Nel discorso su Giovanni
Verga tenuto alla Reale Accademia d'Italia il 3 dicembre 1931 Luigi
Pirandello osservava: "Due tipi umani, che forse ogni popolo
esprime dal suo ceppo: i costruttori e i riadattatori, gli spiriti
necessari e gli esseri di lusso, gli uni dotati d'uno stile di cose,
gli altri d'uno stile di parole; due grandi famiglie o categorie di
uomini che vivono contemporanei in seno a ogni nazione, sono in
Italia, forse più che altrove, ben distinte e facilmente
individuabili".
E dopo aver delineato,
lungo tutto il cammino della nostra storia, una netta
contrapposizione fra Dante, Machiavelli, Manzoni, Verga, scrittori di
cose, e Petrarca, Guicciardini, Monti. D'Annunzio, scrittori di
parole, aggiungeva: "Se pensiamo che Dante muore in esilio e il
Petrarca è incoronato in Campidoglio ... , che il Leopardi passa di
vita quasi ignorato, quando si sa a quali venturosi onori pervenne il
Monti, dobbiamo convenire che in questa nostra Italia d'immaginazioni
storiche, di prodigiosa ricchezza in dolcissime e forti e piene
sonorità verbali ... ha più diritto di cittadinanza chi sa dire più
parole che cose". Ma, continuava Pirandello, chi riesce nello
sforzo lucido di disegnare la dura sagoma delle cose non può che
resistere al tempo: "A Dante, sempre si ritorna. Si ritorna a
Machiavelli. Si ritorna al Leopardi e al Manzoni. E si ritorna a
Giovanni Verga".
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