perché
e sul come e sul dopo – da lasciare molto pessimisti sul futuro di
ogni possibile alterità. Ci caratterizza l'accettazione del
presente, delle cose così come sono o come si evolvono, o ancora
meglio: di come le portano ad evolversi i vecchi e i nuovi padroni,
la banca mondiale, l'industria o quel che ne resta qui da noi
(Agnelli) più onnipresente distruttiva ricattatrice che mai.
Nessuno mette in
discussione questo modello di sviluppo, non ci sono forze teoriche o
forze organizzate che tengano testa, sia pure "nel loro
piccolo", a questi poteri e alla loro prepotenza. Non considero certamente
tali, mettiamo, né Rifondazione, né Verdi, Ambientalisti e
Nonviolenti, preoccupati alcuni di "starci", dentro la
stanza del potere, e per starci accentandone tutte le condizioni e
svendendo la loro ragion d'essere, e altri di ricavarsi i propri
spazi e spazietti ai margini delle istituzioni, e finendo per non
dare fastidio a nessuno, una variante tra tante della pluralità
delle sette vetero o new age. Quanti sono coloro che osano il
"non ci sto", il "non accetto", il "mi
rivolto", il "cerco altro" che sta alla base –
necessariamente individuale prima che di gruppo - di ogni risposta
attiva (preferibilmente "nonviolenta") all'ordine che ci è
imposto?
No, non credo che
Capitini apprezzerebbe oggi molto quelli che dicono di avere imparato
da lui, credo anzi che da essi sarebbe scandalizzato, e che
cercherebbe per il possibile di mettere in crisi il loro quieto
vivere, il loro opportunismo, la loro accettazione. E' questo il nodo
della non-attualità e della attualità di Capitini. Della
non-attualità, perché dal suo pensiero non c'è chi ricavi
indicazioni di intervento reale, ma solo retorica superficiale (ieri
il PCI o oggi la funzionaria mediocrità dei vari ex-PCI) e blando
citazionismo di comodo per blande organizzazioni e manifestazioni
degli autogratificati e autoreferenziali buonisti delle associazioni
pacifiste e nonviolente, o che si dicono tali. Dell'attualità,
perché la ricchezza del suo pensiero e delle indicazioni che se ne
possono ricavare, un patrimonio inutilizzato!, è più che mai
impressionante, a trent'anni dalla sua morte.
Un tempo potevamo
lamentare il "provincialismo" di Capitini: quanto avrebbe
potuto incidere il suo pensiero se avesse girato l'Europa, se non
fosse stato così condizionato dal piccolo ambiente umbro! Egli non
era un educatore, come don Milani, per esempio, che si fermava su una
cosa e ne ricavava il massimo, dovunque fosse; era un pensatore di
vastissimo orizzonte, aveva bisogno di spaziare, e le sue idee
avrebbero potuto avere un'influenza sulla storia del pensiero
filosofico e religioso come su quella dei movimenti di contestazione
politica se solo avesse voluto (più che saputo) uscire dal suo
guscio - che era anche, ora ce ne rendiamo meglio conto, un guscio
nevrotico.
Oggi possiamo lamentare
l'opportunismo e la povertà del pensiero nonviolento venuto dopo di
lui, e non ci sembra più così paradossale che, per esempio, un
Gunther Anders - che era partito dalla battaglia contro l'atomica
come perno del suo pensiero e della sua azione, ben cosciente della
radicale trasformazione che l'atomica aveva portato nel mondo come
ipotesi, per la prima volta nella storia, di "fine del mondo",
e figuriamoci oggi che "l'atomica" si è diluita e diffusa
nei mille modi che ha il potere economico e politico di distruggere
la natura e uccidere in modo decisivo il futuro, fino a superare,
credo ormai irrimediabilmente, il "punto di non ritorno"-
sia arrivato alla fine al ripudio del movimento nonviolento. Di esso
Anders ha denunciato l'incapacità di reagire a tutto questo e di
saper fare alcunché di utile per arrestare la corsa alla morte
finché si era in tempo.
Né ci sembra paradossale
la proposta di "ritiro" che ci viene ormai da più parti,
anche da personalità particolarmente attive ieri, o da giovani che
crescono nel mondo di oggi disgustati dalla sua insensatezza e
decidono semplicemente di starsene fuori, di non cercare affatto il
dialogo con le sue rappresentanze organizzate, di dichiarare chiusa
la partita e di fare banda a parte, e per quel che si può di "non
partecipare" per non contribuire al disastro, inventandosi spazi
e modi di sopravvivenza confusamente marginali. Questi modi, inoltre,
sono destinati a crescere, di fronte alla ultima ondata di "recupero"
e "integrazione" di tutta la recente storia del
volontariato e del terzo settore dentro i canoni graditi al potere.
Ma proprio per tutto
questo Capitini è attuale, perché il suo "non accetto"
era ancora attivo; e potrebbe ancora esserlo il nostro. C'è una
molla su cui far leva, prima di ogni precisazione teorica e di ogni
proposta di azione collettiva, che pure potrebbe avere quantità di
modi di intervento singoli, di gruppo e di movimento. Basti pensare
alle grandi possibilità legate alla disobbedienza civile, così poco o niente praticare
dalle anime candide della non violenza e dell'ambientalismo italici,
o alle conseguenze che potrebbe avere la pratica altrettanto
anti-italica della non-menzogna, singola e di gruppo: e
non-collaborazione e non-menzogna sono corollari fondamentali della
nonviolenza, sono punti dai quali si potrebbe partire anche per
arrivare alla non-violenza. Questa molla rimane quella del
"volontarismo etico", del "non accetto"
individuale, e Capitini direbbe della "persuasione".
Ma quanti sono oggi i
capitinianamente "persuasi", nel flusso quieto che ci
travolge delle accettazioni singole e di gruppo che caratterizzano
questo nostro tempo e paese così consenzienti?
“micropolis”, giugno
1998
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