Racinedda in
dialetto siciliano è diminuitivo di racina, uva. Ma quelli
della mia età, al mio paese, quando ne sentono parlare, forse non
pensano al frutto della vite.
Quand'eravamo ragazzini
erano ancora vive nella zona le miniere di zolfo e non erano pochi
gli zolfatai. Per questo in paese non mancavano mai pietre di quel
minerale, luminose. Un gioco caratteristico consisteva nella fusione
dello zolfo. Si utilizzavano gli scarichi metallici delle grondaie:
vi si collocava una piccola porzione di materiale sulfureo e con gli
zolfanelli la si accendeva fino a fonderla. Un piattino raccoglieva
le gocce che colavano fuori e che, una sull'altra, raffreddandosi
davano vita a concrezioni a forma di piccolo grappolo, per l'appunto
la "racinedda".
Eravamo orgogliosi di
codeste sculture, ma non le mostravamo ai genitori. Per quel gioco
non si chiedeva permesso, lo si faceva in angolini seminascosti,
quasi in segreto. Già i giuochi col fuoco erano poco sopportati dai
grandi per chissà quale paura, ma in questo c'era anche lo zolfo:
fuoco e zolfo richiamavano l'inferno. Vattinni, ch'è diavulu!
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