[…] L'anniversario
dell'assassinio di Matteotti ha prodotto (accanto al libro pubblicato
da questo giornale) una ricerca che ha portato una nuova prova
pesante e incontrovertibile per la colpevolezza di Mussolini e del
gruppo dirigente fascista nel rapimento e nella morte del leader
socialista ottant'anni fa. Si tratta del libro di Giuseppe Mayda Il
pugnale di Mussolini. Storia di Amerigo Dumini, sicario di Matteotti
(Il Mulino editore).
Ma, se si esclude “la
Stampa”, finora i grandi giornali non ne hanno parlato giacché si
tratta di un brutto colpo per il revisionismo italiano che negli
ultimi vent'anni ha puntato sui delitti attribuiti a Mussolini per
metterli in dubbio, smontare le ricostruzioni contemporanee, togliere
al dittatore italiano le responsabilità pesanti di omicidi politici
che rendono difficile, se non impossibile, l'idea di un regime
autoritario benevolo e del tutto diverso da altri regimi fascisti e
dunque non aduso ad usare i metodi del nazionalsocialismo e di altre
dittature fasciste europee.
Ebbene la storia di
Amerigo Dùmini che Mayda ricostruisce sulle carte di archivi
pubblici e privati e di pregnanti testimonianze restituisce
puntualmente l'ambiente della Ceka fascista, delle minacce di
Mussolini a Matteotti, dell'agguato compiuto dalla squadra di sicari
di cui Dùmini fu personaggio centrale per le sue precedenti
esperienze come per il suo ruolo all'interno dell'éntourage
mussoliniano.
L'autore è in grado di
dimostrare che Matteotti venne percepito come un pericolo da
Mussolini e dal
gruppo dirigente fascista
per la sua azione politica decisa e assai più efficace di molta
parte dell'opposizione e per la sua capacità di portare alla luce
una serie di affari loschi che in quel momento erano in mano a uomini
del fascismo e che avrebbero potuto portare all'opposizione anche
correnti moderate e vicine o interne alla maggioranza fascista. Mayda
si rifà per questa parte alla ricostruzione fornita qualche anno fa
da Mauro Canali nel suo lavoro su Il delitto Matteotti”
(ripubblicato ora dal Mulino in un'edizione ridotta) che alla pista
propriamente politica legata alle violenze elettorali e alle
irregolarità dimostrate in questo campo dal deputato socialista
aggiunge gli aspetti economici e finanziari che il leader riformista
aveva scoperto e che rischiavano di pesare enormemente su un governo
non ancora consolidato.
Dùmini riesce a farsi
pagare assai bene il prezzo del silenzio mantenuto al processo di
Chieti del 1926 e negli anni successivi ottenendo dal governo
fascista una vasta concessione in Cirenaica che vale più di due
milioni dell'epoca e riesce a ricattare
Mussolini per tutto il
ventennio minacciando in continuazione di rivelare le responsabilità
di Mussolini e del governo nel rapimento e nell'assassinio
dell'oppositore socialista. Rispetto ai memoriali del sottosegretario
Finzi e del capo dell'ufficio stampa Cesare Rossi le rivelazioni di
Dùmini avevano un grado di specificità e di verità che avrebbero
reso inefficaci le smentite e avrebbero ritratto Mussolini come il
deus ex machina dell'affare, il protagonista assoluto e dunque il
colpevole primo dell'assassinio e delle numerose menzogne dette in
seguito per allontanare il delitto dal futuro dittatore.
Ora rispetto alle tesi di
chi non nega responsabilità generiche di Mussolini, ma afferma che
si trattò di un equivoco tra lui e gli squadristi o i suoi
collaboratori e che non avrebbe in nessun modo potuto esser provato
il suo coinvolgimento diretto, la ricerca di Mayda dà la prova della
consapevolezza piena da parte del capo del fascismo del grave
pericolo costituito dalle possibili rivelazioni del sicario che fino
alla caduta del regime continuò a ricattarlo (o a farlo ricattare
dalla madre) ottenendo sempre una risposta positiva, almeno sul piano
finanziario, da parte del dittatore.
C'è un ultimo aspetto
che vale la pena ricordare di questo mese di giugno. Tra i tanti
libri usciti sull'avvenimento (tra cui una ricostruzione minuziosa e
attendibile del delitto che si deve a Claudio Fracassi, Il delitto
Matteotti”edizioni Mursia) vorrei segnalare ai lettori il
romanzo di Marco Maugeri Le ceneri di Matteotti” (Edizioni
L'ancora del Mediterraneo), che affronta quel momento in una ottica
inusuale ma, a mio avviso, assai suggestiva. Maugeri, all'interno di
un racconto, che si presenta come un prodotto di invenzione ma che é
attento ai particolari realistici tramandati dalla storia, parla del
delitto e contemporaneamente della scelta compiuta nel settembre 1924
da uno dei grandi intellettuali e scrittori del tempo, Luigi
Pirandello, che proprio allora si dichiara fascista.
La sua dichiarazione
rivolta direttamente a Benito Mussolini e pubblicata dal quotidiano
fascistissimo “L'Impero” é del 17 settembre, quando la crisi
politica è al culmine, poco dopo che alla Quartarella vicino Roma
erano stati trovati i resti martoriati di Matteotti e suona sinistra:
“Sento che questo é il momento più proprio di dichiarare una fede
nutrita e servita in silenzio e se l'Eccellenza vostra mi stima degno
di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregherò come massimo
onore tenervi il posto del più umile e obbediente gregario. Con
devozione intera”.
In pagine assai
interessanti e tese, l'autore ricostruisce come parallele le vicende
di Matteotti e Pirandello, mette in luce attraverso i successivi
incontri dello scrittore siciliano con Mussolini e con il fascismo le
contraddizioni che ne derivano ma insiste nello stesso tempo sul
significato di quella dichiarazione e di quella scelta assai
impolitica ma rivelatrice, a suo modo, di un lato oscuro della
società e della cultura italiana che forse gli storici non hanno
ancora interamente portato alla luce. Pirandello appariva allora come
uno degli scrittori più capaci di penetrare nell'animo degli
italiani e in questo senso la sua adesione al fascismo non fu forse
un atto di puro e orrido conformismo. O almeno di questo ancora oggi
vale la pena discutere.
“l'Unità”, 28 giugno
2004
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