Il libro di cui, nella recensione che segue, scriveva Traina, un buon italianista a quel tempo sotto contratto
dell'Università di Catania, fu subito ritirato dal commercio, per
una controversia giudiziaria tra la casa editrice e gli eredi di
Leonardo Sciascia sulla titolarità dei diritti.
Sono passati ormai più di dieci anni e il libro non è ancora disponibile. E' tempo che qualcuno trovi
una soluzione: il contributo alla produzione di libri è un aspetto importante dell'attività del maestro di
Racalmuto e bisogna che siano in tanti a conoscerlo. (S.L.L.)
A Racalmuto. Leonardo Sciascia, Elvira Sellerio, Gesualdo Bufalino |
Scrive il curatore di
questo libro importante che Leonardo Sciascia "i libri li
pensava vestiti": si riferisce al gusto quasi ineguagliabile che
Sciascia ebbe per la cura dei libri che faceva pubblicare ai suoi
editori, prima Salvatore Sciascia poi Elvira Sellerio (ma potremmo
aggiungere che il suo parere molto influì, nei suoi anni estremi, su
molte scelte editoriali di Bompiani e Adelphi). Nel caso, poi, della
collana "La civiltà perfezionata" di Sellerio, i libri
erano lussuosamente vestiti da copertine appositamente richieste ai
maestri contemporanei del disegno e dell'incisione.
La metafora del libro
vestito (non sarà inutile ricordare che Sciascia, da ragazzino, fu
apprendista sarto) si arricchisce di ulteriori risonanze etiche se
pensiamo a quel che egli una volta scrisse del Settecento: "Direbbe
Giraudoux: il secolo che ha vestito l'Europa (evidentemente
conferendo al vestirsi più civiltà che al denudarsi: debol parere
anche mio)". Vestire un libro, dunque, così come vestire se
stessi, è innanzitutto un atto di civiltà, quasi un dovere etico
per un editore. Di questo dovere etico (verso il lettore, verso se
stessi) è parte integrante la stesura del risvolto di copertina, il
mezzo con cui il libro si presenta al lettore, anzi all'acquirente
che lo sfoglia in libreria. La stesura del risvolto, se non è
affidata all'autore stesso del libro, è competenza del direttore
editoriale o del direttore della collana: Sciascia fu entrambe le
cose, e mai ufficialmente, per Sellerio. Fu soprattutto, attingendo
alla sua sterminata memoria di lettore e di cultore della memoria,
uno straordinario suggeritore di libri da pubblicare: tanto che, fino
a due mesi prima di morire, ricordò a Elvira Sellerio che si sarebbe
dovuto stampare la Germania di Tacito, tradotta da Marinetti, nella
collana che più sentiva sua, cioè "La memoria"
dall'impareggiabile copertina blu (plagiata da altri editori, e da
Bufalino, in Qui pro quo elevata a comparsa di romanzo).
Scopriamo adesso, grazie
al libro Leonardo Sciascia scrittore editore ovvero La felicità
di far libri (a cura di Salvatore Silvano Nigro, pp. 315, € 10,
Sellerio, Palermo 2003) - la distribuzione del quale è stata
bloccata dagli eredi di Sciascia che lamentano di non averne
autorizzato la pubblicazione -, che lo scrittore racalmutese non si
limitava a suggerire libri da pubblicare o a scrivere i risvolti di
copertina per le collane da lui ideate ("La memoria" e "La
civiltà perfezionata", ma anche "La diagonale" e
"Quaderni della Biblioteca siciliana di storia e letteratura"):
apprendiamo dalla Testimonianza di Maurizio Barbato,
successiva al saggio introduttivo di Nigro, che arrivava a occuparsi
personalmente degli aspetti più tecnici della nascita di un libro,
dalle schede per la stampa e i venditori alla stesura dei rendiconti
commerciali.
Veniamo ora ai risvolti,
per dire subito che è innanzitutto opera meritoria che in tal modo
siano raccolti quelli della "Memoria" (ad essi sono
aggiunti quelli stesi per le altre collane nonché i testi scritti
per due importanti antologie selleriane: La noia e l'offesa e
Delle cose di Sicilia),
dopo che già l'editoria italiana ha saputo conservare quelli di
altre importanti collane fortemente legate al loro ideatore, come i
"Gettoni" o la "Biblioteca delle Silerchie".
Perché, scrive Nigro, "un libro da pubblicare è un atto di
critica": al momento della sua scelta e nell'estensione di uno
scorciatissimo giudizio critico, che deve anche sinteticamente
informare, com'è il risvolto. E ben nota ai lettori di Pirandello
e la Sicilia o di Cruciverba la finezza di Sciascia
critico letterario; ma i suoi risvolti ne fanno apprezzare la
capacità di far critica con le armi più squisite della scrittura,
con un aggettivo o un avverbio, con un ammiccamento trasversale (si
veda la scelta di spiegare Max Beerbohm con Rene Clair) o con una
citazione, ma di quelle che "non hanno le unghie dipinte",
per dirla con la prosa fantasiosa di Nigro. Tutto sciasciano era poi
il dono di sapere riportare i libri meno recenti alla loro valenza
politica d'attualità, talché ripubblicarli assumeva una valenza
pedagogica o polemica sintonizzata sui suoi crucci per le vicende
italiane e qui testimoniata da alcuni testi pubblicati negli anni
della sua esperienza parlamentare: dal bellissimo Procuratore
della Giudea di France (che Sciascia stesso tradusse) al Jonathan
Wild di Defoe, dal Villaggio di Stepàncikovo di
Dostoevskij alla sempiterna Colonna infame.
Ma "una biblioteca
d'autore è un autoritratto d'artista: un'autobiografia culturale e
autorizzata, che si dà tutta insieme in ogni numero della collana e
in sequenza" (Nigro). Le scelte per "La memoria"
confermano in buona parte il ritratto d'artista che conosciamo, ma ne
allargano i contorni ad aspetti meno noti, come l'interesse per la
cultura anglosassone (ben nutrita, in gioventù, dai saggi critici di
Cecchi prima ancora che da Americana) o l'attenzione alla
cultura classica (che si rapprende nella figura di una fine saggista,
Lidia Storoni Mazzolani); e alle altre "vene" che scorrono
all'interno di quel corpo pulsante che è una collana: la scrittura
femminile, l'evocazione di microcosmi paesani ormai confinati nel
passato, la rappresentazione degli orrori della guerra, la godibilità
della lettura come valore assoluto; e la vena forse più utile a
capire la scrittura dello Sciascia narratore in proprio, voglio dire
l'attrazione per libri scritti con vivissimo il gusto dell'intreccio
o, come scrive a proposito di un poco noto racconto lungo di Moravia,
"racconti di intreccio o - per usare un suo titolo -
d'imbroglio. D'imbroglio, si capisce, magistralmente seguito e
dipanato; e cioè inventato con divertimento e con divertimento
raccontato e risolto".
“L'Indice”, anno XX
n.9 settembre 2003
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